Archivio del Tag ‘Messico’
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Il grande bluff: Italia a picco, ma Saccomanni sorride
I dati di novembre 2013 sul commercio estero dell’Italia indicano 360 miliardi di euro di esportazioni da inizio anno contro 330 miliardi di importazioni. Il saldo commerciale è di 30 miliardi. Sembra una buona notizia confrontato con i 10 miliardi del 2012. Peccato che sia dovuto al calo delle importazioni per il collasso della domanda interna. Gli italiani stanno stringendo la cinghia. Fino ad ora la crescita delle esportazioni ha limitato il crollo del Pil dovuto al calo dei consumi domestici, ma le cose stanno cambiando. A novembre 2012 le esportazioni sono state in calo del 2% su ottobre. Se le esportazioni diminuiscono ci si avvia a un calo del Pil anche nel quarto trimestre 2013 con buona pace di Saccomanni e del suo tunnel. In questi giorni il quadro economico sta cambiando (in peggio). Dall’Argentina a Turchia, Messico, Russia, le valute extra euro sono sotto pressione per motivi monetari, economici e politici. Questo rafforza l’euro a danno delle nostre esportazioni, tipico di chi ha un’economia debole e una moneta forte.La Banca d’Italia ha rivisto al ribasso la sua stima di Pil per il 2014: a 0,7% contro 1,1% stimato dal governo. Stessa cosa ha fatto il Fmi. Tra pochi mesi ci sarà il segno meno davanti a questi numeri (scommettiamo?) e verrà detto che la ripresa arriverà nel 2015 (si allunga il tunnel). La stessa Banca d’Italia prevede la disoccupazione in aumento fino al 2015. Ci si chiede: quando a Roma si sveglieranno? Ogni politica economica si concede dei margini di fallimento, raggiunti i quali si prende atto che non funziona. Si cambia rotta. Fino a quando si è disposti far salire la disoccupazione per ammettere che l’Eurozona non funziona? Disoccupazione al 30%? La situazione peggiora, come qualunque cittadino vedecon i suoi occhi, ma nessuno fa mea culpa. Hanno creato la “realtà economica alterata”. Dicono, pieni di orgoglio: «Guardate, lo spread sceso sotto i 200 punti». E anche qui mentono sapendo di mentire.Lo spread si è dimezzato in 24 mesi, ma quello che conta è il costo REALE del debito, quindi quanto potere d’acquisto devono cedere i contribuenti al Tesoro attraverso le tasse per finanziare il rimborso delle cedole sui titoli di Stato. Se si guarda allo spread reale nulla è cambiato, perché anche l’inflazione è in crollo verticale. Da fine 2011 l’inflazione è scesa da 3% a 0.7% in Italia, e in Germania da 2,5% a 1,5%. Lo spread reale, dedotta l’inflazione, allora era 2,5% oggi è più o meno quello. Ci finanziavamo allora al 5,5% di interesse sui titoli con l’inflazione al 3%. Oggi ci finanziamo al 3% con l’inflazione a 0,7%. Trucchi da prestidigitatori, ma il portafoglio non ammette trucchi.Lo spettro in arrivo per i mercati si chiama deflazione, in sostanza inflazione negativa. In deflazione ci sono già Grecia (-1,8%) e Cipro (-1,3%), mentre il Portogallo è prossimo con uno 0,2% seguito dalla Spagna a 0,3%. La Francia è a un tasso di inflazione dello 0,8% e la Germania di 1,2%. L’intera Eurozona è scesa a 0,8% a dicembre contro 0.9% a novembre. E l’Italia? Come detto, è crollata dal 3% di due anni fa a 0,7%. Tutti negano uno scenario da decade giapponese di zero crescita e inflazione negativa, ma sta succedendo. Lo stesso Draghi per la prima volta ha citato la parola deflazione come rischio reale. Per l’Italia come per ogni paese ad alto debito la deflazione è un dramma perché, in assenza di crescita, pone il debito/Pil in una traiettoria esponenziale.L’Italia è avviata verso l’insostenibilità del debito/Pil (con il debito che sale mentre il Pil è in diminuzione) eppure i mercati continuano a comprare il nostro debito. Sembra un mistero, ma non lo è. Il motivo è presto detto: con questo governo eterodiretto da Draghi, i mercati si sentono protetti, sanno che ci sono le tasse, i risparmi ed il patrimonio degli italiani a salvaguardia delle ricche cedole che banche e investitori incassano sui nostri titoli, e alla fine pagherà Pantalone. E’ il più grosso trasferimento di ricchezza dalle famiglie alla finanza che il nostro paese abbia mai visto. Con il Grande Bluff l’Italia è avviata verso la miseria.(“Il Grande Bluff”, dal blog di Beppe Grillo del 25 gennaio 2014).I dati di novembre 2013 sul commercio estero dell’Italia indicano 360 miliardi di euro di esportazioni da inizio anno contro 330 miliardi di importazioni. Il saldo commerciale è di 30 miliardi. Sembra una buona notizia confrontato con i 10 miliardi del 2012. Peccato che sia dovuto al calo delle importazioni per il collasso della domanda interna. Gli italiani stanno stringendo la cinghia. Fino ad ora la crescita delle esportazioni ha limitato il crollo del Pil dovuto al calo dei consumi domestici, ma le cose stanno cambiando. A novembre 2012 le esportazioni sono state in calo del 2% su ottobre. Se le esportazioni diminuiscono ci si avvia a un calo del Pil anche nel quarto trimestre 2013 con buona pace di Saccomanni e del suo tunnel. In questi giorni il quadro economico sta cambiando (in peggio). Dall’Argentina a Turchia, Messico, Russia, le valute extra euro sono sotto pressione per motivi monetari, economici e politici. Questo rafforza l’euro a danno delle nostre esportazioni, tipico di chi ha un’economia debole e una moneta forte.
