Archivio del Tag ‘Matteo Renzi’
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Della Luna: banche e sangue, stanno per portarci via tutto
I risparmi degli italiani, mobiliari e immobiliari, già stimati in 8.000 miliardi, da tempo attraggono l’interesse di finanzieri e politici, che già ne hanno preso una discreta parte tra truffe bancarie ed estorsioni tributarie, come ben sanno soprattutto i molti imprenditori che devono chiedere prestiti per pagare le tasse su redditi non realizzati. Mercoledì 20 ho ascoltato per quasi un’ora il giornalista economico di “Radio 24”, il quale si meravigliava del fatto che continuano le vendite massicce di azioni delle banche italiane sebbene i loro circa 300 miliardi di crediti deteriorati siano coperti per oltre il 90% da accantonamenti e garanzie. Oggi i titoli bancari hanno recuperato, ma di ben poco rispetto alle perdite accumulate recentemente. Mps oggi passa da 0,50 a 0,73 (+ 0,43%), ma otto giorni fa era a 1 e otto mesi fa era 9,45! Quest’anima candida di giornalista economico par non sapere ciò che sanno tutti gli operatori (quindi crederà a Draghi che oggi sostiene che le banche italiane siano solide). Non sa, innanzitutto, che i crediti deteriorati sono molti di più di quelli dichiarati in bilancio, perché quasi tutte le banche hanno molte sofferenze sommerse, cioè che non dichiarano perché non hanno i soldi per fare i relativi accantonamenti.Non sa, inoltre, che molti crediti divenuti inesigibili figurano invece a bilancio come a rischio ordinario solo perché il loro ammortamento, cioè la scadenza delle rate, è stato sospeso dalle banche stesse in accordo con i clienti morosi, nel reciproco interesse. Non sa che molti crediti, apparentemente coperti da idonee garanzie, in realtà sono scoperti, perché le garanzie sono state sopravvalutate ad arte al fine di concedere crediti a compari e a clientele politiche che era inteso che non li avrebbero rimborsati. O che sono beni sopravvalutati per consentire agli amici-venditori di venderli per un prezzo moltiplicato a compratori fasulli. Non sa che le garanzie immobiliari acquisita dalle banche a collaterale dei crediti erogati si sono fortemente svalutate e sono divenute pressoché invendibili, fonte più di spese che di recuperi, a causa della quasi morte del settore immobiliare fortemente voluta con la politica fiscale dal governo Monti, sicché le banche, pur avendo sulla carta la possibilità di recuperare i loro crediti vendendo gli immobili ipotecati a copertura, in realtà incasserebbero troppo tardi perché il realizzo possa aiutare a superare la crisi odierna.Non sa che il sistema bancario italiano non crolla solo perché continua: a ricevere aiuti (credito gratuito) dalla Bce; ad avere la possibilità di realizzare profitti illeciti, ossia solo perché le varie autorità competenti non gli impediscono di continuare; ad applicare commissioni illegittime, interessi usurari, anatocismo; nonché a collocare titoli-spazzatura o sopravvalutati; e, come già detto, a non dichiarare in bilancio tutte le perdite sui crediti. Tutte queste cose, al contrario, le sa la Banca Centrale Europea, che a giorni manderà i suoi ispettori nelle banche italiane, e si sa già che cosa quindi questi signori troveranno. Ecco il perché delle turbo-vendite massicce anche allo scoperto dei titoli delle banche italiane. Si sa che l’ispezione, se non solo minacciata ma anche rigidamente eseguita (e qui c’è spazio per mediazione politica e il buon senso, ovviamente) potrà portare a un disastro di tutto il sistema bancario e a conseguenze radicali per l’intero paese. Più dell’arrivo della Troika, di nuove tasse di emergenza per finanziare la bad bank, di un bail-in generalizzato, di una legge che ipotechi forzatamente i beni immobili degli italiani a garanzia di qualche prestito di salvataggio da parte del Fmi.E siccome una qualche situazione esplosiva molto probabilmente si realizzerà prima che sia stato instaurato il nuovo, schiacciante sistema di dominio autocratico del premier, cioè la riforma costituzionale ed elettorale del governo Renzi, è abbastanza possibile che il paese si ribelli. Soprattutto se verrà divulgata la notizia che gli stessi fondi di investimento e altri investitori istituzionali che stanno conducendo la campagna di svendita dei titoli delle banche italiane, sono quelli che partecipano la Banca d’Italia, le agenzie di rating, e la stessa Bce, la quale adesso manda le ispezioni. È molto pericoloso che la gente apprenda chi e come le sta portando via il risparmio e la casa e il posto di lavoro e, al contempo, la libertà.(Marco Della Luna, “Banche e sangue, questa è l’Italia che riparte”, dal blog di Della Luna del 21 gennaio 2016).I risparmi degli italiani, mobiliari e immobiliari, già stimati in 8.000 miliardi, da tempo attraggono l’interesse di finanzieri e politici, che già ne hanno preso una discreta parte tra truffe bancarie ed estorsioni tributarie, come ben sanno soprattutto i molti imprenditori che devono chiedere prestiti per pagare le tasse su redditi non realizzati. Mercoledì 20 ho ascoltato per quasi un’ora il giornalista economico di “Radio 24”, il quale si meravigliava del fatto che continuano le vendite massicce di azioni delle banche italiane sebbene i loro circa 300 miliardi di crediti deteriorati siano coperti per oltre il 90% da accantonamenti e garanzie. Oggi i titoli bancari hanno recuperato, ma di ben poco rispetto alle perdite accumulate recentemente. Mps oggi passa da 0,50 a 0,73 (+ 0,43%), ma otto giorni fa era a 1 e otto mesi fa era 9,45! Quest’anima candida di giornalista economico par non sapere ciò che sanno tutti gli operatori (quindi crederà a Draghi che oggi sostiene che le banche italiane siano solide). Non sa, innanzitutto, che i crediti deteriorati sono molti di più di quelli dichiarati in bilancio, perché quasi tutte le banche hanno molte sofferenze sommerse, cioè che non dichiarano perché non hanno i soldi per fare i relativi accantonamenti.