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Figli di un’Italia fallita: la ferocia liberatoria di Virzì
Negli anni della sedicente rinascita della commedia (i Brizzi, i Genovese, i Miniero, i Bruno), finalmente un film italiano riprende lo spirito originario della commedia all’italiana – quella ferocia autodiretta e quella disperazione che segnarono (con “Il sorpasso” e “Io la conoscevo bene” da una parte dello spettro temporale, e “Un borghese piccolo piccolo” e “La terrazza” dall’altra) una specie di controstoria morale del nostro paese: un’Italia che si disfece del fascismo solo di facciata per reindossarlo immediatamente sotto la maschera della Democrazia Cristiana, diede vita a una borghesia immorale e moralista, si fece vanto del peggior familismo premoderno, e in nome dell’illusione perenne di diventare una nazione adulta si tramutò invece nella patria di un rovinoso infantilismo. Un paese che uccise i più giovani e i più innocenti – una Adriana Astarelli di “Io la conoscevo bene” o un Roberto Mariani del “Sorpasso” – e lasciò sopravvivere chi aveva perduto qualsiasi anima.Nel “Capitale umano” di Paolo Virzì la vittima sacrificale è un cameriere che tornando in bici su una strada notturna dopo un ricevimento viene investito da un fuoristrada guidato da non si sa chi. Da qui parte un thriller lento, semplice ma senza sbavature, che racconta le due famiglie di una Brianza immaginaria da cui la sera dopo l’incidente la polizia busserà alla porta per capire cosa è successo: quella dei ricchissimi Giovanni (Fabrizio Gifuni) e Carla (Valeria Bruni Tedeschi) Bernaschi e di loro figlio Massimiliano (Guglielmo Pinelli); e quella medioborghese dell’immobiliarista parvenu Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) della sua compagna psicologa Roberta Morelli (Valeria Golino) e della figlia di lui, Serena (Matilde Gioli).Tenuto su da una regia mai leziosa nonostante un uso continuo di dolly e carrelli e di un montaggio quasi a incastro perché funzionale a una sceneggiatura in quattro capitoli di cui i primi tre raccontano, con sovrapposizioni e giochi di specchio, la storia da tre punti di vista diversi (quello di Dino, quello di Carla e quello di Serena), “Il capitale umano” sembra veramente un film alla lettera eccezionale, un film non italiano verrebbe da dire, o anti-italiano; complice forse la fotografia cupissima dei francesi Jérôme Alméras e Simon Beuflis, e la possibilità data agli attori di recitare secondo una tecnica e uno scopo e non secondo una maniera: Gifuni tira fuori il suo mestiere teatrale (gli accenti gaddiani rimodulati in un ominicchio brianzolo, le mosse elettriche di una psiche implosa) nel dar vita al glaciale Bernaschi, Bentivoglio dà sfogo alla sua vena comica sordiana senza tema di dover dare una tridimensionalità inutile a uno zanni meschinissimo, Bruni Tedeschi usa una specie di understatement inquietante con cui può permettersi di scivolare su qualunque emozione, e Golino è straordinaria nel far leva, unica del gruppo, su un codice naturalistico, proprio per dar corpo al solo personaggio adulto ancora dotato di un cuore. (Meno efficace, ma perché più abbozzato il personaggio, la recitazione di Luigi Lo Cascio, amante intellettuale della signora Bernaschi).Il ritratto generazionale che Virzì tratteggia di queste due coppie è finalmente impietoso. Feroce e per questo liberatorio. Dopo aver visto per anni film che traboccavano di indulgenza per questa generazione nata tra i ’50 e ’60 (compresi quelli di Bruni o di Virzì stesso), figlia minore di una fierezza politica che s’illuse di cambiare l’Italia e per campare si trovò a ereditare titoli di stato gonfiati e case cadenti da affittare, e finì per darsi in pasto ai Berlusconi, ai suoi epigoni più deprimenti (il leghismo delle fabricchette), o a un postcomunismo che del Pci conservò solo l’ipocrisia. Gente che aveva sbagliato tutto e si faceva scudo però di un’innocenza preventiva; che rimpiangeva un’età dell’oro della contestazione