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William White: il mondo va verso epiche bancarotte
«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali. Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi. «I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare que che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato». Quale sarebbe il modo ordinato? «I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri». Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.Dunque è una questione di potere: i vincenti (non so se ho detto Germania) devono subire un ridimensionamento a favore dei perdenti? Ovvio che resistano: gli attacchi di Juncker a Renzi sono uno dei fenomeni della resistenza dei vincitori, che non vogliono fare la loro parte, e continuare a vincere fino al default generale dei perdenti. Secondo mr. White, i creditori europei sono quelli che probabilmente subiranno un più grosso taglio da un giubileo. Le banche europee hanno ammesso di avere un trilione di prestiti non funzionanti; sono pesantemente esposte ai mercati emergenti e stanno certamente prolungando debiti marciti che non hanno mai rivelato (viene a mente Deutsche Bank, il buco con un paese attorno? Non solo…). Il sistema bancario europeo dovrà essere ricapitalizzato su scala mai immaginata prima, e le nuove regole di bail-in significano che ogni depositante sopra i garantiti 100 euro dovrà contribuire al pagamento (si capisce perché Berlino ha salvato le sue banche con quasi 300 miliardi di soldi pubblici, poi ha fatto votare al parlamento italiano le norme sul bail-in?)White è uno dei pochissimi che ha detto ad alta voce, dal 2008, che la finanza occidentale stava andando a sbattere provocando una violenta crisi finale. Il solo a dire che stimolare l’economia a forza di stampaggio e tassi zero da parte delle banche centrali dopo la crisi Lehman (2007) alimentava “stimoli” dell’Asia e nei mercati emergenti, gonfiando bolle di credito, e un aumento dell’indebitamento in dollari che era difficile da controllare in un mondo di libera circolazione di capitali. La globalizzazione capitalistica ha sempre prodotto lo stesso danno finale: chi lo ha negato per tutti questi anni, è solo perché ci guadagnava: faceva vincere la sete del potere invece della verità. Il risultato? che anche gli emergenti sono oggi nel gorgo del debito. I debiti privati e pubblici sommati sono saliti in questi mercati al 185% del Pil, e nei paesi Ocse del 265 per cento: «Il 5 per cento in più rispetto all’altro ciclo del 2007» che ha portato al disastro Lehman e alla crisi recessiva mondiale in corso. Con questa complicazione: «I mercati emergenti, allora, furono parte della soluzione. Adesso anch’essi sono parte del problema». Traduzione: il capitalismo si salvò indebitando (pardon, “facendo giungere capitali per lo sviluppo dei”) paesi emergenti, fino a renderli come sono ora, insolventi. Ora anche loro anno bisogno di un giubileo.Che cosa produrrà il crollo del sistema dando il via alle epiche bancarotte mondiali? Impossibile dirlo: «Il sistema ha perso la sua ancora ed è prono alle rotture in modo inerente». Una svalutazione cinese può metastatizzare. «Ogni paese grande s’è lanciato in una guerra valutaria, anche se si ostina a dire che il quantitative easing non ha nulla a che fare con la svalutazione competitiva. Hanno giocato, tranne la Cina – fino ad ora». L’effetto dello stampaggio è uno spendere in anticipo sul futuro; ciò provoca una tossicodipendenza e, alla fine, non riesce più a “fare trazione” Alla fine, il futuro arriva nel presente, e non puoi più spenderlo. E il gioco mica l’han cominciato dal 2007. Già nel 1987 la Fed ha iniettato troppo stimolo per prevenire una “purga” (dei creditori) dopo il crash che avvenne allora. Dopodiché le “autorità”, banche centrali e governi, hanno lasciato che ogni boom facesse la sua corsa, pensando che avrebbero avviato la pulizia più tardi, e rispondendo ad ogni shock con altra stampa, alacremente. Ciò ha portato, secondo l’esperto della Bri, la finanza a una convinzione della facilitazione perpetua, fino alla caduta degli interessi al disotto del loro “tasso naturale”, cessando di essere un segnale del rischio di credito.«L’errore fu peggiorato negli anni ’90, quando Cina ed Europa dell’Est sono state unite improvvisamente all’economia, inondando il mondo con esportazioni a basso prezzo. I prezzi calanti dei beni industriali hanno mascherato l’inflazione degli attivi (finanziari) che stava avvenendo. I politici sono stati indotti all’inazione da una serie di credenze consolanti, che ora si rivela false. Sono stati indotti a credere che finché l’inflazione è sotto controllo, tutto va bene». Ecco in poche limpide parole perché gli americani hanno accelerato la globalizzazione, fatto entrare il gigante cinese nel mercato mondiale nonostante la sua economia statalista, ed aperto all’Est europeo: per gonfiare la loro bolla, e andare avanti ancora un po’. Adesso la Cina, dopo uno sviluppo eccessivamente rapido artificialmente montato dai capitali, si è trasformata da locomotiva in valanga. Una valanga immane.La Fed ha prodotto bolle su bolle, fino a provocare quella in cui siamo oggi: la “debt deflation” preconizzata da Irving Fisher, il grande economista della Grande Depressione. Oggi la Fed è in «un terribile dilemma», e tenta di raddrizzare la nave sottraendosi a ulteriori quantitative easing. «Se alzano i tassi, sarà brutta. Se non li alzano, non si fa’ che peggiorare la cosa. La situazione è così maligna, che non esistono risposte giuste per risolverla. E’ la trappola del debito, non c’è uscita facile». Secondo mr. White, un inizio sarebbe che i governi smettano di dipendere dalle banche centrali per non essere loro a fare il lavoro sporco. Le banche centrali non possono risolvere un problema di insolvenza, possono solo risolvere problemi di liquidità. I politici «devono ritornare al fondamentale attività di bilancio, chiamatela keynesiana se volete, e lanciare un mai visto e potente programma di investimenti sulle infrastrutture, che si paghi grazie alla crescita maggiore».E’ il momento delle soluzioni alternative, del “quantitative easing per il popolo”? la speranza è che al Forum di Davos i potenti del mondo affrontino in questo problema così limpidamente posto da White e dal “Telegraph”. Ecco uno dei motivi per cui la cancelliera Merkel ha annullato la sua partecipazione a Davos? Se è così, sarà un crollo disordinato, una guerra europea. I tedeschi e Bruxelles sanno che posson perdere tutto,e fanno i duri….E noi, o metà dei media e del popolo italiota, a “prendere le distanze da Renzi”. Lo so anch’io che Renzi è un peso minimo. Ma è lui a questo passo cruciale della storia, ed è la carta con cui dobbiamo giocare. Se aspettiamo – come sempre facciamo noi italiani – l’arcangelo Michele che prenda il governo italiota, per finalmente sentirci ben guidati e pronti alla lotta, abbiamo da aspettare…la possibilità reale è che ci mettano di nuovo Monti, Letta, o Giuliano Amato, o Napolitano. O la Mogherini: vi ho fatto paura, vero?(Maurizio Blondet, “Il mondo va verso epiche bancarotte”, dal blog di Blondet del 20 gennaio 2016).«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali. Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi. «I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare que che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato». Quale sarebbe il modo ordinato? «I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri». Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.
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Rodotà: 5 Stelle, unico voto utile contro il regime di Renzi
Renzi scherza col fuoco: intere categorie delegittimate giorno dopo giorno potrebbero ribellarsi, e metterlo con le spalle al muro. Giocherà il tutto per tutto al referendum sulla riforma costituzionale? Rischia: la maggioranza potrebbe non seguirlo più. Lui dirà: o me, o il populismo? Idem: l’Italia non è la Francia, e il Movimento 5 Stelle non è il Front National. Al contrario, potrebbe rivelarsi «l’unico voto utile, oggi», per sbarrare la strada al regime post-democratico di cui Renzi è alfiere: democrazia ancora formalmente in piedi, ma completamente svuotata, in modo che i cittadini non contino più niente. Lo sostiene Stefano Rodotà, intervistato da Andrea Fabozzi per il “Manifesto”, partendo dall’analisi del recente voto in Francia e in Spagna, dal quale il bipolarismo è uscito distrutto. «Il populismo è una spiegazione troppo semplice. I partiti tradizionali non riescono più da tempo a leggere la società. Non è populismo, è crisi della rappresentanza».Il Front National «coltivava da tempo il disegno di sostituirsi ai due grandi partiti in crisi, ed è stato facilitato dalla rincorsa a destra di Sarkozy e Hollande, che hanno finito per legittimare Le Pen», osserva Rodotà. «In Spagna, Podemos ha interpretato un movimento reale, quello degli Indignados, e ha predisposto uno strumento di tipo partitico per raccogliere il fenomeno». Da noi, Renzi benedice la nuova legge elettorale italiana e sostiene che in Italia non ci sarà lo smottamento francese e spagnolo? «Non coglie il senso di quello che sta succedendo e, con la sua risposta, non fa che aumentare la distanza tra il partito e la società». Sostanzialmente, Renzi dice: “A me della rappresentanza non importa nulla, a me interessa la stabilità”. «Ma con un governo che rappresenta appena un terzo degli elettori ci sono enormi problemi di legittimazione, di coesione sociale e al limite anche di tenuta democratica», sottolinea Rodotà.L’ingegneria elettorale, continua il giurista, è solo «un modo per sfuggire alle questioni importanti». In questi anni è stato invocato il modello spagnolo, insieme a quello neozelandese e quello israeliano: «Sembrava di stare al supermarket delle leggi elettorali. Tutto andava bene per mortificare la rappresentanza, sulla base dell’idea che ciò che sfugge agli schemi è populismo. Invece è una legittima richiesta dei cittadini di partecipare ed essere rappresentati». Il nuovo sistema italiano? «Presenta il rischio di distorsioni spaventose: può aprire la strada a soluzioni pericolose, ma anche ad alternative interessanti. Penso per esempio alla stagione referendaria che abbiamo davanti: dal referendum costituzionale, a quelli possibili su Jobs Act, scuola e Italicum». Renzi è meno tranquillo di quanto dice? «È possibile, del resto le previsioni sul referendum costituzionale sono difficili, ancora non sappiamo esattamente come si schiereranno le forze politiche».Di certo la partita non è chiusa. Rodotà ricorda che nel 1974 una situazione elettorale che sembrava chiusa fu sbloccata proprio da un referendum, quello sul divorzio. «I cittadini furono messi in condizione di votare senza vincoli di appartenenza politica e l’anno dopo si produsse il grande risultato alle amministrative del partito comunista». Il fatto che Renzi abbia deciso di giocarsi tutto sul referendum costituzionale apre una serie di problemi: il primo è la questione dell’informazione. «C’è già un forte allineamento di giornali e tv con il governo, la riforma della Rai non potrà che peggiorare le cose. Renzi ha già impropriamente politicizzato tutto il percorso della riforma, il dibattito parlamentare è stato gestito in modo autoritario. In teoria quando si scrivono le regole del gioco il cittadini dovrebbero poter votare slegati da considerazioni sul governo, in pratica non sarà così».Per Rodotà, è assolutamente possibile superare il “bicameralismo perfetto” in maniera avanzata, favorendo la rappresentanza e la partecipazione, senza escludere la stabilità. Proposte avanzate e subito scartate, nemmeno discusse. «Alcuni di noi avevano denunciato il rischio autoritario della riforma costituzionale: siamo stati criticati. Poi abbiamo cominciato a leggere di rischi plebiscitari, “democratura” e via dicendo. Troppo tardi, ormai lo stile di governo di Renzi è già un’anticipazione di quello che sarà il sistema con le nuove regole costituzionali e la nuova legge elettorale. Il Parlamento è già stato messo da parte, addomesticato o ignorato, com’è accaduto sul Jobs Act per le proposte della commissione della Camera sul controllo a distanza dei lavoratori. Lo stesso sta avvenendo sulle intercettazioni». Secondo il giurista, «stiamo scivolando verso una democrazia scarnificata, rinunciamo pezzo a pezzo agli elementi sostanziali – la rappresentatività, i diritti sociali e individuali – in cambio del mantenimento di quelli formali – il voto, la produzione legislativa. La situazione è grave. Se questo orientamento proseguirà, non credo che il presidente della Repubblica distoglierà il suo sguardo».Renzi, invece, tira dritto. Il suo gioco è chiaro: se il referendum dovesse andargli male, «punterà alle elezioni anticipate con un messaggio del tipo: o partito democratico o morte, o me o i populisti». Per Rodotà, può essere un calcolo sbagliato: «L’Italia non è la Francia per almeno due ragioni. Il Movimento 5 Stelle non fa paura come il neofascismo del Front National. E la mossa dei candidati socialisti in favore di quelli di Sarkozy è stata seguita perché lì la dialettica politica restava aperta. Da noi al contrario si rischierebbe l’investitura solitaria, rinunciare significherebbe consegnarsi pienamente a Renzi. L’appello al voto utile non credo funzionerà anche perché l’Italia non solo non è la Francia, ma non è più neanche l’Italia di qualche anno fa. Renzi non può chiedere il voto a chi quotidianamente delegittima, negando il diritto di cittadinanza alle posizioni critiche. Infatti si comincia a sentire che il vero voto utile, quello che può servire a mantenere aperta la situazione italiana, può essere quello al Movimento 5 Stelle. Sono ragionamenti non assenti dall’attuale dibattito a sinistra, mi pare un fatto notevole».Renzi scherza col fuoco: intere categorie delegittimate giorno dopo giorno potrebbero ribellarsi, e metterlo con le spalle al muro. Giocherà il tutto per tutto al referendum sulla riforma costituzionale? Rischia: la maggioranza potrebbe non seguirlo più. Lui dirà: o me, o il populismo? Idem: l’Italia non è la Francia, e il Movimento 5 Stelle non è il Front National. Al contrario, potrebbe rivelarsi «l’unico voto utile, oggi», per sbarrare la strada al regime post-democratico di cui Renzi è alfiere: democrazia ancora formalmente in piedi, ma completamente svuotata, in modo che i cittadini non contino più niente. Lo sostiene Stefano Rodotà, intervistato da Andrea Fabozzi per il “Manifesto”, partendo dall’analisi del recente voto in Francia e in Spagna, dal quale il bipolarismo è uscito distrutto. «Il populismo è una spiegazione troppo semplice. I partiti tradizionali non riescono più da tempo a leggere la società. Non è populismo, è crisi della rappresentanza».
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Euro, Nato, Senato: zitti su tutto. E Becchi lascia i 5 Stelle
Credevo fosse amore, invece era un calesse. E’ l’amara scoperta del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, fino a ieri considerato co-ideologo del Movimento 5 Stelle. Fine del sogno: non una parola su euro e Nato, cioè le due grandi emergenze, economia a pezzi e politica estera che sta esplodendo di giorno in giorno, a suon di bombe. Grillo? «Ha fatto un discorso di fine anno che era uno spot pubblicitario al suo spettacolo, un intervento teatrale nel quale dice che tutti siamo ologrammi ma, ahimé, è diventato un ologramma pure lui», dice Becchi, intervistato da “Formiche.net”. Strano ma vero, il “Movimento” delle elezioni in rete, dei diktat e delle espulsioni in massa «si sta trasformando in un partito ibrido». A Roma «si può vincere ma si ha paura di farlo e magari non lo si vuole proprio», Dove invece si vuole vincere, «il candidato e la lista vengono blindati e imposti dall’alto come accaduto con Massimo Bugani a Bologna». E, nel frattempo, si puntella Renzi. Come per l’elezione dei giudici costituzionali, dove i 5 Stelle hanno abbandonato la linea dell’opposizione alle nomine renziane. «Il prossimo sarà quello sulle unioni civili», poi verrà «la legge sullo ius soli, anche qui sconfessando Grillo».Il leader, secondo Becchi, è stato sconfessato dal vicepresidente della Camera addirittura sul “Financial Times”, al quale Luigi Di Maio ha detto che loro «non sono favorevoli all’uscita dell’Italia dalla Nato, come invece ha sostenuto Grillo». Il fondatore sembra in ritirata, ma pronto a restare in campo come garante delle regole? «Peccato però che qui non venga rispettata nessuna regola, come sull’espulsione della senatrice Serenella Fucksia: non c’è stata nessuna assemblea dei parlamentari con voto poi ratificato dalla rete. Ormai regna l’arbitrio». Dietro l’angolo ci sono le comunali, e i sondaggi danno i grillini in forte crescita. «Sì, ma ritengo che ai vertici queste elezioni interessino poco», dice Becchi: «Ciò che conta per loro è andare al governo, ma non si sa bene per fare cosa, tranne le politiche anti-casta». Scomparse dai radar le battaglie che contano. L’euro, per esempio: «Grillo aveva promesso agli italiani che entro il dicembre 2015 o al massimo nel gennaio 2016 ci sarebbe stato il referendum sull’euro. Ora più nessuno ne parla, salvo per i banchetti fatti in estate quando il tema appassionava di più e c’era da soffiare qualche voto alla Lega. Ma cosa pensa il Movimento sull’euro? Perché non si porta avanti con convinzione in Parlamento la legge di iniziativa popolare per il referendum?».Buio anche sulla politica estera, altra trincea cruciale. Isis, guerre, Siria. Il Movimento 5 Stelle tace su tutto. «In particolare sul tema della Nato, qual è la posizione? Grillo o Di Maio?». E poi le “riforme” di Renzi, la “rottamazione” della Costituzione: «Perché non si lancia una forte campagna di opposizione alla riforma costituzionale in vista del referendum sul quale Renzi punta tutto quest’anno?». Paolo Bcechi se n’è accorto: «Si pensa troppo a fare opposizione di facciata, come nel caso della mozione di sfiducia alla Boschi su Banca Etruria». Nel frattempo, la tanto decantata democrazia diretta «è stata da tempo accantonata e sostituita dalla democrazia eterodiretta da Casaleggio». Becchi è deluso? «Sì, tanto che il 31 dicembre ho cancellato la mia iscrizione al Movimento, al quale avevo aderito con grande convinzione e entusiamo; l’ho fatto perché non corrisponde più a quella speranza dell’inizio. Non sono nella testa di Beppe, e non so se questo suo progressivo farsi da parte sia sintomatico di un po’ di delusione anche da parte sua, ma è sempre più politicamente assente. Forse era inevitabile che il Movimento si istituzionalizzasse, ma il sogno è finito».Credevo fosse amore, invece era un calesse. E’ l’amara scoperta del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, fino a ieri considerato co-ideologo del Movimento 5 Stelle. Fine del sogno: non una parola su euro e Nato, cioè le due grandi emergenze, economia a pezzi e politica estera che sta esplodendo di giorno in giorno, a suon di bombe. Grillo? «Ha fatto un discorso di fine anno che era uno spot pubblicitario al suo spettacolo, un intervento teatrale nel quale dice che tutti siamo ologrammi ma, ahimé, è diventato un ologramma pure lui», dice Becchi, intervistato da “Formiche.net”. Strano ma vero, il “Movimento” delle elezioni in rete, dei diktat e delle espulsioni in massa «si sta trasformando in un partito ibrido». A Roma «si può vincere ma si ha paura di farlo e magari non lo si vuole proprio», Dove invece si vuole vincere, «il candidato e la lista vengono blindati e imposti dall’alto come accaduto con Massimo Bugani a Bologna». E, nel frattempo, si puntella Renzi. Come per l’elezione dei giudici costituzionali, dove i 5 Stelle hanno abbandonato la linea dell’opposizione alle nomine renziane. «Il prossimo sarà quello sulle unioni civili», poi verrà «la legge sullo ius soli, anche qui sconfessando Grillo».