e non sapeva dare uno straccio di educazione ai figli; arricchiti senza merito, traditori se non idioti: per tutti questi Virzì finalmente ha trovato, con l’aiuto di un clinico e luminoso romanzo americano (Il capitale umano di Stephen Amidon rimodellato per i nostri schermi con Francesco Bruni e Francesco Piccolo) le parole per indicare le responsabilità della rovina di un paese. Quando alla fine Carla Bernaschi guarda in macchina attraverso lo specchio e sentenzia: «Avete scommesso sulla rovina del nostro paese e avete vinto», suo marito Giovanni giustamente la corregge, ed è come se indicasse direttamente noi spettatori: “Abbiamo vinto, ci sei anche tu”, le (e ci) dice. Nessuno è innocente, cara.Mentre vedevo il film e pensavo alle demenziali polemiche sulla Brianza, presuntamente dileggiata da Virzì, mi venivano in mente due cose. La prima, la “Cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda. Ecco qual è l’unico paesaggio che può raccontare il disastro spirituale di un’epoca lunghissima come quella di un’Italia sempiternamente fascista: la Brianza messicana di Gadda. Le sue ville, i suoi ricevimenti, le sue fintissime lacrime e falsissime gioie. Virzì avrà pensato, piuttosto che a dileggiare, a trovare come Gadda un détournement degli industrialotti vacui, dei mobilifici Aiazzone. Come è metafisica la Brianza della “Cognizione del dolore”, anche qui l’astrattezza del luogo è data dal semplice motivo che la crisi globalizzata e la finanziarizzazione dell’economia ha trasformato anche le case, i focolari domestici, in non-luoghi.La seconda cosa che mi è venuta in mente sono alcune foto del progetto “Corpi di reato” di Alessandro Imbriaco, Tommaso Bonaventura e Fabio Severo, alcune foto tipo questa. E’ un’immagine scattata in uno dei paesini della Lombardia dove i consigli comunali sono stati indagati per infiltrazioni camorristiche e ndraghetiste. Sotto le fondamenta di queste case, sotto questo pratino curato come in una foto di un rendering, le organizzazioni criminali hanno sversato quintali di rifiuti tossici. Ecco, la sensazione che si prova vedendo “Il capitale umano” è la stessa. Che ci sia stata una generazione, vestita bene, che gioca a tennis tutti i venerdì mattina, che è stata complice – se non collusa, silente – con il disastro di una nazione. E che di fronte a certe responsabilità sociali, ora non le si concede altro scampo che la pietà umana o la pena. Incapaci di fare i genitori, perché competitivi contro i propri figli, inetti a dare testimonianza o passare un’eredità morale, edonisti senza libertà, la sola speranza che hanno lasciato è che questi figli siano il più presto possibile in grado di sbarazzarsi dei padri (ucciderli o quantomeno renderli innocui), di diventare orfani, per poter assumersi il compito che la generazione precedente non è nemmeno stata capace di riconoscere come proprio.(Christian Raimo, “La ferocia liberatoria de Il capitale umano, di Paolo Virzì”, da “Minima et moralia” dell’11 gennaio 2014).Negli anni della sedicente rinascita della commedia (i Brizzi, i Genovese, i Miniero, i Bruno), finalmente un film italiano riprende lo spirito originario della commedia all’italiana – quella ferocia autodiretta e quella disperazione che segnarono (con “Il sorpasso” e “Io la conoscevo bene” da una parte dello spettro temporale, e “Un borghese piccolo piccolo” e “La terrazza” dall’altra) una specie di controstoria morale del nostro paese: un’Italia che si disfece del fascismo solo di facciata per reindossarlo immediatamente sotto la maschera della Democrazia Cristiana, diede vita a una borghesia immorale e moralista, si fece vanto del peggior familismo premoderno, e in nome dell’illusione perenne di diventare una nazione adulta si tramutò invece nella patria di un rovinoso infantilismo. Un paese che uccise i più giovani e i più innocenti – una Adriana Astarelli di “Io la conoscevo bene” o un Roberto Mariani del “Sorpasso” – e lasciò sopravvivere chi aveva perduto qualsiasi anima.