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Buttafuoco: scordatevi il Sud. E’ morto, finito, non esiste più
Giù al Sud delle classifiche – il calcolo proposto ogni anno da “Il Sole 24 Ore” lo conferma – è lo stare sotto tutti gli altri. A Sud di ogni Nord c’è tutto un gareggiare nell’arretrare tra Reggio Calabria e Caltanissetta per aggiudicarsi il fanalino di coda dell’azienda Italia mentre l’intero Mezzogiorno smotta sempre di più, di anno in anno, nell’irrilevanza sociale e culturale. Va giù il Sud e il Meridione – espunto dalla narrazione di Matteo Renzi – si conferma come il non luogo della politica. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia quando, sul “Corriere della Sera”, scolpisce questa chiara verità: «L’intera classe dirigente non sa cosa sia il Sud». Ha tentato una risposta d’ufficio un sottosegretario del governo in carica, Claudio De Vincenti ma, appunto, ha fatto come l’oste quando dice che il vino è buono. E’ giù il Sud. Chiunque venga adesso, qui – da dove sto scrivendo – in questo entroterra uguale ai tanti entroterra della vasta provincia meridionale, potrà rendersi conto di una sequenza inesorabile di urgenze: non c’è lavoro, non ci sono neppure più i negozi, l’artigianato è in mutande, gli imprenditori sono solo prenditori di quel che resta degli ultimi spiccioli del denaro di Stato e di giovani neppure l’ombra.Sarà un problema l’immigrazione degli altri ma qui – da dove sto scrivendo – si è tutti scappati di casa. E’ finito, il Sud. L’unica Fiat possibile – il pubblico impiego, la santa mano dell’assistenzialismo pidocchioso – è morta sotto i colpi del debito. Era un paesaggio di soli impiegati il Sud, si mangiava pesante a pranzo, si dormiva il pomeriggio ma le quote di assunzione negli enti si sono esaurite, chi si guardò e si salvò e adesso, per il parastato, per il parassitismo, per la pax sociale, è fi-ni-ta. Non c’è più verso neanche per la politica clientelare perché non è altro che un deserto il Sud, più giù di così – sia Nola o Lamezia, o anche Lampedusa – c’è il Maghreb dove la sabbia avvampa di guerra ma qui, da dove scrivo, il residuo blocco sociale dei trenta-cinquantenni residenti, finché dura potrà fare la cresta sulle pensioni dei propri vecchi, per il dopo, invece, ci sarà da pensarla qualcosa: forse come in Grecia, una legge per le unioni civili, visto che la sinistra – meritatamente in contrapposizione ai clientelismi – la butta in romanticismo in assenza di realismo?Forse non c’è più una pubblica opinione al Sud, forse c’è solo un’onda di generica voga sentimentale tutta di tarante e di eventi perché, certo, è il posto più bello del mondo il Sud. Se c’è cornice più consona all’impalpabile idea della “qualità della vita” altro luogo non può darsi che può che questo. Si torna sempre a Surriento ma si paga il prezzo di uno stupro, qui. Gli italiani non hanno saputo fare quello che i tedeschi hanno realizzato con l’unificazione della Germania e forse perché la Ddr era povera mentre, invece, qui, questo entroterra – da dove scrivo – era ricco e florido e lo sanno bene gli omini chiamati a custodire il deposito aurifero della Repubblica italiana: il 70 per cento dei lingotti ha lo stemma del Regno delle Due Sicilie. Come ancora non ci siano i nuovi Vespri – la rivolta di popolo – non si sa. Come da Napoli in giù, come tutto il Sud, abbia ancora a muggire paziente è un mistero. E’ il non luogo, il Sud. Ed è finito.(Pietrangelo Buttafuoco, “Giù al Sud”, da “Il Fatto Quotidiano” del 28 dicembre 2015, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Giù al Sud delle classifiche – il calcolo proposto ogni anno da “Il Sole 24 Ore” lo conferma – è lo stare sotto tutti gli altri. A Sud di ogni Nord c’è tutto un gareggiare nell’arretrare tra Reggio Calabria e Caltanissetta per aggiudicarsi il fanalino di coda dell’azienda Italia mentre l’intero Mezzogiorno smotta sempre di più, di anno in anno, nell’irrilevanza sociale e culturale. Va giù il Sud e il Meridione – espunto dalla narrazione di Matteo Renzi – si conferma come il non luogo della politica. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia quando, sul “Corriere della Sera”, scolpisce questa chiara verità: «L’intera classe dirigente non sa cosa sia il Sud». Ha tentato una risposta d’ufficio un sottosegretario del governo in carica, Claudio De Vincenti ma, appunto, ha fatto come l’oste quando dice che il vino è buono. E’ giù il Sud. Chiunque venga adesso, qui – da dove sto scrivendo – in questo entroterra uguale ai tanti entroterra della vasta provincia meridionale, potrà rendersi conto di una sequenza inesorabile di urgenze: non c’è lavoro, non ci sono neppure più i negozi, l’artigianato è in mutande, gli imprenditori sono solo prenditori di quel che resta degli ultimi spiccioli del denaro di Stato e di giovani neppure l’ombra.
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Renzi teme il referendum contro le sue riforme piduiste
Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.«Inutile star qui a ricordare che alcuni di quelli che Renzi considera “successi” sono in realtà macelleria sociale, a partire dal Jobs Act e dall’abolizione dell’articolo 18, che hanno consegnato la vita e la dignità di ogni singolo lavoratore dipendente al capriccio delle singole imprese o addirittura dei singoli “capetti” e caporali», scrive Barontini su “Contropiano”. «Inutile anche insistere sulla nauseante vicenda delle quattro banche “salvate” sacrificando i correntisti più ingenui, truffati allo sportello con l’offerta di obbligazioni-carta-straccia». Renzi, in realtà, era stato scelto per la bisogna: «Lo abbiamo messo lì noi», rivendicò allegramente Sergio Marchionne quasi agli inizi. Messo lì, Renzi, «per distruggere definitivamente il patto costituzionale del dopoguerra, già duramente sfibrato dal ventennio berlusconiano e dalla lenta scomparsa di una qualsiasi rappresentanza politica “di sinistra” (la cui azione, insomma, fosse coerente con le parole)».E quindi, conclude Barontini, ha perfettamente senso che il premier non-eletto leghi al referendum d’autunno il suo destino politico, «anche se non giureremmo sulle sue effettive dimissioni in caso di sconfitta». Ma attenzione: «Non c’è solo la nefasta grandezza del legare il proprio nome a una svolta reazionaria di portata storica, che manda in soffitta il “patto tra i produttori” (con tutti i compromessi del dopoguerra) e disegna una Terza Repubblica piduista e repubblichina (in combinazione con l’Italicum), in cui soltanto i ceti dominanti possono disporre di rappresentanza e accedere ai palazzi del potere (o quel che ne è rimasto, dopo i molti trasferimenti di sovranità all’Unione Europea)». Secondo l’analista, c’è anche la certezza di una catastrofe del Pd alle elezioni amministrative di primavera. Soprattutto in quelle città dove, per motivi diversi, il partito del premier è quasi scomparso dalla scena politica: Roma e Napoli. «Due città opposte, con la prima che ha visto il Pd gestire l’amministrazione all’interno del sistema chiamato Mafia Capitale, e la seconda che lo aveva espulso già quattro anni fa, scegliendo De Magistris anziché uno dei tanti maneggioni del circo barnum “democratico”».«Il rottamatore quindi lascia che siano i suoi uomini a gestire e perdere la partita di primavera, svalutandone il significato politico generale già cinque mesi prima delle elezioni. E cerchia in rosso la data del referendum per stabilire se la reazione – con lui al balcone – avrà davvero vinto o no». Per Barontini sarà una partita complicata, «perché la retorica del “nuovo” (le riforme, i giovani ministri sempre sorridenti, le facce ignote – più che nuove – che ammoniscono il popolo ogni giorno dallo schermo) ha in genere facile gioco contro tutto quel che – per le ragioni più diverse, dalle nobili alle ignobili – viene comunque racchiuso sotto l’etichetta del “vecchio”». Se non si vuol essere solo spettatori passivi «bisognerebbe saper rovesciare questi termini», perché «non c’è nulla di più “vecchio” di una società in cui chi non possiede un’impresa non ha nemmeno diritto di parola. Non c’è nulla di più “preistorico” di un rapporto di lavoro in cui il “prestatore d’opera” deve essere sempre flessibile e muto, “liquido” e sostituibile in ogni istante. È il mondo disegnato dal capitale multinazionale e dall’Unione Europea, cui Renzi presta temporaneamente la faccia e le battutine».Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.
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Frode e usura? Per le banche sono la regola, non l’eccezione
Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i codiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.La lista delle banche decotte si sta allungando rapidamente, e continuerà ad allungarsi. Probabilmente il fenomeno verrà pilotato per sopprimere banche locali e territoriali, in favore di quelle più ampie. La classe finanziaria, da quando esiste (cioè dalla Prima Guerra Punica) ad oggi, si è sempre industriata per creare nuovi strumenti giuridici, finanziari, e recentemente anche tecnologici, con cui incrementare (e possibilmente legalizzare) le frodi e l’usura verso i propri clienti, il fisco, le pubbliche amministrazioni. Lo ha fatto pagando la politica e gli organi di controllo, e stringendo alleanze di potere. Nei secoli. Pensiamo solo a come i banchieri, anche i più grossi, in tempi recenti hanno fregato gli enti pubblici con i contratti derivati costruiti da esperti per buggerare contraenti. I governanti del tempo lo sapevano, ma non intervennero, se non con un decreto ambiguo, che permetteva la continuazione delle frodi.In particolare, negli ultimi decenni, attraverso un metodico lavoro di lobbying sulla classe politica, tra le altre cose utili a questi scopi ha ottenuto dal legislatore, negli anni ’90, il ripristino della banca universale, cioè l’abolizione della separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario, nonché, dagli anni ’80 fino all’ultima riforma renziana, la privatizzazione graduale della gestione del finanziamento del debito pubblico e della Banca Centrale di emissione (vedi il golpe monetario del 16 dicembre 2006 e la riforma-regalo del decreto legge 133/2013, che ho analizzato rispettivamente nei saggi “Euroschiavi” e “Sbankitalia”). Con la prima delle due riforme, i banchieri si sono fatti autorizzare a usare, con leve temerarie, i soldi dei depositanti per compiere azzardate speculazioni in vere proprie truffe sui mercati finanziari, regolati e non, mandando spesso le banche a gambe all’aria dopo averne estratto l’attivo patrimoniale ed esserselo intascato, distribuendone parte come bonus ai gestori criminali.Con la seconda riforma, si sono fatti controllori di se stessi – quindi è da sciocchi meravigliarsi se le banche centrali, da loro controllate, anziché impedire questi abusi, li nascondono e li agevolano. Aggiungiamo che, direttamente e indirettamente, la Banca d’Italia è ora partecipata maggioritariamente da finanzieri stranieri. Ovviamente, questo esito non poteva non essere previsto e voluto. Con queste premesse, viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente con un click del mouse. Se pensiamo a quanto inaffidabile (e in conflitto di interessi con la gente) si è dimostrata la classe dei banchieri, la scelta di affidarle addirittura la creazione e il mantenimento in esistenza della moneta – bene pubblico essenziale – manifesta concretamente quanto è servile e criminale la cosiddetta casta politica.Se non lo fosse, tutelerebbe i depositanti in un modo semplicissimo: farebbe una legge in base alla quale i soldi depositati in banca, salvo diverso accordo, rimangano di proprietà del depositante, e non divengono di proprietà della banca (come avviene oggi): in tal modo, quand’anche la banca fallisca, i depositi sarebbero al sicuro. E farebbe una seconda legge per ripristinare la legge Glass-Steagall e per nazionalizzare la banca centrale e magari anche le banche di importanza strategica. Invece questi politicanti complici hanno costruito un sistema in cui la gente comune e gli imprenditori, devono depositare il denaro in banche che da un lato non remunerano i depositi (né le obbligazioni) con ragionevoli tassi di interesse, e dall’altro li possono arrischiare in operazioni pericolose o addirittura sottrarli (per esempio, mediante acquisizioni fraudolente, come quella multimiliardaria della Banca Antonveneta, fino a perderli, senza mai pagare il fio.Quando oggi si parla all’opinione pubblica del problema della sicurezza bancaria e della necessità di riforme, tutte la questione viene appiattita sul presente, sui fatti ultimamente occorsi, e presentata in modo cronachistico, aneddotico. Dalla narrazione viene rigorosamente tenuta fuori la suddetta realtà strutturale, la prospettiva storica dei rapporti tra banchieri, frodi, politica, legislazione, e gli ultimi episodi, dal disastro-scandalo del Monte dei Paschi di Siena, vengono presentati come novità, incidenti, azioni individuali, anziché come episodi di una vicenda che va avanti da secoli, e in cui il potere finanziario ottiene sempre la meglio, cioè riesce a continuare il suo business, perché lavora con metodo, perseveranza e orizzonti di lungo periodo. Eppure sono molti decenni che avvengono bancarotte bancarie e che ogni volta i tromboni istituzionali promettono che è stata l’ultima volta. In effetti, la gente comune preferisce e capisce meglio le narrazioni giornalistiche in chiave aneddotica e morale, emotiva, dove ci sono colpevoli individuali con cui prendersela, che le complesse e lunghe analisi economiche, strutturali, che spiegano le cose in termini di fattori impersonali.Alle volte, dopo crisi di particolare gravità socio economica, avvengono reazioni politiche che lanciano riforme per tutelare gli interessi dell’economia reale, dei lavoratori, dei risparmiatori, contro quelli della rapace classe bancaria. Così fu, nella Roma antica, con certe riforme dei Gracchi e, in tempi recenti, con la