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Benetazzo: scordiamoci l’Italia, sta per essere cancellata
Scordatevi questa Italia: sarà cancellata. Finito nella tagliola dell’euro che priva lo Stato della capacità di finanziarsi a costo zero, il governo di turno è “costretto” a super-tassare famiglie e aziende. E non potendo più far ricorso alla banca centrale per controllare il debito, ricorre alla svendita dei gioielli di famiglia: Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire anche l’Eni. Enrico Letta si appresta a svendere per battere cassa, nella speranza di racimolare almeno 10 miliardi? «Ormai ci siamo: a farla grande, si tratta di aspettare ancora 18 mesi». Dopodiché, secondo Eugenio Benetazzo, «il destino di contribuenti, pensionati e risparmiatori italiani sarà presto delineato». E stavolta «non ci saranno mezze misure», perché «il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione». Chi spera nell’avvento del “Regno di Renzi” si illude: anche il sindaco di Firenze pensa a una colossale dismissione del patrimonio pubblico. Eseguendo, alla lettera, il famoso diktat della Bce che detronizzò Berlusconi a fine 2011, aprendo la strada al governo Napolitano-Monti.La svendita del paese, ricorda Benetazzo sul suo blog, è una ingloriosa esclusiva del centrosinistra: prima Amato, poi D’Alema e quindi Prodi. «Si vende l’argenteria, per pagare i debiti contratti per giocare alle slot machine». Ormai ci siamo: senza un Piano-B, si salvi chi può. «Non ci saranno scialuppe per tutti, molti faranno la fine di tante povere pecore: scannati vivi». E non serviranno a nulla «il pianto in diretta presso il talk show di turno, l’appello di qualche autorità rinsavita o le esternazioni prosaiche formulate dagli ambienti cattolici». Non si scappa: la strada è segnata da quella maledetta lettera firmata da Draghi e Trichet, col pretesto di «mettere il paese in sicurezza economica e finanziaria», dopo l’esplosione dello spread gonfiato dallo stesso super-potere finanziario con l’obiettivo di mettere in crisi l’Italia per poi sbranarla comodamente, a prezzi di saldo, con la complicità del personale politico nazionale. Le chiamano “riforme strutturali”: quanto accadrà nei prossimi mesi non è altro che l’applicazione di quella lettera. «Andatevela a rileggere e studiare, nei minimi dettagli», scrive Benetazzo. Era tutto scritto: dopo aver messo mano a pensioni e risparmi, sarà “obbligatorio” intervenire su quei gangli vitali che finora nessuno ha avuto il coraggio di modificare.Quelli della lettera? Potranno sembrare «capisaldi di buon senso, necessari per sgravare il peso della attuale fiscalità diffusa», almeno per provare a rimettere in moto «un paese che tra otto anni sarà scalzato dal Messico e dal Brasile». Chi non ha “visto” subito il pericolo – lo smantellamento del sistema-Italia – tenterà una retromarcia per salvarsi. Ma ormai sarà troppo tardi anche per i «diversamente rinsaviti». Quelli che pagheranno il conto più amaro, continua Benetazzo, saranno proprio quei soggetti che hanno vissuto per decenni «dentro una cupola intoccabile», cioè i dipendenti pubblici e parastatali: «Finalmente capiranno che cosa significa, semanticamente, il termine di “equità sociale” quando calerà la scure del Memorandum of Undestanding affiancato dalle Omt, Outright Monetary Transactions». Sarà la fine del paesaggio socio-economico al quale siamo abituati da sempre. Se qualcuno dei tagli farà piazza pulita di alcune storture, il risultato sarà devastante: terra bruciata, là dove c’era la comunità nazionale italiana.Succederà a colpi di imposizioni europee, quando non avremo più risorse a cui attingere: aumento della concorrenza nei servizi pubblici (fine delle baronie e dei feudi di famiglia, ma probabilmente tariffe più care) e nuova fiscalità, per rendere le imprese italiane più competitive (fine dell’Irap e diminuzione dell’Ire). Poi: “razionalizzazione” dell’assistenza sanitaria, ovvero «assicurazioni private ove non sussista più l’intervento generico dello stato sociale», con tanti saluti al welfare sanitario universale. Il mercato del lavoro? Più “dinamico ed efficiente”. Traduzione: «Libertà di licenziamento senza obblighi di reintegro». In agenda anche la “liberalizzazione dei servizi professionali”, quindi la fine degli ordini professionali, e la “riforma della contrattazione sindacale”, cioè il ridimensionamento del potere contrattuale di sindacati ormai rassegnati a negoziare solo la perdita dei diritti del lavoro. Altro capitolo, il “miglioramento dell’efficienza amministrativa”, ovvero: «Inserimento di indicatori di performance per i dipendenti pubblici per la valutazione del loro operato». E naturalmente, “snellimento dei centri di responsabilità”. Leggasi: abolizione del Senato e delle Province, e accorpamento dei Comuni, cioè gli ultimi centri istituzionali ancora controllabili dai cittadini mediante l’istituto delle elezioni. A volte la democrazia ha funzionato? Niente paura: laddove rischia di ostacolare il business, verrà semplicemente rimossa.Scordatevi questa Italia: sarà cancellata. Finito nella tagliola dell’euro che priva lo Stato della capacità di finanziarsi a costo zero, il governo di turno è “costretto” a super-tassare famiglie e aziende. E non potendo più far ricorso alla banca centrale per controllare il debito, ricorre alla svendita dei gioielli di famiglia: Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire anche l’Eni. Enrico Letta si appresta a svendere per battere cassa, nella speranza di racimolare almeno 10 miliardi? «Ormai ci siamo: a farla grande, si tratta di aspettare ancora 18 mesi». Dopodiché, secondo Eugenio Benetazzo, «il destino di contribuenti, pensionati e risparmiatori italiani sarà presto delineato». E stavolta «non ci saranno mezze misure», perché «il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione». Chi spera nell’avvento del “Regno di Renzi” si illude: anche il sindaco di Firenze pensa a una colossale dismissione del patrimonio pubblico. Eseguendo, alla lettera, il famoso diktat della Bce che detronizzò Berlusconi a fine 2011, aprendo la strada al governo Napolitano-Monti.