legislazione del tipo Glass-Stegall, la quale, a seguito della crisi del ’29, nella metà degli anni ’30, impose in molti paesi la separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario. Ma dopo simili riforme, ogni volta, nel medio-lungo periodo, attraverso il suo metodico lavoro di condizionamento e di corruzione, la classe bancaria (che, a differenza del popolo, è organizzata, attenta e consapevole, nonché lungimirante), regolarmente recupera le posizioni perdute neutralizzando le riforme che ne limitano la libertà di azione e profitto, e avanza verso nuove conquiste di potere e sfruttamento sulla società.Proprio quest’ultima, interminabile crisi economica, con i suoi banchieri super-truffatori che diventano ministri e capi di governo per gestire i disastri da loro stessi creati, e addirittura dettano le regole della sana economia, è l’apoteosi di quanto sopra, e ha trasferito ampie quote del reddito nazionale dai lavoratori e produttori di ricchezza reale ai capitalisti finanziari improduttivi, impadronendosi anche di ulteriori quote di potere politico. Se teniamo presente questa realtà storica, le odierne promesse del governo di fare una riforma del settore del credito nell’interesse dei risparmiatori e a tutela dei loro diritti, appaiono essere pura ipocrisia, l’ennesima frottola da piazzista di provincia – anche senza bisogno di ripercorrere la storia del suo partito politico, e dei suoi alleati cattolici, in relazione alle riforme fatte in materia bancaria dagli anni ’80 ad oggi, tutte meticolosamente studiate per consentire ai banchieri lucrosi abusi di ogni sorta a spese della società civile e produttiva. Le fortune dei politicanti derivati dal vecchio Pci sono dovute proprio alla loro alleanza strutturale col capitalismo finanziario, con la sua capacità di pagare-comprare-remunerare-finanziare i suoi servitori più di ogni altro gruppo organizzato, e coi suoi interessi contrapposti al resto della società. Contrapposti, perché per il capitalismo finanziario le crisi economiche e le guerre sono storicamente le migliori opportunità di profitti ed affermazione.In conclusione, è ovvio rilevare come, anche alla prova dei fatti, il dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai poteri pubblici come condizione per una sana finanza, tanto caro agli europeisti, fa acqua da tutte le parti. Non solo perché quei banchieri centrali, di fatto, stanno dando migliaia di miliardi gratis ai banchieri per operazioni finanziarie mentre non fanno arrivare liquidità all’economia reale, ma anche perché in realtà questo dogma è servito a rendere le banche centrali indipendenti dei controlli pubblici, però (guardacaso!) dipendenti e possedute dai banchieri privati, in modo che questi possono fare quello che vogliono anche con risparmio dei cittadini, controllando l’organo che dovrebbe controllarli, e continuando a presentare bilanci aggiustati ad arte per nascondere le perdite.(Marco Della Luna, “Frode e usura, normalità bancaria”, dal blog di Della Luna del 24 dicembre 2015).Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i cosiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.
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Renzi attacca la Merkel solo per essere ammesso a corte
Attenti a Renzi: la sua “guerra” contro la Merkel non è una semplice mossa diversiva per distrarre gli italiani dagli ultimi scandali, Banca Etruria e la famiglia Boschi. Non è un fuoco di paglia, ma un’offensiva vera e propria, avviata con la richiesta al Consiglio d’Europa di non far scattare in automatico la proproga alle sanzioni contro la Russia. Ma non è che il premier italiano abbia finalmente preso atto dell’insostenibile “regime” europeo, e quindi intenda sfidarlo a viso aperto, per indebolirlo, sulla base di sacrosante istanze sovraniste e democratiche. Al contrario: Renzi aspira ad essere finalmente ammesso in quel club esclusivo, che finora l’ha messo alla porta. Non ha funzionato con le buone? Ora ci prova con le cattive, cioè tentando di “costringere” l’élite a rassegnarsi ad accettarlo a corte, anche solo per controllarlo meglio. Ma non è detto che ci riesca: è stato talmente scaltro, il Fiorentino, da preoccupare persino il vertice europeo del supremo potere: temono che non abbia scrupoli a riservare anche ad alcuni di loro il trattamento con cui in Italia il giovane premier ha liquidato tutti, da Berlusconi a Bersani, incluso Enrico Letta.Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, saggista e massone, già gran maestro della comunione massonica di rito scozzese, confermando una prima analisi fornita da Gioele Magaldi, autore nel 2014 del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: «Renzi è un “bussante”, chiede di essere accolto presso una delle Ur-Lodges, cenacoli massonici del massimo potere internazionale. “Bussa”, ma non gli aprono: non si fidano di lui». Un anno dopo, dai microfoni di “Border Nights”, Carpeoro conferma: «Renzi è ancora fuori dalla porta, non lo vogliono. E allora prova a forzare, attaccando direttamente la Merkel», cioè il politico europeo che più di ogni altro incarna i voleri dell’oligarchia tecnocratica che regge l’Europa. Un super-potere eminentemente apolide e massonico, che agisce nell’ombra ma si avvale di personaggi anche di primissimo piano, come Mario Draghi e Wolfgang Schaeuble, Christine Lagarde del Fmi e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. Letta cenava con Draghi e Napolitano a casa di Eugenio Scalfari? Renzi no. A lui tocca il ruolo di mattatore e rottamatore. Amico dello stragista e super-massone Tony Blair? Non basta, evidentemente. Troppo spregiudicato, l’italiano, persino per i “serial killer dell’economia europea”.Hanno tutti visto la fine che ha fatto fare a Bersani e Letta, dopo aver messo nel sacco anche Berlusconi, spiega Carpeoro, che sottolinea il ruolo-cardine dei cosiddetti poteri forti nei retroscena della politica italiana: «Berlusconi è stato abbandonato di colpo sia dall’Opus Dei che dalla massoneria internazionale neo-oligarchica». Lo dimostrerebbe la doppia defezione, parallela, di Fabrizio Cicchitto, «già stretto collaboratore di Licio Gelli», e dell’attuale ministro dell’interno, la cui permamenza al potere è spiegabile solo attraverso il suo azionista (occulto) di riferimento, «l’Opus Dei». Disarcionato il Cavaliere e neutralizzato Bersani, dopo la parentesi del “venerabile” Mario Monti, Cicchitto e Alfano hanno sostenuto Letta, anch’esso – secondo Carpeoro – in quota all’Opus Dei. Poi, però, è arrivato Renzi. Che “non ha fatto prigionieri”. Ed è andato a sbattere, finora, contro i “niet” della Merkel, che rappresenta esattamente i super-poteri europei che fanno capo ai super-poteri della periferia, compresa quella italiana.Per questo, conclude Carpeoro, oggi Renzi tenta il Piano-B: l’attacco. «La guerra ormai è partita, e ne vedremo le conseguenze. Renzi e Merkel: difficilmente lo sconfitto potrà sopravvivere, politicamente». E’ lo schema tattico del “vero potere”: «Difficilmente fabbricano leader, preferiscono stare a guardare e muoversi di conseguenza, schierandosi col vincente», allo scopo ovviamente di reclutarlo per la loro causa, facendone un semplice esecutore. «Lo hanno sempre fatto: prima hanno mollato Berlusconi quando hanno capito che poteva più servirgli, poi hanno appoggiato Letta», quindi hanno assistito alla capitolazione di Letta operata in modo sfrontato da Renzi, e oggi stanno a vedere come se la cava, il Rottamatore, con la signora Merkel. Unico dato certo: il gioco è questo, l’obiettivo del premier italiano non è certo una sollevazione democratica contro l’oligarchia di Bruxelles, Berlino e Francoforte. E il Movimento 5 Stelle? «Potrà avere una chance di governo solo se starà bene agli americani», taglia corto Carpeoro, sicuro che il movimento di Grillo (e Casaleggio) sia nato «su esplicita autorizzazione degli Usa», come “gatekeeper” in grado di interpretare, convogliare e quindi controllare la protesta.Attenti a Renzi: la sua “guerra” contro la Merkel non è una semplice mossa diversiva per distrarre gli italiani dagli ultimi scandali, Banca Etruria e la famiglia Boschi. Non è un fuoco di paglia, ma un’offensiva vera e propria, avviata con la richiesta al Consiglio d’Europa di non far scattare in automatico la proproga alle sanzioni contro la Russia. Ma non è che il premier italiano abbia finalmente preso atto dell’insostenibile “regime” europeo, e quindi intenda sfidarlo a viso aperto, per indebolirlo, sulla base di sacrosante istanze sovraniste e democratiche. Al contrario: Renzi aspira ad essere finalmente ammesso in quel club esclusivo, che finora l’ha messo alla porta. Non ha funzionato con le buone? Ora ci prova con le cattive, cioè tentando di “costringere” l’élite a rassegnarsi ad accettarlo a corte, anche solo per controllarlo meglio. Ma non è detto che ci riesca: è stato talmente scaltro, il Fiorentino, da preoccupare persino il vertice europeo del supremo potere: temono che non abbia scrupoli a riservare anche ad alcuni di loro il trattamento con cui in Italia il giovane premier ha liquidato tutti, da Berlusconi a Bersani, incluso Enrico Letta.