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Non cittadini di Google, ma sudditi dei ricattatori Nsa
«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».L’arma del ricatto: ti controllo, so chi hai parlato, quando, e di cosa. Se l’agenda del grande alleato riparlasse di guerra, sarebbe più difficile opporsi. «Vale per Enrico Letta, vale per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, come sappiamo. Vale per Hollande, il burattino di Francia. Vale per l’ex presidente messicano Felipe Calderon e per l’attuale presidente messicano, Enrique Peña Nieto. Vale probabilmente anche per il Papa», aggiunge Chiesa, in un video-editoriale su “Megachip”. «Forse non vale per Xi-Jingping, il presidente cinese, e per il presidente russo Vladimir Putin, i quali – non essendo alleati degli Stati Uniti – hanno probabilmente pensato di tutelarsi, cioè di innalzare le misure difensive». Come scrive persino il “New York Times”, la questione non è certo quella della privacy dell’uomo della strada: «Il programma di sorveglianza ha investito la politica, il business, la diplomazia, le banche». Per prima cosa, spiano con molta attenzione le mosse dei partner. «Begli alleati, che abbiamo». Controllare il cellulare della Merkel: per proteggerla dai terroristi, come dice Obama? No: «Per ricattarla, all’occorrenza, nel caso decidesse di fare qualcosa che “non deve” decidere di fare».Non sugge nessuno: «Se Enrico Letta va a prostrarsi a Washington, pensate che lo faccia perché è un fedele seguace del dio dollaro? Forse, anche. Ma soprattutto: teme la punizione, se sgarrasse». Dunque: «Possiamo fidarci di un alleato di questo genere? Cioè di un’America che ci spia facendo i propri interessi, contro di noi?». Per questo, Chiesa insiste nel chiedere l’uscita dalla Nato: «Non è una questione ideologica, ma pratica: voglio salvare la pelle, la mia e quella dei nostri figli. E se questi signori decidono che per i loro interessi occorre fare la guerra, diranno ai loro servi – i nostri governanti – di portarci in guerra. E se non capiamo questo, noi in guerra ci andremo ancora, finché non ci lasceremo la pelle». Date un’occhiata al grande problema americano: la finanza. «Il loro debito in realtà è il nostro: tocca a noi pagarlo, attraverso la subordinazione dell’euro». Eppure, c’è ancora chi pensa che stiamo entrando nell’era della libertà digitale, in cui potremo decidere tutto premendo un pulsante sul computer e votare insieme ai cinesi e agli indiani su come si gestisce il mondo. «Non siate ingenui, il controllo di queste macchine non ce l’avete voi. Non facciamoci illusioni: non diventeremo cittadini di Google, ma della Nsa».«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».
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Gaffe, bugie e arroganza: la Merkel smaschera Obama
Gaffe, arroganza e menzogne: così perfino Angela Merkel finisce per “smascherare” un’America in cui l’opinione pubblica è distratta dal «pessimo debutto della nuova sanità obamiana», i mass media “dormono al volante” e Barack Obama «è lento a reagire all’ultima puntata del Datagate», lo scandalo sullo spionaggio globale rivelato da Edward Snowden, ex consulente Cia e Nsa oggi riparato a Mosca. Il capo della Casa Bianca, spiega Federico Rampini, è stato «colto di sorpresa dalla durezza di Angela Merkel», ovvero dalla brusca telefonata “voluta da Berlino” per protestare vibratamente contro lo spionaggio del cellulare della cancelliera. «L’impreparazione della Casa Bianca e dell’America intera di fronte allo sdegno degli alleati – osserva Rampini – traspare nei bizantinismi adottati per placare e minimizzare: false smentite e bugie dalle gambe corte tradiscono imbarazzo e pigrizia, sottovalutazione o arroganza».Obama risponde alla Merkel che «l’America non spia e non spierà la cancelliera tedesca», ma si guarda bene dall’usare il verbo al passato: dunque, scrive Rampini su “Repubblica”, non esclude che lo spionaggio sia accaduto in passato. Trucchi semantici come quelli usati dal capo dell’intelligence, James Clapper: di fronte alle rivelazioni di “Le Monde” sui 70 milioni di telefonate francesi sorvegliate dalla National Security Agency in un solo mese, Clapper smentisce che siano state “intercettate”. Ma lo spionaggio nell’èra di Big Data, per controllare quantità così smisurate di comunicazioni, cattura a tappeto i “meta-dati”, registrando chi ha chiamato chi, da dove, quando. «L’intercettazione dei contenuti scatta semmai ex post, se gli algoritmi che analizzano i meta-dati segnalano qualcosa di sospetto». Questo, aggiunge Rampini, è il succo dei due maggiori programmi di spionaggio, “Prism” e “Swift”.Del resto, lo stesso Clapper non smentisce le intercettazioni alle ambasciate francesi a Washington e all’Onu, indebolendo la linea difensiva di Obama, secondo cui la Nsa avrebbe «salvato vite umane, sventato attentati terroristici anche ai danni dei nostri alleati». No, protesta Rampini: «Lo spionaggio delle ambasciate all’Onu serviva per le manovre della diplomazia Usa ai tempi delle sanzioni contro l’Iran». La tempesta con Berlino, ricorda il giornalista di “Repubblica”, era stata anticipata da un primo screzio il 19 giugno, quando Obama si preparava a replicare lo storico discorso di Kennedy. Poche ore prima, in una gelida conferenza stampa, la Merkel aveva avanzato le prime proteste per iniziali rivelazioni sullo spionaggio della Nsa ai danni degli alleati Usa. Già allora, Obama rispose che quelle intercettazioni erano «servite a prevenire attacchi terroristici, anche qui sul territorio tedesco». Spiegazione, osserva Rampini, accettata in un primo momento sia dai media, sia dall’opinione pubblica «assuefatta al Grande Fratello post-11 Settembre».Analoga indifferenza, dal mainstream americano, anche dopo la telefonata di protesta della Merkel del 23 ottobre. E le proteste del presidente francese Hollande per lo spionaggio? «Quattro righe nei notiziari esteri del “New York Times”, un colonnino sul “Wall Street Journal” che precisa: “Il governo francese vuole già ridimensionare, non ci saranno conseguenze”». In questo clima, «autoreferenziale e distratto», Obama è colto in contropiede dalla cancelliera e dalla sua minaccia di “gravissimi danni” nelle relazioni bilaterali Germania-Usa. «Difficile, stavolta, rispondere alla Merkel che il suo cellulare fu spiato per prevenire attacchi terroristici», annota Rampini. Per di più, «l’incidente con Berlino giunge al termine di un crescendo di disastri». Dilma Roussef, presidente del Brasile, «non si è accontentata di cancellare una visita di Stato»: è andata all’Onu per proclamare la sua indignazione all’assemblea generale. E il Messico, alleato di ferro degli Stati Uniti, «è in subbuglio per lo spionaggio sul suo ex-presidente». L’intera America latina sprofonda in un clima “anti-yankee” che non si ricordava da decenni. «Valeva la pena pagare un prezzo così alto, pur di lasciare le briglie sciolte al Grande Fratello della Nsa?».È questo, dice Rampini, il dibattito assente negli Stati Uniti, tra la classe dirigente e sui media. È vero, Obama aveva promesso una riforma dell’intelligence con nuove tutele per la privacy, come conferma anche oggi alla Merkel. «Ammesso che questa riforma avanzi, la sua lentezza tradisce la sottovalutazione del danno inflitto nel mondo intero al “soft power” americano», scrive il giornalista di “Repubblica”. «Visti da Washington, gli europei sono sempre un’Armata Brancaleone che reagisce in ordine sparso». Hollande, Letta, Merkel: «Ciascuno parla per sé, con sfumature diverse,». Una posizione unitaria dell’Europa? Forse è ormai imminente. Nonostante la tradizionale debolezza politico-diplomatica di Bruxelles, «dall’Europa si sente crescere la voglia di rappresaglie: contro la cooperazione anti-terrorismo tra le due sponde dell’Atlantico, o contro il patto per la liberalizzazione degli scambi e degli investimenti». Risultato: «Per un’America obamiana che partiva da una popolarità a livelli record, la caduta dovrebbe essere inquietante». Sintetizza da Parigi il presidente della commissione parlamentare affari legislativi: «Gli Stati Uniti non sanno avere alleati, per loro il mondo si divide tra nemici e vassalli».Gaffe, arroganza e menzogne: così perfino Angela Merkel finisce per “smascherare” un’America in cui l’opinione pubblica è distratta dal «pessimo debutto della nuova sanità obamiana», i mass media “dormono al volante” e Barack Obama «è lento a reagire all’ultima puntata del Datagate», lo scandalo sullo spionaggio globale rivelato da Edward Snowden, ex consulente Cia e Nsa oggi riparato a Mosca. Il capo della Casa Bianca, spiega Federico Rampini, è stato «colto di sorpresa dalla durezza di Angela Merkel», ovvero dalla brusca telefonata “voluta da Berlino” per protestare vibratamente contro lo spionaggio del cellulare della cancelliera. «L’impreparazione della Casa Bianca e dell’America intera di fronte allo sdegno degli alleati – osserva Rampini – traspare nei bizantinismi adottati per placare e minimizzare: false smentite e bugie dalle gambe corte tradiscono imbarazzo e pigrizia, sottovalutazione o arroganza».