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Troppe tasse, niente lavoro. Fassina e soci non lo sanno?
Nei giorni scorsi mi è capitato di assistere, presso il Concetto Marchesi, all’affollatissimo incontro con Alfredo D’Attorre che presentava Sinistra italiana. Sala gremita e molto interesse, però devo dire di non aver ricevuto una gran buona impressione della nuova formazione politica, che tanto nuova non mi pare. A cominciare dallo stile: un oratore ufficiale che parla per oltre un’ora di fila, magari punteggiando con numerosi “ed avviandomi alle conclusioni”, “un’ultimissima considerazione” (dopo di che sproloquia per altri 15 minuti, peraltro continuando a non dir nulla). E’ l’insopportabile cifra stilistica del classico dirigente che ammaestra le masse (che non ascolta mai). Roba vista troppe volte. E peggio ancora se poi infila una serie di castronerie che rivelano che non conosce le cose di cui parla. E passi per la solita tirata onirica su “un altro euro ed un’altra Ue” (non si può proibire a nessuno di sognare), ma che, nel 2015, qualcuno dica che “occorre battersi perché vengano respinte le direttive europee in contrasto con la Costituzione che deve prevalere”, ignorando: a. che ci sono dei trattati che stabiliscono esattamente il contrario; b. che sin dal 1984 si è formata una costante giurisprudenza costituzionale di segno contrario, che si può anche non condividere, ma che per ora fa testo. E magari, dopo 30 anni, ci si può anche informare.Ma quello che mi ha peggio impressionato sono stati i silenzi: non ho sentito né la parola “Etruria” né quella “fisco”. C’è stato, sì, un rapidissimo passaggio sulla questione delle banche, ma quanto di più generico e superficiale si possa immaginare. Sinistra Italiana ha decentemente votato la mozione di sfiducia contro la Boschi presentata dal M5S, ma non mi pare di aver sentito alcuna particolare enfasi nella denuncia delle malefatte di quella banca e dei suoi protettori politici. C’è da chiedersi quale sarebbe stato il comportamento se, al posto della Boschi, ci fosse stato Berlusconi o la Carfagna o la Gelmini. Ma il punto più dolente è quello del fisco, semplicemente ignorato da D’Attorre che si è profuso in (genericissime) indicazioni sulla battaglia per l’occupazione. Giustissimo; ma, ci fosse stato tempo per il dibattito (reso invece impossibile dal fatto che l’augusto dirigente ha terminato la sua alluvionale esternazione alle otto meno un quarto) gli avrei chiesto “Ma come si fa a produrre più occupazione con questa pressione fiscale?”.Senza una ripresa dei consumi non può esserci alcuna ripresa occupazionale e, se la tasche della gente sono prosciugate dal fisco, come pensate che i consumi possano risalire? Quanto alle aziende, strette nella morsa dei tassi da usura praticati dalle banche e pressione del fisco, è così strano che chiudano a raffica, mettendo centinaia di migliaia di persone in mezzo ad una strada? Ma la sinistra è convinta che la lotta contro l’eccessivo prelievo fiscale sia una parolaccia, una cosa da lasciare alla destra. E se Renzi accenna a qualche demagogica promessa di tagli alle tasse, lo si attacca non perché le sue sono promesse da marinaio, ma perché bisogna battersi per mantenere le tasse sulla casa in nome della lotta ai “ricchi”. E ovviamente, senza che ci sia alcuna azione per colpire le rendite finanziarie. Penoso, francamente penoso. E le premesse per l’ennesima sconfitta di questa sinistra da salotto e da terrazza romana sono già tutte presenti. E’ solo l’ennesima replica di un film visto troppe volte. Auguri!(Aldo Giannuli, “Sinistra Italiana, il fisco e una minestra riscaldata”, dal blog di Giannuli del 23 dicembre 2015).Nei giorni scorsi mi è capitato di assistere, presso il Concetto Marchesi, all’affollatissimo incontro con Alfredo D’Attorre che presentava Sinistra italiana. Sala gremita e molto interesse, però devo dire di non aver ricevuto una gran buona impressione della nuova formazione politica, che tanto nuova non mi pare. A cominciare dallo stile: un oratore ufficiale che parla per oltre un’ora di fila, magari punteggiando con numerosi “ed avviandomi alle conclusioni”, “un’ultimissima considerazione” (dopo di che sproloquia per altri 15 minuti, peraltro continuando a non dir nulla). E’ l’insopportabile cifra stilistica del classico dirigente che ammaestra le masse (che non ascolta mai). Roba vista troppe volte. E peggio ancora se poi infila una serie di castronerie che rivelano che non conosce le cose di cui parla. E passi per la solita tirata onirica su “un altro euro ed un’altra Ue” (non si può proibire a nessuno di sognare), ma che, nel 2015, qualcuno dica che “occorre battersi perché vengano respinte le direttive europee in contrasto con la Costituzione che deve prevalere”, ignorando: a. che ci sono dei trattati che stabiliscono esattamente il contrario; b. che sin dal 1984 si è formata una costante giurisprudenza costituzionale di segno contrario, che si può anche non condividere, ma che per ora fa testo. E magari, dopo 30 anni, ci si può anche informare.
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Etruria e Boschi? No, Russia e Merkel. Così Renzi ci distrae
«Renzi è il primo ministro italiano che applica le regole dello spin e dunque della manipolazione mediatica. La sua loquacità è spontanea ma l’uso degli slogan, la costruzione delle frasi ad effetto, il richiamo ai luoghi comuni e non da ultimo la conoscenza dei tempi dei media sono chiaramente il frutto di un approccio professionale, agli italiani sconosciuto». Berlusconi? Anche lui è (stato) uno straordinario comunicatore, ma «non si è mai fatto guidare da altri», scrive Marcello Foa. «Quando era al governo faceva sempre di testa sua, lasciandosi ispirare solo dal suo fiuto. Il suo portavoce Bonaiuti aveva il non facile compito di assecondarlo e di cercare di rimediare alle gaffe o alle uscite inopportune, tipiche di chi comunica di istinto senza programmare troppo». Il portavoce di Renzi, invece, si chiama Filippo Sensi: è uno spin doctor professionista, si è formato nel mondo anglosasssone. E, come molti spin doctor, è un ex giornalista. «Lui e Renzi non lasciano nulla al caso: calibrano tutto, salvaguardando l’apparenza di una comunicazione semplice e accessibile, che invece è il frutto di un attento calcolo».Se le cose vanno bene, scrove Foa nel suo blog sul “Giornale”, il ruolo dello spin doctor è relativo: «Quando aveva il vento in poppa, Renzi (come Berlusconi) avrebbe potuto fare tutto da solo». Lo spin doctor diventa decisivo quando si tratta di gestire la comunicazione di un governo, i cui ritmi sono asfissianti, e soprattutto quando bisogna affrontare difficoltà impreviste. «Da quando è scoppiato lo scandalo della Banca Etruria, il premier e Sensi applicano chiaramente tecniche di spin difensivo», che Foa ha evocato nel saggio “Gli stregoni della notizia”. «Sottoposti a un attacco o di fronte a uno scandalo, bisogna cercare di: a) negare; b) se non è possibile negare, minimizzare; c) se non è possibile mimizzare, screditare; d) se non è possibile screditare, distrarre». Come si è comportato il governo Renzi nell’ultimo mese, sotto la bufera degli scandali bancari? «Dapprima ha cercato di far finta di nulla, poi di minimizzare l’accaduto, poi di trovare un capro espiatorio; ma quando è esplosa la “bomba Boschi”, che ha vanificato ogni manovra, è stato costretto a ricorrere all’arma suprema: la distrazione».Eclatante il tentativo di Renzi di bloccare il rinnovo automatico delle sanzioni europee alla Russia. «Scrivevo che non sapevamo le ragioni della svolta che, nonostante alla fine non sia stata accolta dal Consiglio Europeo, era autentica», dice Foa. «Oggi possiamo intuirle: servivano anche – anzi, soprattutto – a distrarre gli italiani, a far apparire Renzi come l’unico leader che ha il coraggio di parlare contro una sempre più impopolare Europa». Lo stesso è accaduto pochi giorni fa, con titoli di giornale «straordinariamente retorici», come “Renzi contro la Merkel”, “La sfida è tra Germania e Italia”. «Non mi è stato difficile leggere la trama, tecnicamente perfetta: intervista al “Financial Times”, subito ripresa dai media italiani, da sempre molto sensibili alle pressioni non sempre amichevoli di Sensi», e quindi «grande emozione in patria, seguita da una molto meno reclamizzata precisazione diplomatica a una Germania tutt’altro che turbata, ben conoscendo l’italico premier, il quale è tanto spavaldo in patria, quanto timido e ininfluente sulla scena internazionale». Tempesta in un bicchier d’acqua? Sì, ma il fine (mediatico) è stato raggiunto: «Per qualche giorno, lo scandalo bancario è stato scalzato dai titoli di testa». Poi è arrivato il Natale. «Ha anche fortuna, “il bomba”».«Renzi è il primo ministro italiano che applica le regole dello spin e dunque della manipolazione mediatica. La sua loquacità è spontanea ma l’uso degli slogan, la costruzione delle frasi ad effetto, il richiamo ai luoghi comuni e non da ultimo la conoscenza dei tempi dei media sono chiaramente il frutto di un approccio professionale, agli italiani sconosciuto». Berlusconi? Anche lui è (stato) uno straordinario comunicatore, ma «non si è mai fatto guidare da altri», scrive Marcello Foa. «Quando era al governo faceva sempre di testa sua, lasciandosi ispirare solo dal suo fiuto. Il suo portavoce Bonaiuti aveva il non facile compito di assecondarlo e di cercare di rimediare alle gaffe o alle uscite inopportune, tipiche di chi comunica di istinto senza programmare troppo». Il portavoce di Renzi, invece, si chiama Filippo Sensi: è uno spin doctor professionista, si è formato nel mondo anglosasssone. E, come molti spin doctor, è un ex giornalista. «Lui e Renzi non lasciano nulla al caso: calibrano tutto, salvaguardando l’apparenza di una comunicazione semplice e accessibile, che invece è il frutto di un attento calcolo».
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Berlino: guerra alle nostre banche (le loro, salvate da noi)
La Germania non vuole che l’Italia salvi le sue banche traballanti, anche se il nostro paese ha contribuito al salvataggio di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo, mettendo al sicuro la finanza tedesca. E’ una dichiarazione di guerra, quella che ha raccolto Federico Fubini sul “Corriere della Sera”, da parte di Lars Feld, uno dei “cinque saggi” che consigliano il governo tedesco e probabilmente il più vicino al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Feld pretende che l’Italia ricorra al bail-in, senza misericordia. Bail-in, spiega il “Foglio”, significa «azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100.000 euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato». È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore il 1° gennaio. Fubini domanda: «Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?». Feld risponde: «Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100.000 euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi».
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Linkiesta: caso Banca Etruria, ma Saviano ci è o ci fa?
Sul crac delle piccole banche salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello dell’orrido Berlusconi.Prima questione. Banca Etruria e le altre banche erano tecnicamente fallite? Probabilmente sì. E se il governo non fosse intervenuto com’è intervenuto, agli azionisti, agli obbligazionisti, ai correntisti, alle famiglie e alle imprese cui le banche avevano concesso credito sarebbe andata molto peggio, come ha spiegato molto bene il direttore di “Formiche” Michele Arnese in uno degli articoli più chiari e completi sulla vicenda. Voleva questo, Saviano? Sperava che le quattro banche fallissero? Che anche i correntisti, le famiglie e le imprese pagassero come hanno pagato gli azionisti e gli obbligazionisti? Evidentemente sì. Allora non si capisce perché, solo poche righe dopo, il giornalista-scrittore parli con trasporto della «tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria», come se fosse stato il governo, salvando le quattro banche, a spingerlo al suicidio, come se qualunque altra soluzione non avrebbe messo lui e molti altri nella medesima situazione. Quindi, giusto per mettere un punto e a capo: non è il governo che ha spinto al suicidio Luigino D’Angelo, bensì i guai della banca a cui aveva affidato tutti i suoi risparmi. L’intervento del governo, semmai, ha evitato disastri peggiori.Seconda questione. Se Josefa Idem si è dimessa per un piccolo caso di evasione fiscale, la ministra Boschi dovrebbe dimettersi perché suo padre «è» il vicepresidente di una delle quattro banche tecnicamente fallite e salvate dal governo. «È», dice Saviano. Indicativo presente. E non pago, definisce Banca Etruria «la banca di suo padre», come se la sede dell’istituto di credito fosse nel giardino di casa Boschi. Piccolo dettaglio: Pier Luigi Boschi è stato sì in passato, vicepresidente di quella banca, ma per soli otto mesi. Dettaglio non irrilevante, ai fini dell’invettiva. Peraltro, se la Idem si è dimessa per un caso che riguardava lei stessa, non vediamo perché la Boschi dovrebbe dimettersi per un caso che – fino a che il diritto non dirà che le colpe dei padri ricadono sui figli, perlomeno – non la riguarda personalmente. Per opportunità? O meglio, per rispondere alla «carica moralizzatrice del Movimento Cinque Stelle», che altro non è che la presunzione di colpevolezza, sempre, comunque e a prescindere, pure indiretta in questo caso? No grazie, caro Roberto.Terza questione: fino a ieri, dice Saviano, c’era una folta schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali che «si sono sentiti investiti di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana». Perché c’era Berlusconi, il Caimano. È grazie a loro, sostiene, se non siamo diventati la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Cosa che, sottintende, potrebbe succedere oggi, perché «l’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti». «Perché – si chiede – sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità politica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre?». Tradotto: belli i tempi in cui si poteva beatamente sorvolare il merito delle questioni in nome dell’emergenza democratica.Delle due, una, quindi. Se Saviano è davvero convinto di quel che dice – che le banche non andassero salvate, che è stato il salvataggio di Banca Etruria ad aver ammazzato Luigino D’Angelo, che Banca Etruria sia «la banca di Pier Luigi Boschi», che per questo sua figlia dovrebbe rimettere il mandato e che chi non la pensa come lui è connivente con una specie di regime peggiore di quello di Berlusconi – possiamo chiuderla qui, stendendo un velo di pietosa indifferenza sul suo intervento. Se invece ha usato una tragedia umana – non umanitaria, come dice il ministro Padoan, ma umana – per attaccare il governo Renzi – o, peggio ancora, per legittimarsi come capopopolo dei suoi oppositori, di veli pietosi ne servirebbero ben più d’uno.(Francesco Cancellato, “Caso Banca Etruria: ma Saviano ci è o ci fa?”, da “Linkiesta” del 12 dicembre 2015).Sul crac delle piccole banche salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello dell’orrido Berlusconi.