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Wall Street golpista: ancora al potere i killer di Kennedy
C’era un patto segreto tra Kennedy e Khruscev: mettere fine alla guerra fredda, disarmare i missili nucleari e collaborare persino nelle missioni spaziali. L’uccisione di Jfk mise fuori combattimento anche il leader sovietico. Da allora, per decenni, sia a Mosca che a Washington hanno comandato i falchi. Chi erano, negli Usa? Politici, ma in realtà emissari dell’élite finanziaria: Wall Street. Con alle spalle personaggi oscuri, già in affari con la Germania nazista, che dopo la guerra reclutarono nei loro servizi segreti la crema dell’apparato hitleriano di intelligence. Lo sostiene il giornalista investigativo tedesco Mathias Broeckers, autore di un nuovo dirompente libro-inchiesta sulla fine di John Fitzgerald Kennedy: nel 1963, dice Broeckers, è come se fosse finita la democrazia americana, congelata da un colpo di Stato. «In America, la democrazia effettiva tornerà solo quando verrà completamente “sdoganata” la verità sull’omicidio di Dallas». Un giallo per il quale l’allora braccio destro di Nixon, Roger Stone, oggi accusa nientemeno che l’ex presidente George Bush, uomo di Wall Street e dei petrolieri texani. Suo figlio, George Walker, gestirà poi l’altro grande “terremoto opaco” destinato a cambiare il mondo, l’11 Settembre.
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Selvaggi, ma pacifici: i nostri antenati odiavano la guerra
Primo tabù infranto: la guerra non è nella natura dell’uomo. Secondo: a scatenarla non è la penuria, ma l’ingiustizia nella distribuzione delle risorse in tempi di abbondanza. Sono due ricercatori della finlandese Åbo Akademi, Douglas Fry e Patrick Söderberg, a fare a pezzi l’assunto cardinale del primo degli antropologi inglesi, Thomas Hobbes, per il quale la vita era «nasty, brutish and short». Il “brutish” era riferito a quell’incessante muovere guerra di tutti contro tutti che contraddistingueva lo “stato di natura”. Ebbene, tutto questo – su cui si basa l’egemonia planetaria anglosassone – è semplicemente falso. Lo affermano i due studiosi, il cui lavoro è apparso nell’ultimo numero di “Science” e su “Internazionale”. Fry e Söderberg hanno esaminato i comportamenti di 21 diverse tribù di cacciatori-raccoglitori tutt’ora nomadi, dislocate in tutti i continenti. Risultato: le aggressioni sono quasi sempre individuali e quasi mai organizzate. La guerra? Una pratica molto tarda, che quindi non può avere a che fare con lo “stato di natura” dell’essere umano.
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Brown: stiamo esaurendo l’acqua, come mangeremo?
«Siamo in grado di produrre cibo senza petrolio, ma non senza acqua». Ecco la vera emergenza planetaria: con l’aumento della popolazione mondiale, l’eccessivo pompaggio ha portato alcune nazioni a raggiungere il picco dell’acqua, minacciando così l’approvvigionamento alimentare. Parola di Lester Brown, prestigioso ecologista e presidente dell’Earth Policy Institute. Se l’allarme sui media è scattato per il superamento del picco del petrolio, il vero pericolo per il futuro è l’oro blu, quello che in Europa si cerca di privatizzare: «Esistono sostituti per il petrolio, ma non per l’acqua». E senza acqua, non si mangia: ogni giorno consumiamo in media 4,5 litri d’acqua, ma il cibo quotidiano richiede qualcosa come 2.250 litri d’acqua per essere prodotto, quindi 500 volte tanto. «Ottenere abbastanza acqua da bere è relativamente facile, ma trovarne a sufficienza per produrre le quantità sempre crescenti di grano che il mondo consuma, è un altro discorso».
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Api a rischio estinzione: in gioco il 90% del nostro cibo
Ora sappiamo esattamente cosa uccide le api: l’estinzione delle colonie di api in tutto il mondo non è un grande mistero come vorrebbero farci credere le aziende chimiche. Gli scienziati conoscono il problema: sanno che le api da miele stanno morendo per via dei pesticidi in agricoltura, della siccità, della distruzione del loro habitat naturale, del riscaldamento. I biologi, spiega Rex Weyler di “Greenpeace”, hanno trovato tracce di 150 diversi pesticidi chimici nel polline delle api, un cocktail mortale secondo Eric Mussen, apicoltore della University of California. Le aziende chimiche Bayer, Syngenta, Basf, Dow, DuPont e Monsanto hanno scrollato le spalle, come se il “mistero” fosse troppo complesso per essere decifrato. E comunque, «non hanno messo in atto alcun cambiamento in merito alle politiche sui pesticidi: dopotutto, la vendita di veleni a coltivatori in tutto il mondo è vantaggiosa». Come se non bastasse, l’habitat delle api selvatiche si riduce di anno in anno a causa dell’attività agroindustriale che distrugge praterie e foreste per lasciar spazio alle monocolture, contaminate dai veleni.
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Orwell a Catanzaro, telecamere militari fornite dal Mossad
Catanzaro, la città più “sicura” d’Europa. O meglio: la più videosorvegliata, grazie all’installazione di 900 telecamere, di cui 200 fittizie, per sorvegliare i 90.000 abitanti del capoluogo calabrese. Costo iniziale: 23 milioni di euro, che il Comune prevede di ottenere dal fondo “Pon Sicurezza” del ministero dell’interno, creato per la “diffusione della legalità” a tutela della libertà d’impresa. Strategico il protocollo d’intesa firmato con la società “BunkerSec” di Tel Aviv, che fa capo all’ex direttore del Mossad, Meir Dagan. Obiettivo del progetto, battezzato “Safe city”: un sistema di videosorveglianza e controllo, in grado di “mettere in pratica una tecnologia militare in campo civile per monitorare 24 ore su 24 l’intero territorio”. «Il costo – protesta Rosanna Barbuto su “Megachip” – sarebbe giustificato dalla tecnologia militare di cui il “Safe city” è dotato», decisamente «sproporzionata per una città come Catanzaro». Il sistema, infatti, consente di “inviare messaggi su cellulare a un vasto numero di utenti” e “potrà essere utilizzato per informare la cittadinanza relativamente a eventi pericolosi come attacchi terroristici, diffusione dell’inquinamento, tempeste imminenti, incendi, ingorghi stradali e collisioni”.
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Benvenuti all’inferno: oggi Bangladesh, domani Italia
Chi produce gli indumenti che indossiamo lavora per due dollari l’ora. Anzi, lavorava: perché ormai quei due dollari sono “troppi” persino in Cina, dove si fatica senza contributi, senza sanità e senza protezioni ambientali. Così, annuncia Paolo Barnard, le maggiori multinazionali mondiali del manifatturiero se ne stanno andando, dalla Cina: «Vanno in Vietnam, o altrove, dove il costo del lavoro è la metà», perché il margine di profitto delle grandi catene americane ed europee si è ridotto all’1-2%. «Pagando all’origine 2 dollari all’ora per i cinesi, non ci stanno più dentro. Dopo il Vietnam andranno in Sudan, poi faranno lavorare i bambini africani a 50 centesimi al giorno, poi i prigionieri di guerra e i carcerati gratis, poi le anime dell’inferno, e poi dovranno inventarsene un’altra». E’ un fronte spaventoso, le cui ultime notizie arrivano dal Bangladesh: almeno 300 operai sono morti nel crollo di Rana Plaza, una fabbrica fatiscente del sobborgo Dhaka di Savar, dove si confezionavano abiti per Benetton e per catene come Wal-Mart.
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Denaro per noi: stop all’euro-estorsione di Maastricht
Smantellato lo Stato e privatizzato il denaro fin dalla sua emissione, i risparmiatori diventano polli da spennare, in balia degli speculatori. La crisi di Cipro? «Non indica solo la fine della ricreazione: è la prova definitiva che il sistema bancario internazionale è una vera e propria truffa globale, gestita (male) da un gruppo di manigoldi», accusa Giulietto Chiesa. «E’ la prova che il debito che ci strozza non è che un’opinione di quei manigoldi e dei loro servi, installati nei centri del potere e nelle istituzioni finanziarie e politiche internazionali». L’“Herald Tribune” rivela che la decisone di dimezzare il debito greco fu presa all’insaputa di tutti già nell’ottobre del 2011, alle tre di notte, da cinque persone: Merkel, Sarkozy, Lagarde, Juncker e Barroso. Decisero di chiedere ai privati, cioè alle banche creditrici, di farsi carico della perdita. «Ma se si chiede a un creditore di ridurre del 50% le sue pretese, vuol dire che si sa che è un creditore illegale: quel debito era stato estorto, anche alla Grecia. E questo vale per tutti: Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo».