Archivio del Tag ‘Olanda’
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Auto elettrica Eni-Enel, l’Italia potrebbe stupire il mondo
Ministro Di Maio, ma perché noi italiani non potremmo sorprendere tutti, per una volta? Disponiamo di due colossi, Eni ed Enel, in grado di trasformarsi in attori mondiali di primo piano nel nuovo business planetario dei veicoli elettrici. «Quello che sta accadendo è lo sbattere assieme di due industrie come non è mai accaduto prima nella storia», assicura Erik Fairbairn di Pod Point Ltd, l’azienda di punta inglese per le stazioni di ricarica degli “electric vehicles” (auto, scooter, camion, bus). Una frase lapidaria, sottolinea Paolo Barnard, che descrive «uno dei fenomeni più impensati ed eclatanti dell’economia globale», ovvero «la forzata fratellanza dei colossi del petrolio con quelli dell’elettricità a fronte della rivoluzione mondiale degli “Ev”, nella consapevolezza che il futuro del motore a combustione è segnato». Infatti, Big Oil e Big Utilities si sono lanciate insieme con acquisizioni miliardarie per non perdere una grossa fetta dell’industria dei trasporti di domani, che sarà sempre più a “carburante” elettrico: un affare globale da trilioni di dollari, euro, yuan e yen. La Royal Dutch Shell, aggiunge Barnard, ha calcolato ormai con certezza che il settore perderà oltre 10 milioni di barili di petrolio al giorno per il consumo nei trasporti entro il 2040, a favore dell’elettricità. Di più: la Cina ha stabilito per legge la più alta quota obbligatoria al mondo di “Ev” sul suo mercato, e nelle aziende, entro il 2030.Il governo del gigante asiatico ha stanziato 50 miliardi di dollari d’incentivi per gli “electric vehicles” per i prossimi due anni: Pechino sarà il maggior mercato di veicoli “Ev” del pianeta entro 12 anni, con una richiesta da far impallidire il resto del mondo. «La Volkswagen l’ha capito da un pezzo e ha sborsato subito un anticipo di 10 miliardi per arrivare per prima in Cina (poi la gente si chiede perché la Germania vince)». Per i prossimi sette anni, prosegue Barnard, aziende come Volkswagen, Bmw, Ford e Toyota hanno investito un totale di 165 miliardi di dollari nei veicoli elettrici, «non solo perché gli idrocarburi stanno distruggendo il clima e saranno man mano banditi, ma anche (più cinicamente) perché la tecnologia ha già oggi superato i due ostacoli maggiori allo sviluppo degli “Ev”, che erano l’autonomia (oggi siamo oltre i 500 km con una carica) e i tempi per le ricariche (le batterie Toshiba ricaricano un’auto in 6 minuti)». E poi, appunto, c’è l’immensa torta del mercato cinese. Per questo, oggi, le stime della maggiori “consultancies” internazionali danno il mercato globale degli “Ev” in crescita a ritmi pazzeschi: si parla dell’8.600% (ottomilaseicento per cento) nei prossimi 22 anni. E qui, scrive Barnard rivolgendosi a Di Maio, l’Italia potrebbe avere un’idea dirompente che la proietterebbe ai primi posti al mondo nella Disruption, la rivoluzione del lavoro indotta dalle nuove tecnologie, rilanciando economia e occupazione.Basterebbe che Eni ed Enel, cioè Big Oil e Big Utility in Italia, si lanciassero in una joint-venture «ben oltre il solito mercato delle stazioni di ricarica per “Ev”». Secondo Barnard potrebbero unire le loro imponenti forze (tecnologie avanzate, risorse e know-how) per sbarcare sul mercato dei produttori di veicoli elettrici, «in diretta competizione coi leader mondiali come Volkswagen, Bmw o Tesla, per anche superarli e divenire protagonisti di quello che è destinato a essere il più ricco mercato globale dei trasporti su terra». Ragiona Barnard: Eni ed Enel sono “sorelle”, insieme al ministero del Tesoro, e quindi – nel giro di neppure vent’anni – le ricadute sarebbero immense, per lo Stato e per l’economia, per il lavoro e per l’ambiente. «Un picco verso l’alto di Pil fra meno di vent’anni non è futurismo», assicura Barnard. Al contrario, sarebbe «l’occupazione e la società dei nostri figli alle elementari o alle medie adesso, ma anche di molti di noi, e con ricadute essenziali sui pensionati per ovvi motivi». Eni ed Enel potrebbero cioè attuare la Disruption del settore auto, senza più Sergio Marchionne e John Elkann. Basterebbe allineare l’Italia alle maggiori potenze economiche, dove i giganti petroliferi si stanno “gemellando” con i giganti delle utilities, mettendo in campo un’arma in più: la capacità competitiva del binomio Eni-Enel.Mentre il fenomeno si concentra sulla distribuzione del nuovo “carburante” elettrico, scrive Barnard, citando joint-ventures «tutte dedicate alle stazioni di ricarica degli “Ev”», non risulta che nessuno dei colossi mondiali abbia ancora pensato di «usare il proprio strapotere economico e tecnologico per entrare nel mercato dei veicoli, non solo rifornirli». E c’è un buon motivo, spiega Barnard: nella quasi totalità dei casi studiati – Usa e Gran Bretagna, Svezia, Giappone, Germania, Francia, Cina – i giganti esteri di petrolio e utilities risiedono in paesi con industrie automobilistiche già in prima linea negli “Ev”. Non l’Italia, però: «La sparpagliata anglo-olandese-italiana Fiat Chrysler Automobiles ha annunciato, con l’evidente riluttanza di Marchionne ben espressa alla “Reuters” nel gennaio 2018, un misero investimento di 9 miliardi di dollari negli “Ev”, che è quasi un decimo di quello della Volkswagen». Ecco il perché della proposta per l’Italia avanzata da Barnard: un marchio automobilistico Eni+Enel+Ev (col Tesoro).«Si tratta di saper vedere avanti, cioè di avere la cosiddetta “vision”», sottolinea il giornalista: «Sono certo che almeno all’Eni esiste una conoscenza approfondita dei mercati cosiddetti South Asia, China and Southeast Asia, e dell’esplosivo potenziale d’acquisto che stanno sviluppando, tale da umiliare tutto l’Occidente fra una manciata d’anni». Quindi, un’impresa come quella delineata non nascerebbe certo senza un mercato, anzi: e domani, quando «le vendite internazionali di “Ev” saranno a 9 zeri e straripanti», è facile prevedere quale indotto di lavoro l’industria automobilistica Eni+Enel+Ev creerebbe in un paese come l’Italia, che – ricorda Barnard – è ancora la prima nazione al mondo «per densità di piccole medie imprese». Praterie sconfinate di occupazione: dall’impiego negli stabilimenti alla costruzione delle infrastrutture sul territorio per le colonne di ricarica. Barnard insiste sul potenziale rivoluzionario della Disruption in atto: Artificial Intelligence e Machine Learning stanno cambiando volto al lavoro sul pianeta, facendo sparire mestieri e creandone di nuovi. Una delle applicazioni più studiate, e su cui sono stati investiti enormi capitali, sono le auto “driverless”: «E’ solo una questione di quando arriveranno, non “se”».E quindi, insiste Barnard, «un’Italia con due colossi tecnologici nazionali, Eni+Enel, già lanciati nel settore automobilistico e dei trasporti con gli “Ev”, diverrebbe anche leader delle “driverless”, con gli sbocchi economici e d’occupazione che si possono immaginare». Cosa stiamo aspettando, se è vero che – per la prima volta nella storia – i giganti del petrolio e quelli delle utilities marciano insieme, mentre l’industria dell’auto sta investendo centinaia di miliardi nei veicoli elettrici? «Non vedo perché il nostro gigante del petrolio, Eni, e il nostro gigante utility, Enel, non possano unire le loro grandi tecnologie per non solo competere nel settore rifornimenti, ma proprio per ridare all’Italia un marchio dell’auto del futuro, per la felicità del Tesoro a Roma, del Pil e dell’occupazione». Scrive Barnard, rivolto a Di Maio: «Ministro, il lavoro per gli italiani non si crea con decreti a mo’ di cerotti occupazionali appiccicati di qua e di là in quello che è un bagno di sangue di disoccupazione a due cifre. Il vero lavoro duraturo, a vita e remunerato bene – aggiunge Barnard – si crea solo con una “vision” di grande respiro». Per una volta, conclude il giornalista, l’Italia potrebbe tornare a stupire tutti, se solo lo volesse.Ministro Di Maio, ma perché noi italiani non potremmo sorprendere tutti, per una volta? Disponiamo di due colossi, Eni ed Enel, in grado di trasformarsi in attori mondiali di primo piano nel nuovo business planetario dei veicoli elettrici. «Quello che sta accadendo è lo sbattere assieme di due industrie come non è mai accaduto prima nella storia», assicura Erik Fairbairn di Pod Point Ltd, l’azienda di punta inglese per le stazioni di ricarica degli “electric vehicles” (auto, scooter, camion, bus). Una frase lapidaria, sottolinea Paolo Barnard, che descrive «uno dei fenomeni più impensati ed eclatanti dell’economia globale», ovvero «la forzata fratellanza dei colossi del petrolio con quelli dell’elettricità a fronte della rivoluzione mondiale degli “Ev”, nella consapevolezza che il futuro del motore a combustione è segnato». Infatti, Big Oil e Big Utilities si sono lanciate insieme con acquisizioni miliardarie per non perdere una grossa fetta dell’industria dei trasporti di domani, che sarà sempre più a “carburante” elettrico: un affare globale da trilioni di dollari, euro, yuan e yen. La Royal Dutch Shell, aggiunge Barnard, ha calcolato ormai con certezza che il settore perderà oltre 10 milioni di barili di petrolio al giorno per il consumo nei trasporti entro il 2040, a favore dell’elettricità. Di più: la Cina ha stabilito per legge la più alta quota obbligatoria al mondo di “Ev” sul suo mercato, e nelle aziende, entro il 2030.
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Da Usa e Italia un’altra Europa, malgrado Macron (e il Papa)
La stampa mainstream fatica ad ammettere quello che invece Francia e Germania hanno già capito: cominciando dal problema migranti, oggi l’Europa è costretta ad ascoltare l’Italia, il cui governo è chiaramente sorretto, a distanza, dall’amministrazione Trump. Lo sostiene un analista come Giulio Sapelli, storico ed economista, osservando il mini-accordo raggiunto in sede europea a fine giugno. «Gli Stati nazionali continuano a essere rilevanti appena si esce dal recinto della circolazione della moneta per entrare in quello della circolazione delle persone, contraddicendo la filosofia stessa dei sostenitori di una eurofilia che si sta sciogliendo come neve al sole appena incontra il paradigma della diversità», scrive Sapelli sul “Sussidiario”. Ma il grande protagonista dell’ultimo vertice, aggiunge, è stata poprio l’Italia, rappresentata da Giuseppe Conte: ha dimostrato che ciò che si è raggiunto a Bruxelles, sul controllo dei flussi migratori, lo si sarebbe potuto raggiungere anche prima, «se buona parte della nostra classe politica italiana non parlasse in italiano pensando contemporaneamente in francese o in tedesco». Sapelli accusa i grandi media di essere «controllati dalla borghesia “compradora”, dipendente dalle istituzioni europee e dai due Stati che lottano per controllarle».Giornali e televisioni diranno che l’Italia “esce sconfitta”, perché i cosiddetti centri di accoglienza sono sottoposti alla volontarietà degli Stati componenti l’Unione? «Ma questo non è un fallimento del governo Conte, semmai è la dimostrazione che questo governo ha cominciato a porre un problema politico che non è risolvibile oggi, perché l’unico punto archetipale su cui si fonda il costrutto dell’Ue è economicistico, fondato non su un potere stabile, ma fortemente instabile a seconda che prevalgano interessi francesi o interessi tedeschi». Ma ci sono anche (e soprattutto, ormai) gli interessi degli Usa, preoccupati «per la crescita della potenza tedesca e per il neogaullismo francese». Senza scordare poi i britannici, «attraverso il ruolo che l’Olanda e le città anseatiche della Germania esercitano sulle istituzioni europee». Ciò che conta, insiste Sapelli, è che si è iniziata una discussione sul Trattato di Dublino: «E il fatto che non si sia trovato un accordo sulla sua riforma non deve nascondere che se ne discute, e che il problema è reale ed è cruciale». Non si riesce subito a riformarlo, quel trattato? Un problema che «disvela a tutti quanto sia inesistente la cosiddetta cultura europea e quanto sia inesistente la immaginifica “condivisione di sovranità”, che non esiste per nulla».In questo senso però, si intravede una direzione di marcia nel punto 3 del comunicato finale del vertice: “Tutte le navi operanti nel Mediterraneo – si afferma – devono rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni della guardia costiera libica”, aspetto che per Sapelli è un punto essenziale, «che consente di porre sotto controllo le rotti migratorie marittime e inaugura una discussione politica sui porti di attracco e sull’accoglienza, e non solo sui salvataggi in mare». Quindi, sottolinea l’analista, «bisogna valutare il fatto che finalmente l’Italia ha fatto sentire la sua voce». Si tratta ora con determinazione, passo dopo passo, per «conquistare quella condivisione di destino che risiede non solo sui respingimenti ma anche sulla condivisione delle quote di migranti che l’Europa non può ostinarsi a non condividere». In altre parole: «Chi arriva in Italia arriva in Europa, e su questo – per la prima volta, dopo le crisi migratorie – l’Italia ha segnato un punto». Certo, aggiunge Sapelli, «è sconcertante che la retorica europeista non riesca a rassegnarsi a un’operazione di verità e a comprendere che il gioco di specchi ideologico e non solo di potenza in cui è immersa, sta esso stesso — e non le forze euroscettiche — indebolendo il ruolo dell’Europa nel mondo».Il ministro statunitense della difesa, James Mattis, ha appena incontrato Xi Jinping, mentre Putin e lo stesso Trump hanno rivelato che si incontreranno a Helsinki, prossimamente. «E Trump ha annunciato che quando si recherà in Europa per il summit prossimo della Nato si fermerà a Roma per colloqui con il governo italiano». Gli Usa, insomma, secondo Sapelli «stanno uscendo dall’unipolarismo delle tre precedenti presidenze – Clinton, Bush secondo e Obama – e si sforzano di dar vita a un nuovo sistema internazionale, fatto di pesi e contrappesi e della riaffermazione della necessità che questo nuovo sistema internazionale abbia di nuovo per protagonisti gli storici Stati dominanti la storia del vecchio continente, Germania e Francia, e in misura subalterna, ma geostrategicamente decisiva per la sua collocazione mediterranea, l’Italia». Sempre secondo Sapelli, «non è un caso che, come una bomba nella notte in cui si discutevano i passi più delicati del comunicato, con un professor Conte che rispondeva educatamente a un Macron arrogante, in quella notte sia giunta la notizia che la Deutsche Bank non aveva superato la seconda serie di stress test della Federal Reserve nordamericana».In politica estera «bisogna muoversi con un alto rispetto istituzionale, ed è quello che è mancato al presidente Macron poche ora prima che iniziassero i colloqui di Bruxelles». Macron infatti si è recato in visita dal Papa e, «come i re francesi della Francia cattolicissima, è stato insignito di quella onorificenza sacrale di Protocanonico d’onore della Basilica di San Giovanni in Laterano, così come fece Enrico IV, primo protocanonico d’onore». Aggiunge Sapelli: «Dispiace che quest’onorificenza sia stata consegnata al presidente della Repubblica francese senza che questi si sia recato a rendere omaggio al nostro presidente della Repubblica, che oltre a essere il più alto rappresentante delle istituzioni italiane è anche un cattolico praticante. Di questo sfregio istituzionale – chiosa Sapelli – i mass media della borghesia “compradora” non hanno fatto alcun cenno. Anche per questo l’azione del governo Conte merita il plauso di tutti gli uomini di buona volontà».La stampa mainstream fatica ad ammettere quello che invece Francia e Germania hanno già capito: cominciando dal problema migranti, oggi l’Europa è costretta ad ascoltare l’Italia, il cui governo è chiaramente sorretto, a distanza, dall’amministrazione Trump. Lo sostiene un analista come Giulio Sapelli, storico ed economista, osservando il mini-accordo raggiunto in sede europea a fine giugno. «Gli Stati nazionali continuano a essere rilevanti appena si esce dal recinto della circolazione della moneta per entrare in quello della circolazione delle persone, contraddicendo la filosofia stessa dei sostenitori di una eurofilia che si sta sciogliendo come neve al sole appena incontra il paradigma della diversità», scrive Sapelli sul “Sussidiario”. Ma il grande protagonista dell’ultimo vertice, aggiunge, è stata poprio l’Italia, rappresentata da Giuseppe Conte: ha dimostrato che ciò che si è raggiunto a Bruxelles, sul controllo dei flussi migratori, lo si sarebbe potuto raggiungere anche prima, «se buona parte della nostra classe politica italiana non parlasse in italiano pensando contemporaneamente in francese o in tedesco». Sapelli accusa i grandi media di essere «controllati dalla borghesia “compradora”, dipendente dalle istituzioni europee e dai due Stati che lottano per controllarle».
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Crisi-migranti: fratture e minacce, ora l’Ue può esplodere
I paesi di Visegrad le voltano la schiena. Il falco di Baviera Horst Seehoofer è pronto a scavarle la fossa sotto i piedi. L’Italia per la prima volta prova a rivoltarlesi contro. E il Trattato di Schengen sembra a un passo dalla rottamazione. Insomma, «la cancelliera Angela Merkel e l’Europa disegnata a sua immagine e somiglianza tremano, traballano e si sgretolano». Il tutto, scrive Gian Micalessin sul “Giornale”, a meno di una settimana da un Consiglio Europeo in cui l’Unione «dovrà decidere come uscire da quella crisi dei migranti che rischia di distruggerla». Ma la resa dei conti, aggiunge Micalessin, inizia dal peccato originale: anzi, dalla “peccatrice”, cioè «da quella Angela Merkel colpevole di aver spalancato le porte a un fenomeno migratorio di cui non comprese la devastante portata». Tre anni dopo, la prima a subirne le conseguenze è proprio lei: Seehofer attacca a muso duro una cancelliera pronta a licenziarlo pur di frenare il “masterplan” anti-immigrazione con cui il falco della Csu bavarese vorrebbe respingere alla frontiera chiunque si è visto rifiutare l’asilo in un altro paese o non è in grado di esibire un documento. «Sarebbe la prima volta al mondo che uno licenzia un ministro soltanto perché si preoccupa e si prende cura della sicurezza e dell’ordine del suo paese», dichiara Seehofer.«Io sono presidente della Csu, uno dei tre partiti della coalizione di governo, e guido il mio partito con totale sostegno», aggiunge Seehofer: «Se qualcuno nella cancelleria è insoddisfatto del lavoro del ministro dell’interno, allora deve porre fine alla coalizione». Ma mentre la cancelliera si arrovellava per tenere in piedi la sua stessa casa, osserva Micalessin, a oriente veniva giù un altro pezzo d’Europa: i paesi del blocco di Visegrad, Ungheria in testa, guidavano la rivolta contro il vertice preparatorio tra Italia, Spagna, Francia, Germania e Austria (ma forse anche Bulgaria, Olanda e Belgio) che domenica dovrebbe segnare le tappe d’avvicinamento al Consiglio d’Europa del 28 giugno sul tema migranti. Il pomo della discordia capace d’innescare la sollevazione di Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca è come sempre la ripartizione dei richiedenti asilo. Un argomento considerato una sorta d’inviolabile tabù dai quattro paesi dell’Est europeo. «Apprendiamo che ci sarà un mini-summit, ma noi non vi parteciperemo perché questo è contrario alle abitudini dell’Ue», annuncia il premier ungherese Viktor Orban, spiegando che il responsabile dell’organizzazione dei summit «è il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk e non la Commissione Europea».Prima ancora che succedesse tutto questo, annota sempre il “Giornale”, le linee guida della Merkel erano state messe in dubbio anche da un Giuseppe Conte «costretto a confrontarsi con l’ignobile bozza di lavoro sottopostaci in vista dello stesso vertice preparatorio». Una bozza che ribadiva l’obbligo di riprenderci, con tante scuse, i migranti sbarcati sulle nostre coste e poi «acciuffati al confine di altri paesi dopo esser sgusciati tra le maglie dei controlli». Non illudiamoci, insiste Micalessin: la rivolta di Conte, «prontissimo nel rispedire al mittente la bozza minacciando il ritiro dell’Italia», è una nota più che positiva ma «non è certamente una vittoria definitiva». Lo scontro tra Seehofer e la cancelliera? «Dimostra inequivocabilmente come dietro la sopravvivenza di quella clausola iniqua ci fosse il tentativo della Merkel d’abbassare il livello dello scontro con il proprio ministro dell’interno». E la reazione dell’Italia, con la cancellazione della clausola? «Ha dato fuoco alle polveri – chiosa Micalessin – ma anche messo a nudo lo stato di decomposizione in cui versa ormai l’Unione».I paesi di Visegrad le voltano la schiena. Il falco di Baviera Horst Seehoofer è pronto a scavarle la fossa sotto i piedi. L’Italia per la prima volta prova a rivoltarlesi contro. E il Trattato di Schengen sembra a un passo dalla rottamazione. Insomma, «la cancelliera Angela Merkel e l’Europa disegnata a sua immagine e somiglianza tremano, traballano e si sgretolano». Il tutto, scrive Gian Micalessin sul “Giornale”, a meno di una settimana da un Consiglio Europeo in cui l’Unione «dovrà decidere come uscire da quella crisi dei migranti che rischia di distruggerla». Ma la resa dei conti, aggiunge Micalessin, inizia dal peccato originale: anzi, dalla “peccatrice”, cioè «da quella Angela Merkel colpevole di aver spalancato le porte a un fenomeno migratorio di cui non comprese la devastante portata». Tre anni dopo, la prima a subirne le conseguenze è proprio lei: Seehofer attacca a muso duro una cancelliera pronta a licenziarlo pur di frenare il “masterplan” anti-immigrazione con cui il falco della Csu bavarese vorrebbe respingere alla frontiera chiunque si è visto rifiutare l’asilo in un altro paese o non è in grado di esibire un documento. «Sarebbe la prima volta al mondo che uno licenzia un ministro soltanto perché si preoccupa e si prende cura della sicurezza e dell’ordine del suo paese», dichiara Seehofer.
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Il Papa con le Sette Sorelle. E manda Parolin al Bilderberg
Papa Francesco spedisce a Torino alla riunione del Bilderberg il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, mentre – negli stessi giorni, il 6-7giugno – promuove a Roma un inedito summit con le Sette Sorelle e alcuni super-boss della finanza globale, come Larry Fink del fondo BlackRock. Maurizio Blondet lo definisce «improvviso interesse della centrali globaliste per l’Italia». La notizia: rispondono all’appello del pontefice i capi supremi delle multinazionali del greggio, insieme alle loro finanziarie ausiliarie transnazionali. L’incontro è ovviamente a porte chiuse, come quello quello del Bilderberg, al quale sono invitati Lilli Gruber, Lucio Caracciolo di “Limes” e l’economista Alberto Alesina di Harvard, insieme ad Elena Cattaneo dell’ateneo milanese, Vittorio Colao di Vodafone, Mariana Mazzuccato dell’University College di Londra e il solito John Elkann. Ma l’incontro tra Francesco e i petrolieri? Come mai il Papa delle periferie e dell’accoglienza verso i migranti «si riunisce in privato coi più potenti capitalisti e miliardari globalisti, ossia attivi promotori delle feroci iniquità del capitalismo terminale? “Chiedetelo a loro”, vien voglia di dire, parafrasando lo slogan dell’8 per Mille», scrive Blondet sul suo blog, interpreando come un pretesto il tema dichiarato del vertice: l’emergenza climatica, dopo il ritiro di Trump dagli accordi sulle emissioni climalteranti.All’incontro promosso da Bergoglio ci sarà Fink, cioè il capo del più grande fondo d’investimento del pianeta: un patrimonio gestito di 6,3 trilioni di dollari, conferma il “Corriere della Sera”, pari al Pil di Francia e Spagna messe insieme, quasi tre volte il nostro debito pubblico. La “roccia nera” deve la sua fortuna alla gestione patrimoniale: fondi pensione, banche, Stati. E’ anche il primo investitore straniero in Europa (e in Italia), azionista di peso in Deutsche Bank, Intesa SanPaolo, Bnp e Ing, senza contare altri settori chiave come energia, chimica, trasporti, agroalimentare, aeronautica e immobiliare. Il mega-fondo, scrive il “Fatto Quotidiano”, ha messo gli occhi sul business dei sistemi pensionistici europei non ancora privatizzati: «Spinge la Commissione Ue a varare un piano di previdenza privata, poi gestisce il primo progetto pilota». Notare: BlackRock ha immediatamente dato un giudizio “negativo” sul nuovo governo italiano, provocando l’impennata dello spread favorita dalla Bce e poi subito frenata da Jp Morgan e Citigroup, colossi finanziari ritenuti più vicini a Trump, che ha schierato in Italia il fido Steve Bannon per aiutare Conte (e Savona) a superare lo “scoglio” Mattarella.Gli altri invitati da Bergoglio nel “privato conciliabolo”, aggiunge Blondet, sono Bob Dudley, numero uno della British Petroleum (fatturato, 240 miliardi di dollari) nonché Darren Woods di Exxon Mobil. «Incidentalmente, sono le due compagnie più inquinatrici della storia», scrive Blondet, avendo la Bp accettato di pagare 1,8miliardi di dollari per uno sversamento-monstre nel Golfo del Messico nel 2010, che ha distrutto l’attività della pesca in quel vasto tratto. «E della Exxon si ricorda il disastro della superpetroliera Exxon Valdez, 1989, che ha inquinato il mare dell’Alaska». Ma non è tutto: “El Papa” voleva riunirsi anche con Ben Van Beurden della Royal Dutch Shell” (che ha declinato), mentre ci sarà Eldar Sætre di Equinor, la petrolifera privatizzata parzialmente posseduta dal governo norvegese, e con lui lord John Browne, oggi presidente esecutivo della petrolifera L1 Energy. «E non mancherà – come poteva? – Ernest Moniz, già segretario all’energia sotto l’allora presidente Obama». Secondo Blondet, notoriamente critico verso Papa Francesco, la presenza di Moniz è la conferma del fatto che Bergoglio «è uno strumento volontario e attivista (un “asset”, dicono alla Cia) della multiforme strategia dell’asse Clinton-Obama».Secondo Blondet, Papa Francesco – in accordo con clintoniani e obamiani – vorrebbe «depurare la Chiesa degli aspetti sacramentali e soprannaturalistici che ne impediscono la “fusione-acquisizione” col protestantesimo». Una fusione che produrrebbe «un “cristianesimo generico” funzionale all’ideologia globalista: umanitaria (nel senso degli “interventi umanitari”), moralistica (no alla “corruzione dei politici” – Mani Pulite nel Mondo, come propone il cardinal Maradiaga, braccio destro di Francesco), climatica e ambientalista». In altre parole, sempre secondo Blondet, la Chiesa verrebbe trasformata in una sorta di «super-Ong “umanitaria” dedita alla salvezza del pianeta e protettrice delle immigrazioni di massa pianificate, contro la sovranità di ogni Stato». Dalle scarne notizie filtrate, aggiunge Blondet, si apprende che a Roma i petrolieri non parleranno con Francesco solo di clima, ma anche di investimenti: «Il Papa, BlackRock e le grandi compagnie petrolifere si stanno sempre più concentrando sul cambiamento climatico», recita un comunicato ufficiale, «in quanto fonti di energia più pulite sono diventate più competitive, e la pressione del pubblico su questa tema sta crescendo».Capito? Il primo fondo d’investimento del mondo – scrive Blondet – è pronto a saltare sulle energie alternative insieme alle Sette Sorelle, perché stanno diventando “competitive” sul piano economico, attraenti per i capitali liquidi americani. Questo richiede investimenti enormi di riconversione delle mega-infrastrutture, e un cambio di paradigma fra le popolazioni, «ossia una grande operazione di psico-propaganda che bolli l’uso del petrolio come immorale verso il pianeta». Dunque, dice ancora Blondet, gli investitori «devono assicurarsi che l’autorità morale per eccellenza faccia parte del piano, collabori con le Finestre di Overton che lorsignori apriranno, e cominci a predicare per le energie “pulite” (o sedicenti tali) e anatemizzare le “inquinanti” (o cosiddette: si veda l’improvvisa campagna occidentale conto il motore diesel)». A Francesco – chiosa Blondet, sacrastico – sarà richiesto di aggiungere alla lista dei Dieci Comandamenti anche il “peccato capitale” dell’uso di energie su cui gli investitori “amici” avranno smesso di investire?A organizzare gli incontri è stata l’università di Notre Dame dell’Indiana, la cui “business school” sta promuovendo una “climate investing iniziative”, che Blondet definisce «una iniziativa di investimento sul terrorismo climatico». Il direttore della business school, Leo Burke, non ha voluto commentare la riunione papale di cui pare essere stato il manovratore: con un’email, ha ricordato a Blondet che ogni incontro sull’energia che implica il Vaticano sarà un dialogo privato con gli invitati. «Esattamente la risposta che dà, da sempre, l’ufficio stampa del Bilderberg». Un portavoce Exxon ha invece risposto: la compagnia «spera che questo tipo di dialogo svilupperà soluzioni per la doppia sfida: gestire il rischio del cambiamento climatico e contemporaneamente soddisfare la domanda crescente di energia, che è essenziale per alleviare la povertà e migliorare gli standard di vita nel mondo in via di sviluppo». Ancora Blondet, ironico: «A tutti è nota l’ansia di Exxon per alleviare la povertà nel Terzo Mondo».Papa Francesco spedisce a Torino alla riunione del Bilderberg il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, mentre – negli stessi giorni, il 6-7 giugno – promuove a Roma un inedito summit con le Sette Sorelle e alcuni super-boss della finanza globale, come Larry Fink del fondo BlackRock. Maurizio Blondet lo definisce «improvviso interesse della centrali globaliste per l’Italia». La notizia: rispondono all’appello del pontefice i capi supremi delle multinazionali del greggio, insieme alle loro finanziarie ausiliarie transnazionali. L’incontro è ovviamente a porte chiuse, come quello quello del Bilderberg, al quale sono invitati Lilli Gruber, Lucio Caracciolo di “Limes” e l’economista Alberto Alesina di Harvard, insieme ad Elena Cattaneo dell’ateneo milanese, Vittorio Colao di Vodafone, Mariana Mazzuccato dell’University College di Londra e il solito John Elkann. Ma l’incontro tra Francesco e i petrolieri? Come mai il Papa delle periferie e dell’accoglienza verso i migranti «si riunisce in privato coi più potenti capitalisti e miliardari globalisti, ossia attivi promotori delle feroci iniquità del capitalismo terminale? “Chiedetelo a loro”, vien voglia di dire, parafrasando lo slogan dell’8 per Mille», scrive Blondet sul suo blog, interpretando come un pretesto il tema dichiarato del vertice: l’emergenza climatica, dopo il ritiro di Trump dagli accordi sulle emissioni climalteranti.
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Morte di David Rossi, Fracassi: colpa di Draghi il crollo Mps
Siena, 6 marzo 2013. Un uomo precipita dalla finestra, ma non muore sul colpo. Si muove ancora, quando due uomini comparsi dal nulla, nel vicolo sotto la sede centrale del Montepaschi, gli si avvicinano per verificarne le condizioni, prima di sparire. Chi sono? Mistero. «Sappiamo invece chi ha fatto pervenire quel filmato al “New York Post”: è stata la Cia», afferma il reporter Franco Fracassi, ai microfoni di “Border Nights”, a proposito del video (sconvolgente) sulla morte di David Rossi, poi ripreso anche dalle “Iene” e ora disponibile sul web. Insieme a Elio Lannutti, Fracassi è autore del saggio “Morte dei Paschi”, ovvero: dalla drammatica fine di Rossi ai risparmiatori truffati, “ecco chi ha ucciso la banca di Siena”. Suicidio all’italiana? Sappiamo solo che la magistratura ha rinunciato a indagare nella direzione dell’omicidio, dice Fracassi, avendo rapidamente archiviato il caso come, appunto, suicidio. «Certo, resta il fatto che Rossi è volato dalla finestra del suo ufficio appena due giorni dopo l’email in cui annunciava di voler parlare con i magistrati, riguardo al suo ruolo nella banca finita nella bufera». Indagini a parte, per Fracassi il vero colpevole ha un nome preciso: Mario Draghi. «E’ stato lui a far crollare la banca di Siena», determinando il disastro che poi ha portato anche alla morte di David Rossi.Il primo a puntare il dito contro il presidente della Bce è stato Gioele Magaldi, leader del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che svela il ruolo di 36 Ur-Lodges nel “back office” del massimo potere mondiale. Superlogge sovranazionali potentissime, come le 5 organizzazioni di stampo neo-aristocratico alle quali, secondo Magaldi, è affiliato Draghi: sono la “Edmund Burke”, la “Pan-Europa”, la “Der Ring”, nonché due autentiche colonne del mondo supermassonico di segno reazionario, la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e la “Three Eyes”, il club di Kissinger, Rockefeller e Brzesinski. «Quando era governatore di Bankitalia – sostiene Magaldi – Draghi avrebbe dovuto vigilare sulla spericolata acquisizione di Antonveneta da parte della banca senese. Ma non lo fece, così come Anna Maria Tarantola, all’epoca alta funzionaria della Banca d’Italia». La vicenda Mps-Antonveneta è nota: il “Sole 24 Ore” la definisce «la più grande rivalutazione della storia». Il prezzo di Antonveneta, riassume il quotidiano di Confindustria, nel 2007 schizzò in pochi mesi dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander per comprare l’istituto ai 9,3 (più oneri vari che hanno fatto salire il prezzo definitivo a 10,3 miliardi circa) tirati fuori da Mps.Oltre 10 miliardi, dunque, ai quali «vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti di Antonveneta, che l’istituto senese si è accollato». In soli 11 mesi – dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 – il Monte dei Paschi «ha effettuato bonifici per oltre 17 miliardi». Soldi che, scrive il “Sole”, «sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid». Oggi, Franco Fracassi la definisce «la più grande operazione bancaria della storia», avendo coinvolto anche gli olandesi di Abn-Amro, gli inglesi e la Banca Mondiale. «Draghi – insiste Fracassi, a “Border Nights” – ha avuto un ruolo di primo piano, nel disastro del Monte dei Paschi, perché non ha permesso controllo ma, a mio giudizio, ha premuto per la cosa: è stato lui a spingere il Monte dei Paschi nel baratro, perché la banca senese era un tassello fondamentale di questa operazione – che Draghi ha voluto a tutti i costi, e che ha portato alla grande crisi economica, quella che sta devastando tutta l’Europa da ormai dieci anni». Questa crisi, aggiunge Fracassi, è figlia del crack di alcune delle più grandi banche d’Europa, «frutto di un’operazione voluta da Draghi in un momento in cui non bisognava farla, e soprattutto non in maniera così scellerata, come se si avesse voluto gettare l’Europa nel baratro».Perché è successo? «Non credo che Draghi non sapesse che cosa sarebbe potuto accadere», dice sempre Fracassi a “Border Nights”. «Non credo l’abbia fatto per leggerezza. E’ una persona molto intelligente, che sa il fatto suo. E so anche che Draghi è uno dei campioni del neoliberismo: è colui che, quando stava in Goldman Sachs, ha gettato nel baratro la Grecia». Conoscendo l’ideologia neoliberista e le strategie normalmente adottate dall’élite finanziaria euro-atlantica, aggiunge Fracassi, «presumo che ci sia stata la volontà di gettare l’Europa nella crisi». Draghi? «In questo ha avuto un ruolo di primo piano, e il Monte dei Paschi è stata la chiave di volta: quantomeno, quindi – conclude – Draghi ha delle responsabilità morali, per questa vicenda», su cui ora incombe anche il giallo della morte di David Rossi. E quello strano video, che Fracassi attribuisce alla Cia? Proprio la fonte di quelle immagini terribili «dà la dimensione della cosa», aggiunge il giornalista. «E’ un filmato che non dovrebbe esistere, e che teoricamente non dovrebbe avere nulla a che vedere con loro: cosa può importare, alla Cia, di un italiano che si suicida?». Vai a sapere. Sempre Fracassi, a “ByoBlu”, ha rivelato che «il Montepaschi è una delle banche che in questi ultimi 7 anni hanno garantito l’acquisto e la vendita di armi a tutte le parti in conflitto in Siria».Nel libro scritto con Lannutti, Fracassi cerca di capire «chi siano gli assassini di quella che è stata la banca più grande d’Europa». Si parla di armi, di politica, di criminalità organizzata. «Anche il mondo sommerso del crimine, alla fine, passa dalle banche: non è che esiste la Criminal Bank e poi le banche pulite, le banche son banche», dice ancora Fracassi a “Border Nights”. «Tranne forse rari casi virtuosi, la maggior parte delle banche fa queste cose. Il problema è: a che livello, quanto consapevolmente, e quanta ingerenza hanno, questi aspetti, nella gestione complessiva della banca». La crisi di Mps sembra consonante con le recenti notizie sull’assorbimento delle Bcc, le banche di credito cooperativo, raggruppate – per volere della Bce – sono l’ombrello di un unico grande soggetto finanziario, che si teme sarà fatalmente meno attento all’economia dei territori e invece più aperto (come il Montepaschi dopo la fatale svolta) al mercato finanziario internazionale dei titoli tossici. «Il fallimento del Montepaschi, dovuto alla responsabilità quantomeno morale di Mario Draghi – aggiunge Fracassi – ha portato uno sconquasso in tutto il sistema economico e creditizio europeo. E quindi anche nelle banche italiane, che a differenza di altre erano più fragili, trovandosi in una situazione di grande esposizione, per aver fatto fusioni con altre banche e investimenti in Borsa sbagliati, ma soprattutto per la quantità di crediti inesigibili».Di per sé, precisa il giornalista, i crediti inesigibili non fanno crollare una banca, se non molto raramente. «Se però il sistema salta, quei crediti inesigibili diventano insostenibili: durante una crisi econonica, chi ha preso soldi in prestito non riesce a restituirli. E’ una sorta di catena: più banche falliscono, e più rischiano di fallirne». Elementare: «Quando un sistema va in crisi, i più deboli sono i primi a soccombere». E mentre una grande banca ha i suoi paracadute, oltre a essere “too big to fail” (troppo grande per poter fallire), le banche piccole «non hanno quasi protezione, da parte della politica e del sistema finanziario: si appoggiano a piccole realtà locali, che possono entrare in crisi coinvolgendo le banche stesse». E’ la storia recente dell’Unione Europea, sintetizza Fracassi, a rendere esplicita la condanna (non giudiziaria, certo, ma storico-politica) dei super-tecnocrati alla Mario Draghi, onnipotenti registi di una crisi abilmente pilotata per organizzare uno smisurato trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto. Un fenomeno spaventosamente spettacolare, senza eguali nella storia moderna. Il sociologo Luciano Gallino lo chiamava “lotta di classe dei ricchi contro i poveri”. E in attesa che venga alla luce la verità definitiva sulla fine di David Rossi – esecutori e mandanti dell’eventuale omicidio – Franco Fracassi insiste: almeno moralmente, la colpa è di Draghi. Distruggere Mps faceva parte di un piano preciso, che l’ex governatore di Bankitalia, poi promosso alla Bce, non ha certo ostacolato.(Il libro: Elio Lannutti e Franco Fracassi, “Morte dei Paschi. Dal suicidio di David Rossi ai risparmiatori truffati. Ecco chi ha ucciso la banca di Siena”, PaperFirst editore, 280 pagine, 12 euro).Siena, 6 marzo 2013. Un uomo precipita dalla finestra, ma non muore sul colpo. Si muove ancora, quando due uomini comparsi dal nulla, nel vicolo sotto la sede centrale del Montepaschi, gli si avvicinano per verificarne le condizioni, prima di sparire. Chi sono? Mistero. «Sappiamo invece chi ha fatto pervenire quel filmato al “New York Post”: è stata la Cia», afferma il reporter Franco Fracassi, ai microfoni di “Border Nights”, a proposito del video (sconvolgente) sulla morte di David Rossi, poi ripreso anche dalle “Iene” e ora disponibile sul web. Insieme a Elio Lannutti, Fracassi è autore del saggio “Morte dei Paschi”, ovvero: dalla drammatica fine di Rossi ai risparmiatori truffati, “ecco chi ha ucciso la banca di Siena”. Suicidio all’italiana? Sappiamo solo che la magistratura ha rinunciato a indagare nella direzione dell’omicidio, dice Fracassi, avendo rapidamente archiviato il caso come, appunto, suicidio. «Certo, resta il fatto che Rossi è volato dalla finestra del suo ufficio appena due giorni dopo l’email in cui annunciava di voler parlare con i magistrati, riguardo al suo ruolo nella banca finita nella bufera». Indagini a parte, per Fracassi il vero colpevole ha un nome preciso: Mario Draghi. «E’ stato lui a far crollare la banca di Siena», determinando il disastro che poi ha portato anche alla morte di David Rossi.
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Soldi e potere: è antica la guerra alla medicina naturale
In questi tempi c’è una guerra dichiarata tra la medicina naturale e quella ufficiale, che evidenzia le falle di quest’ultima mettendone in risalto i limiti palesi (basti pensare che nonostante le spese immense per la ricerca sui tumori, questa malattia sta aumentando vertiginosamente) e la medicina tradizionale allopatica, che schiera dalla sua parte i vari soloni a colpi di radiazione dei medici eretici. Recenti sono i casi di Gabriella Mereu, di Tullio Simoncini, di Ryke Geerd Hamer, di Paolo Rege-Gianas. Pochi giorni fa è stata radiata dall’ordine la dottoressa Gabriella Lesmo, rea di aver preso posizione contro i vaccini (settore che ha iniziato a studiare con particolare attenzione per via del fatto di avere un figlio reso autistico proprio a seguito della somministrazione di vaccini). Pochi mesi prima era stato radiato per lo stesso motivo un altro medico, Dario Miedico. E sempre recentemente è stato radiato dall’ordine Paolo Rossaro, per aver prescritto una cura alternativa alla chemioterapia in un caso di tumore. In realtà, la lotta tra medicina naturale e medicina tradizionale ufficiale esiste da secoli, e può individuarsi il punto di origine nel Medioevo, ad opera dapprima della Chiesa cattolica, e successivamente ad opera della scienza ufficiale, che ha preso il testimone dell’oscurantismo cattolico. Vediamo come e perché nasce questa battaglia, e perché essa è identica ai giorni nostri, come nel Medioevo, e in tutti i secoli intermedi.
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Pensioni e maternità, la finanza già ricatta il futuro governo
Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.Solo un cretino può permettersi di non capire il messaggio che viene dai potentati: «No ad un governo euroscettico! No a battere i pugni sul tavolo europeo!». L’attacco alla tutela della maternità – almeno quello! – dovrebbe sollevare lo sdegno dei cattolici italiani, ma è più facile che scompaia la pedofilia nella Chiesa che il kompagno che sbaglia, al secolo Jorge Bergoglio, si ponga in modo fermo e deciso contro la globalizzazione. I cattolici che siedono ai vertici, si sa, vanno pazzi per il Medioevo, e non si faranno scrupolo alcuno a farlo tornare. Dunque, si illude fortemente chi pensa che il cattolicesimo possa offrire una sponda ai naufraghi della globalizzazione, anche se parliamo di milioni di europei. Ci sono infatti miliardi di asiatici e di africani da illudere, là fuori. Tornando all’attacco di BlackRock (capitanato dal Fmi), è superfluo aggiungere che sono tattiche già viste in Russia negli anni Novanta, in Grecia nel 2011 e nel 2015, oppure in Italia, fin dai tempi di Mario Monti. La differenza, non di poco conto, è però che questa volta sappiamo come attaccano. Sappiamo tutti dove vogliono andare a parare, e lo diciamo ancora chiaramente qui, finchè non entra anche nelle zucche più vuote.L’Europa vuole smantellare il welfare state di stampo keynesiano e garantito dalla Costituzione italiana perchè mira a competere con i paesi del terzo mondo in una gara alla produttività completamente priva di senso nel mondo dell’intelligenza artificiale. Si punta ad indebolire ulteriormente i deboli, per renderli ancora più addomesticabili e ricattabili, e sostituibili con altra gleba. L’Europa della Lagarde ricorda la Francia ai tempi di Napoleone, o ancor prima, di Luigi XIV, che si era fissata di incamerare grano da polenta e accumulare oro, mentre nel resto del pianeta i mercanti olandesi e inglesi facevano il bello ed il cattivo tempo con il commercio marittimo. La verità è che l’Europa è vecchia dentro. Malata dei suoi dogmi liberisti – dogmi che persino gli americani stanno rivedendo con sospetto. Nel Vecchio Continente si sta molto meglio che nel resto del mondo solo ed esclusivamente perché ha saputo mettere in piedi un sistema di welfare state. Senza di quello, vivere a Parigi o nel buco del culo di qualche quartiere malfamato di Città del Messico sarà la stessa identica cosa. Ed è a quello a cui puntano, shortando Italia.(Massimo Bordin, “La vendetta dei poteri forti”, dal blog “Micidial” del 26 marzo 2018).Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.
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Murray: a colpire Skripal è stato il Mossad, non la Russia
Porta la firma del Mossad israeliano il tentato omicidio in Inghilterra dell’ex agente russo Sergej Skripal, che ha innescato la guerra tra Londra e Mosca con espulsioni simmetriche di diplomatici. Lo sostiene Craig Murray, già ambasciatore britannico in paesi come l’Uzbekistan. Murray non è un fan di Putin. Al contrario: ritiene che siano stati i russi ad assassinare col polonio Alexandr Litvinenko nel 2006, in più imputa alla Russia l’occupazione “illegale” della Crimea e dell’Ossezia del Sud (Georgia), e arriva ad accusare il Cremlino di aver organizzato auto-attentati allo scopo di avere il pretesto del «brutale assalto alla Cecenia». E’ infatti emerso che fu proprio Boris Eltsin a promuovere il “separatismo ceceno”, per poi procedere con l’intervento militare (cui mise fine proprio Putin). Ma stavolta i russi non c’entrano, con l’attentato che ha ridotto in fin di vita l’ex 007 Skripal e sua figlia Yulia nella città inglese di Salisbury. E’ più che sospetta la determinazione con la quale il governo britannico ha subito puntato il dito contro Mosca: la premier Theresa May e il ministro degli esteri Boris Johnson additano la Russia come unico mandante. La loro tesi: l’ex agente del Gru (l’intelligence militare di Mosca, poi passato agli inglesi) è stato avvelenato con gas nervino. Ma è l’agenzia internazionale per il disarmo chimico a chiarire che la Russia non dispone più di gas letali. E poi, perché rischiare un simile autogoal d’immagine?La versione di Londra, scrive “L’Antidiplomatico”, non convince affatto l’ex ambasciatore britannico Craig Murray, che invita ad approfondire una strada diversa: quella che conduce direttamente a Israele e al Mossad. Lo riporta il giornalista investigativo Nafeez Ahmed su “Insurge”. Semmai è Israele a possedere l’agente nervino, spiega Murray, e il suo servizio segreto, il Mossad, «è estremamente abile negli omicidi in territorio straniero». Theresa May ha rivendicato la propensione russa all’assassinio all’estero far credere che ci sia Mosca dietro all’attentato? «Se è per questo, il Mossad ha una propensione ancora maggiore all’assassinio all’estero», afferma Murray. «E mentre mi sto sforzando per trovare un motivo valido per cui la Russia avrebbe dovuto rischiare di danneggiare la sua reputazione internazionale in modo così penoso – aggiunge – Israele ha una chiara motivazione per danneggiare la reputazione russa in modo così profondo». E spiega: «L’azione russa in Siria ha minato la posizione israeliana in Siria e Libano in modo fondamentale, e Israele ha tutti i motivi per voler danneggiare la posizione internazionale della Russia con un attacco che mira a gettare responsabilità su Mosca». Murray inoltre evidenzia come sia improbabile che i russi «abbiano atteso otto anni per colpire», dopo la “diserzione” del loro vecchio agente. Allo stesso modo, «non ha alcun senso assassinare improvvisamente una spia liberata attraverso uno scambio di prigionieri, e che per ben otto anni ha vissuto a Londra alla luce del sole».Nel caso Skripal, scrive “L’Antidiplomatico”, a colpire è la determinazione, la pervicacia, con cui le autorità britanniche si affannano a incolpare la Russia, «senza peraltro fornire alcuna prova a sostegno delle tesi accusatorie», peraltro seccamente smentite persino dall’Opcw, l’organizzazione internazionale per la proibizione delle armi chimiche. «L’agenzia, con sede a L’Aia, ha infatti certificato che la Russia ha distrutto il proprio arsenale di armi chimiche, agenti nervini compresi». L’Opcw non ha quindi trovato alcuna evidenza indicante che la Russia mantenga una capacità di “avvelenamento” da gas nervino, «mentre non si può dire lo stesso per Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele». A far da detonatore, dopo il successo russo in Siria, potrebbe anche esser stato il clamoroso annuncio del 1° marzo, nel quale Putin – presentando i nuovi missili atomici iper-sonici, come nuova frontiera della deterrenza (armi che annullerebbero l’arsenale nucleare Usa) – ha di fatto mutato, in modo clamoroso, l’aspetto militare dell’equilibrio geopolitico. Al punto che Donald Trump è giunto alla rimozione di Rex Tillerson. Nuovo segretario di Stato, il “falco” antirusso Mike Pompeo, che lascia la guida della Cia a Gina Haspel, accusata di aver introdotto l’uso sistematico della tortura (come il “waterboardig”) per i sospetti terroristi, inclusi quelli detenuti a Guantanamo in flagrante violazione dei diritti umani.Porta la firma del Mossad israeliano il tentato omicidio in Inghilterra dell’ex agente russo Sergej Skripal, che ha innescato la guerra tra Londra e Mosca con espulsioni simmetriche di diplomatici. Lo sostiene Craig Murray, già ambasciatore britannico in paesi come l’Uzbekistan. Murray non è un fan di Putin. Al contrario: ritiene che siano stati i russi ad assassinare col polonio Alexandr Litvinenko nel 2006, in più imputa alla Russia l’occupazione “illegale” della Crimea e dell’Ossezia del Sud (Georgia), e arriva ad accusare il Cremlino di aver organizzato auto-attentati allo scopo di avere il pretesto del «brutale assalto alla Cecenia». E’ infatti emerso che fu proprio Boris Eltsin a promuovere il “separatismo ceceno”, per poi procedere con l’intervento militare (cui mise fine proprio Putin). Ma stavolta i russi non c’entrano, con l’attentato che ha ridotto in fin di vita l’ex 007 Skripal e sua figlia Yulia nella città inglese di Salisbury. E’ più che sospetta la determinazione con la quale il governo britannico ha subito puntato il dito contro Mosca: la premier Theresa May e il ministro degli esteri Boris Johnson additano la Russia come unico mandante. La loro tesi: l’ex agente del Gru (l’intelligence militare di Mosca, poi passato agli inglesi) è stato avvelenato con gas nervino. Ma è l’agenzia internazionale per il disarmo chimico a chiarire che la Russia non dispone più di gas letali. E poi, perché rischiare un simile autogoal d’immagine?
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La piovra del rating: ecco chi ha vinto (davvero) le elezioni
La questione cruciale elusa da tutti: l’Italia non ha più alcuna sovranità. Come stabilito all’estero nei piani alti del sistema di dominio, la colonia Italia ha votato con una legge truffaldina (incostituzionale) e ora si ritrova alcuni aspiranti inquilini di Palazzo Chigi senza arte né parte, razzisti e analfabeti funzionali che in economia si sono affidati ai soliti esperti allineati di regime. Così dalla padella del piddì si cadrà nella brace. Le agenzie di rating, nate agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, analizzano la solidità finanziaria di soggetti quali Stati, enti, governi, imprese, banche, assicurazioni. Le principali agenzie sono tutte statunitensi: Moody’s, Standard & Poors e Fitch. Il 19 ottobre 2006, due delle tre agenzie di rating internazionali che agiscono in regime di oligopolio, avevano deciso di declassare l’Italia, dando un voto negativo alla capacità dell’Italia di gestire la sua economia. Non era la prima volta che questo accadeva, anche in presenza di governi di differente orientamento politico e le motivazioni della “pagella” sono sempre di una ripetitività e di una banalità quasi disarmanti: i tagli nelle spese di bilancio non sono sufficienti e la “riforma delle pensioni” (leggi privatizzazione delle pensioni) va troppo a rilento.L’effetto immediato del voto negativo è un aumento dei tassi di interesse per “ricomprare” la fiducia dei sottoscrittori di obbligazioni e di altre forme di credito, per cui tutto il debito pubblico e privato di una nazione costa subito di più, con ricadute negative sul bilancio statale e con l’aggiunta di ulteriori tagli alla spesa sociale. Per le nazioni più deboli, queste decisioni provocano anche una caduta del valore di scambio della moneta, con effetti devastanti sulle importazioni (che costano di più), sulle esportazioni (che valgono di meno) del paese, sul suo bilancio statale e sui livelli di vita della popolazione; con la deregolamentazione dell’economia, soprattutto dall’inizio degli anni Novanta, queste agenzie sono diventate il “grande fratello” finanziario e hanno progressivamente accumulato un potere immenso, superiore a quello degli Stati e delle banche centrali, sia nella valutazione delle politiche dei governi che dell’andamento economico di qualsiasi entità privata, determinando le decisioni di tutti gli attori economici.All’inizio le agenzie offrivano, a pagamento, ai detentori di titoli di credito i loro giudizi sul comportamento dei debitori. Adesso persino i debitori pagano per avere un “voto” prima di emettere un’obbligazione o attingere a qualsiasi altra forma di credito. Senza il voto delle agenzie, economicamente non si esiste più. Per poter comprare o vendere, per prendere o dare a prestito, bisogna pagare il “pizzo” per ricevere la protezione o il semplice riconoscimento da parte di questi nuovi potentati. Ora le tre maggiori agenzie di rating sono delle entità private strutturate come società per azioni e quindi parte della logica di mercato e sottoposte al principio del massimo profitto possibile; inoltre le agenzie in questione hanno partecipazioni dirette, anche attraverso i membri dei loro consigli direttivi, board of directors, nelle più grandi corporation internazionali e delle più grandi banche internazionali, pesantemente coinvolte nelle operazioni di finanza derivata, cioè in quelle speculazioni finanziarie principalmente responsabili delle bolle speculative e dell’attuale crisi finanziaria sistemica globale.La Standard & Poor’s (S&P) è sussidiaria della multinazionale McGraw-Hill Companies, con sede centrale a New York, colosso delle comunicazioni, dell’editoria, delle costruzioni e presente in quasi tutti i settori economici. La multinazionale, proprietaria anche di “Business Week”, nel 2005 vantava un fatturato di 6 miliardi e un profitto di 844 milioni di dollari. Il presidente di McGraw-Hill è Harold McGraw III, che è, tra le altre cose, contemporaneamente membro del Board of Directors della United Technology (multinazionale degli armamenti) e della ConocoPhillips (petrolio ed energia). È stato anche membro del “Transition Advisory Committe on Trade” del presidente George W. Bush, padre dell’ex capo della Casa Bianca. Tra i membri del Board of Directors della McGraw-Hill, che decidono quindi anche dell’attività della S&P, figurano: sir Winfried Bishoff, presidente della Citigroup Europa e uomo di punta della Henry Schroder Bank di Londra; Dougals N. Daft, presidente della Coca Cola Co.; Hilde Ochoa-Brillenmbourg, alto responsabile della Credit Union del Fmi-World Bank; James H. Ross, della British Petroleum; Edward B. Rust Jr., presidente dell’assicurazione State Farm Insurance Company (gigante del settore assicurativo, bancario e immobiliare, sotto scrutinio per le politiche troppo disinvolte dopo l’urgano Katrina), direttore della Helmyck & Payne, colosso del settore petrolifero e già membro del Transition Advisory Team Committee on Education della presidenza di George W. Bush (padre); Sidney Taurel, presidente della farmaceutica Eli Lilly (che in passato ha vantato tra i suoi dirigenti anche Kenneth Lay, condannato per la bancarotta della Enron) ex direttore dell’Ibm, già membro nel 2002 dell’Homeland Security Advisory Council.L’agenzia di rating Fitch di New York è sussidiaria della multinazionale dei servizi finanziari Fimalac, con sede centrale a Parigi. Nel 2005 la multinazionle americana delle comunicazioni Hearst Corporation ha rilevato il 20 per cento del pacchetto azionario. Il suo presidente è Marc Ladreit de Lacharriere, uomo della Renault e della Banque Suez. Tra i membri del Board of Directors figurano: David Dautresme della banca Lazard Freres; Philippe Lagayette della Jp Morgan & Cie; Bernard Mirat della Cholet-Dupont (finanza); Bernard Pierre della Fremapi (metalli preziosi). La Fimalac vanta anche un International Advisory Board per dare più lustro e potere alla multinazionale, che nel 2002 annoverava tra gli altri: Felix Rohatyn della Lazard Freres, l’uomo che ha recentemente smantellato l’industria americana dell’auto, Sholley della Ubs Warburg, Reimnits della Kommerz Bank, Peberan della Paribas, rappresentanti della Nestlè, della Bentelsmann e anche l’ex presidente della Federal Reserve americana Paul Volker e l’italiano Lamberto Dini.L’agenzia di rating Moody’s è sussidiaria della Moody’s Corporation, con sede centrale a New York. Il presidente è Raymond W. McDaniel Jr. Tra i membri del Board of Directors figurano: Basil L. Anderson della Stables Inc. e della Hasbro Inc (due giganti del settore vendite e servizi); Robert Glauber della Ing Group (settore bancario e assicurativo con base in Olanda), già sottosegretario del ministero delle finanze americano nel periodo 1989-92; Henry Mc Kinnell, della multinazionale farmaceutica Pfizer e della Exxon Mobil (petrolio); Nancy S. Newcomb della Citigroup e della Sysco Corporation (settore alimentare); John K. Wulff, della multinazionale chimica Herculer, della Kpmg (la multinazionale di consulenza finanziaria e di certificazione dei bilanci), della Sunoco (petrolio) e della Fannie Mae (che, insieme alla Freddie Mac, detiene quasi per intero il pacchetto ipotecario immobiliare americano).Le suddette tre agenzie americane di rating non sono solamente l’espressione dell’intreccio dominante delle multinazionali, ma in particolar modo sono una struttura organizzata delle principali banche del pianeta che controllano il sistema finanziario e debitorio delle nazioni e di tutti i settori dell’economia sia privata che pubblica. Le tre agenzie in questione non solo non sono qualificate nella pretesa di valutare la solidità economica e finanziaria degli Stati e delle imprese, ma sono parte integrante del problema sta portando il mondo economico verso il crack e la crisi sistemica con conseguenze devastanti per l’intera vita economica, sociale e politica del pianeta.(Gianni Lannes, “Grullini o grulloni?”, dal blog “Su la Testa” del 6 marzo 2018).La questione cruciale elusa da tutti: l’Italia non ha più alcuna sovranità. Come stabilito all’estero nei piani alti del sistema di dominio, la colonia Italia ha votato con una legge truffaldina (incostituzionale) e ora si ritrova alcuni aspiranti inquilini di Palazzo Chigi senza arte né parte, razzisti e analfabeti funzionali che in economia si sono affidati ai soliti esperti allineati di regime. Così dalla padella del piddì si cadrà nella brace. Le agenzie di rating, nate agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, analizzano la solidità finanziaria di soggetti quali Stati, enti, governi, imprese, banche, assicurazioni. Le principali agenzie sono tutte statunitensi: Moody’s, Standard & Poors e Fitch. Il 19 ottobre 2006, due delle tre agenzie di rating internazionali che agiscono in regime di oligopolio, avevano deciso di declassare l’Italia, dando un voto negativo alla capacità dell’Italia di gestire la sua economia. Non era la prima volta che questo accadeva, anche in presenza di governi di differente orientamento politico e le motivazioni della “pagella” sono sempre di una ripetitività e di una banalità quasi disarmanti: i tagli nelle spese di bilancio non sono sufficienti e la “riforma delle pensioni” (leggi privatizzazione delle pensioni) va troppo a rilento.
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Il teletrasporto? Non è più fantascienza: lo insegna la Cina
Addio petrolio e guerre? Fine dell’era delle auto e dei treni, delle navi e degli aerei? Sop all’inquinamento? La promessa – epocale, ai confini della realtà – si chiama teletrasporto. Per la precisione: entro 20 anni sarebbe possibile “teletrasportare” merci e perfino esseri umani. Non è pià fantascienza: «Il teletrasporto umano potrebbe presto diventare realtà», scrive Massimo Fenris su “Blasting News”. «Spostarsi da un punto all’altro del globo in maniera istantanea, poter essere dove si vuole in una manciata di secondi evitando le lunghe code in stazioni e aeroporti, poter lavorare ovunque non essendo costretti ad abbandonare i propri cari e le proprie radici: sarebbero solo alcuni dei vantaggi del teletrasporto». La grande sfida arriva direttamente dal Cremlino, con un progetto che richiederà un investimento miliardario. «Oggi sembra qualcosa di fantascientifico, ma a Standford ci sono riusciti con esperimenti molecolari. Se ci pensiamo, molta della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione è stata pensata dalla fantascienza 20 anni fa», afferma Alexander Galitsky, uno dei principali investitori russi in termini di tecnologie all’avanguardia. Ma la sfida coinvolge ovviamente gli Usa e la Cina, che è riuscita a “telatrasportare” fotoni dalla Terra a un satellite in orbita.Il progetto russo costerà oltre 2 trilioni di dollari, spiega “Blasting News”, e applicherà tutte le tecnologie all’avanguardia, come la computazione quantistica e interfacce neurali (il diretto collegamento tra macchina e cervello umano). «Fino ad ora, il teletrasporto umano ha sempre rappresentato qualcosa di impossibile per la complessità di informazioni che una macchina dovrebbe “ricordare” e riuscire a riassemblare esattamente in ogni singolo frammento, nel luogo di destinazione». In realtà, scrive Fenris, qualcosa del genere si è già realizzato, ma con particelle molto semplici. Nel 2014, gli scienziati della Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, hanno dimostrato che è possibile “teletrasportare” informazioni codificate in particelle sub-atomiche, a una distanza di tre metri con affidabilità del 100%. «Tra un essere umano e una particella sub-atomica c’è certamente una grande differenza, ma gli scienziati sono ottimisti e credono che presto tutto questo diventerà realtà». Secondo Elena Kovačič di “Sputink News”, gli scienziati dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca (Mfti) hanno capito che «in futuro sarà possibile percorrere lunghe distanze senza l’applicazione di forza fisica ed essere contemporaneamente in due posti. Ad esempio, a Pechino o Mosca o in Siberia e nelle isole della Nuova Zelanda. Non è escluso il teletrasporto per l’esplorazione dello spazio».Il cosiddetto “entanglement quantistico” è la capacità di due o più sistemi quantistici di comportarsi allo stesso modo, rimanendo inseparabili, anche se distanziati l’uno dall’altro. I fisici russi «hanno trovato un modo per preservare l’“entanglement quantistico” nella trasmissione delle informazioni ad una distanza considerevole», spiega uno dei ricercatori, Sergej Filippov. «C’è una correlazione, come nel caso di una bobina: per cui, ciò che succede a una estremità della bobina è collegato a quanto sta succedendo nell’altra. Queste correlazioni possono essere inviate. Anche le persone, spostate in questo modo ad una certa distanza, saranno comunque correlate». I fisici hanno eseguito una “crittografia quatistica” per la trasmissione di un segnale su fibra ottica, trovando un algoritmo per la trasmissione di qualsiasi cosa. «In un certo senso, questo “assemblaggio”, ricorda l’olografia, ossia l’immagine ricostruita di oggetti tridimensionali usando un laser. La differenza è che questo non è solo un particolare tipo di fotografia: qui c’è la riproduzione di “carne e sangue”, con tutte le caratteristiche e abilità specifiche». Per ora, la scienza non ha ancora la capacità di raggiungere questo obiettivo: finora, i fisici hanno “teletrasportato” fotoni. Ma la stessa tecnica, dicono, consentirà di trasportare materia complessa, fino all’uomo. E nel giro di pochi anni.Molto lusinghieri, in questo campo, i risultati ottenuti dalla Cina: la “Bbc” conferma che alcuni ricercatori cinesi sono riusciti a “teletrasportare” fotoni dal deserto del Gobi fino allo spazio, sul satellite “Micius” in orbita a un’altitudine dalla superficie terrestre che varia dai 500 ai 2.000 chilometri. Una vera e propria operazione fantascientifica, resa possibile grazie a quello che la fisica definisce “entanglement quantistico”, un processo in cui due diverse particelle che, pur non essendo in contatto fisico tra loro, reagiscono come una singola unità. «Prende così forma il concetto di “esistenza condivisa”, per cui qualsiasi alterazione sulla prima particella influenza lo stato della seconda. Già nel 1990, infatti, gli scienziati avevano capito che questo legame poteva essere usato per trasferire uno stato quantistico da un punto a un altro dell’universo», racconta “105.Net”. Dal punto di vista pratico, l’esperimento cinese è durato 32 giorni, durante i quali i ricercatori hanno inviato milioni di fotoni dalla Terra al satellite, ottenendo esiti positivi in 911 casi. «Un risultato straordinario, che permette alla Cina di battere il record per la distanza più grande mai coperta. I cinesi si mostrano dunque dominatori in un campo da sempre guidato da europei e statunitensi. Resta solo da capire quale sarà la prima contromossa dell’Occidente».Stati Uniti, Canada e Unione Europea sono già in gara con russi e cinesi, scrive Elena Dusi su “Repubblica”. «Due esperimenti sono stati appena pubblicati su “Nature Photonics”. Descrivono singoli fotoni capaci di “viaggiare” lungo una normale fibra ottica cittadina, per 6 chilometri a Calgary e 12 a Hefei, vicino a Shangai, “trasportando” le loro informazioni come in una linea Internet tradizionale». Altro che chilometri: i collegamenti quantistici precedenti (il primo realizzato nel 1993) non superavano i centimetri di un tavolo di laboratorio. Laddove si arrivò al record di 143 chilometri, aggiunge “Repubblica”, fu necessario allestire una trasmissione in uno spazio vuoto per non disturbare la corsa delle particelle: il mare fra due isole delle Canarie. «Per la prima volta, invece, a Calgary ed Hefei, il teletrasporto quantistico ha seguito le stesse strade che faremmo noi in auto o in motorino». Questo particolare fenomeno, spiega la Dusi, non ha nulla a che fare con la smaterializzazione e il trasferimento di persone od oggetti: «Lo spostamento infatti non riguarda le particelle in sé, ma le loro caratteristiche e coordinate. Più che a “Star Trek”, il teletrasporto quantistico assomiglia alla spedizione di un fax». In realtà si sfrutta il cosiddetto “entaglement quantistico”, cioè il legame tra due particelle nate da una stessa reazione.Le caratteristiche intrinseche di queste particelle sono legate indissolubilmente: se si modificano quelle dell’una, simultaneamente cambieranno anche quelle dell’altra. E la mutazione non dipende dalla distanza che le separa. Così, due fotoni legati da “entanglement” possono essere inviati al mittente e al destinatario di un messaggio criptato su Internet. Il mittente “modifica” il suo fotone e quindi quello in possesso del destinatario, che così potrà essere usato come chiave per decrittare il messaggio. «I vantaggi riguardano soprattutto la sicurezza», sostiene Francesco Marsili, ingegnere in forza alla Nasa. «Il teletrasporto quantistico non è necessariamente più veloce, semplicemente cancella il rischio di essere spiati. Comunicazioni finanziarie o militari sono le sue ovvie applicazioni». Non è un caso che il “teletrasporto”, dal campo della meccanica quantistica si sia trasferito a quello della geopolitica. La Commissione Europea ha lanciato il suo “Quantum Manifesto”, finanziandolo con un miliardo di euro in dieci anni. Washington ha già realizzato una piccola rete su cui testare le trasmissioni. Altrettanto ha fatto la Cina, con una “autostrada quantistica” di un migliaio di chilometri tra Shanghai e Pechino.Il gigante asiatico, in realtà, ha fatto anche di più, ammette “Repubblica”. «Lanciando il suo primo satellite per le trasmissioni quantistiche dallo spazio, a fine agosto, la Cina ha spostato la corsa all’Internet quantistico dalla Terra al cielo». Proprio sicuri che non sarà possibile – entro vent’anni, come dicono i russi – smaterializzare qualcuno e rimaterializzarlo a migliaia di chilometri di distanza? Un sogno che si sta avvicinando sempre di più alla realtà, «grazie a una serie di esperimenti che nel prossimo futuro potrebbero trasformare il teletrasporto in una pratica comune», scrive Daniele Uva sul “Giornale”, citando il recentissimo record cinese. Dal satellite Micius è partito un fascio laser che ha trasmesso le particelle di luce correlate tra loro alle diverse stazioni a terra, dove sono state misurate. «I fotoni, dopo aver viaggiato per lunghe distanze, hanno mantenuto il loro legame pur trovandosi a più di 1.200 chilometri gli uni dagli altri. Un primato senza precedenti». La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista specializzata “Science”, ha fatto gridare al miracolo: per la prima volta nella storia, qualcosa di molto simile al “teletrasporto” sembra aver funzionato.Nel 2016, aggiunge il “Giornale”, un gruppo di ricercatori dell’Esa – l’Agenzia Spaziale Europea – ha tentato un esperimento simile a quello cinese: «I due fotoni si trovavano, però, entrambi sulla Terra, e a una distanza di soli 140 chilometri». Sempre nel corso del 2016, ad aprile, alcuni scienziati dell’esercito americano «hanno raccontato di essere riusciti a trasferire un’intera squadra di militari da un centro di ricerca e sviluppo del Massachusetts a una zona di addestramento della Nato in Germania». La notizia è stata addirittura confermata attraverso il “Natick Soldier System Center” dell’esercito statunitense, «nonostante un certo inevitabile scetticismo da parte degli addetti ai lavori». Bisogna andare più indietro nel tempo, al 2004, per trovare un altro tentativo: una squadra americana del National Institute of Standards and Technology e una austriaca dell’università di Innsbruck «riuscirono a spostare, con la tecnica del teletrasporto quantico, alcune proprietà di atomi di berillio e calcio», ricorda Uva sul “Giornale”. Insomma, la ricerca non si ferma. «E la comunità scientifica è convinta che, in assenza di intoppi, entro una decina di anni si potrebbe arrivare a ottenere immagini e filmati quasi in tempo reale da Marte».Addio petrolio e guerre? Fine dell’era delle auto e dei treni, delle navi e degli aerei? Sop all’inquinamento? La promessa – epocale, ai confini della realtà – si chiama teletrasporto. Per la precisione: entro 20 anni sarebbe possibile “teletrasportare” merci e perfino esseri umani. Non è pià fantascienza: «Il teletrasporto umano potrebbe presto diventare realtà», scrive Massimo Fenris su “Blasting News”. «Spostarsi da un punto all’altro del globo in maniera istantanea, poter essere dove si vuole in una manciata di secondi evitando le lunghe code in stazioni e aeroporti, poter lavorare ovunque non essendo costretti ad abbandonare i propri cari e le proprie radici: sarebbero solo alcuni dei vantaggi del teletrasporto». La grande sfida arriva direttamente dal Cremlino, con un progetto che richiederà un investimento miliardario. «Oggi sembra qualcosa di fantascientifico, ma a Standford ci sono riusciti con esperimenti molecolari. Se ci pensiamo, molta della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione è stata pensata dalla fantascienza 20 anni fa», afferma Alexander Galitsky, uno dei principali investitori russi in termini di tecnologie all’avanguardia. Ma la sfida coinvolge ovviamente gli Usa e la Cina, che è riuscita a “telatrasportare” fotoni dalla Terra a un satellite in orbita.
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Ci svendono alla Francia, perché ci salvi da Berlino: illusi
La classe dirigente italiana ha preso progressivamente coscienza che il maggior pericolo per la nostra permanenza nel nocciolo europeo è la Germania. «Consapevole però di aver indissolubilmente legate le sue fortune al progetto d’integrazione europea e terrorizzata dal “salto nel vuoto” che comporterebbe un’uscita dall’Europa (si tratterebbe di riesumare una programmazione industriale ed una politica mediterranea, senza che nessuno ne abbia più le capacità), il nostro establishment ha quindi maturato dal 2011 una strategia disperata: “vendere l’Italia” alla Francia, in cambio dell’impegno francese a perorare la nostra causa di fronte alla Germania». Lo sostiene Federico Dezzani, secondo il quale «gli europeisti sognano un futuro da satellite francese». Lo scenario: la liquidità immessa dalla Bce ha “sedato” i mercati finanziari, senza però risolvere nessun problema di fondo. E così, per rimanere agganciata al progetto d’integrazione europea, l’Italia «sta cedendo quote crescenti del nostro sistema economico-finanziario alla Francia, nella speranza che Parigi ci apra le porte della “serie A”». Se l’Ue è ormai prossima al capolinea, emerge il Piano-B: l’Europa “a due velocità”, «che contempla una maggiore integrazione fiscale e politica tra Francia e Germania, con rispettivi satelliti».Un’unione a due, argomenta Dezzani sul suo blog, significherebbe che Berlino si faccia carico di Parigi, trasferendo un ammontare di risorse tale da consentirle di “vivere al di sopra dei propri mezzi”: ipotesi piuttosto remota, visto l’assetto politico tedesco. In compenso, «la Francia dispone ancora di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e di un arsenale atomico: per Berlino, “l’acquisto della Francia” sarebbe un buon affare e le consentirebbe di evitare la sindrome di isolamento/accerchiamento di cui ha sofferto dal 1870 in avanti». Al di là di una maggiore integrazione con Parigi, però, Berlino però non andrà: e sicuramente «non è nell’interesse della Germania creare le condizioni perché anche l’Italia possa partecipare “al nocciolo duro”». Tutte le iniziative tedesche di questi ultimi mesi, osserva l’analista, «vanno infatti nella direzione di un’espulsione forzata dell’Europa mediterranea dall’area euro: dall’ipotesi di “default controllati” avanzata da Wolfgang Schaeuble alla stretta sui crediti deteriorati, passando per nuovi criteri per la valutazione dei Btp iscritti nei bilanci delle banche, è chiaro che la Germania sta facendo di tutto per spingere l’Italia e l’euro-periferia fuori dall’euro».Da qui la tentazione, tutta italiana, di aggrapparsi alla Francia. Si considerino gli investimenti, scrive Dezzani: se le acquisizioni tedesche in Italia sono piuttosto limitate dal 2011 in avanti (il marchio Ducati, l’Italcementi della famiglia Pesenti), quelle francesi esplodono letteralmente e, concentrandosi in settori strategici come l’energia, la finanza e le telecomunicazioni, godono dell’esplicita approvazione dei governi Monti-Letta-Renzi. Nel 2011, ricorda l’analista, Parmalat è acquistata da Lactalis, mentre Bulgari è passata a Lvmh. L’anno seguente, Edison ha lasciato l’orbita Acea per entrare nel mondo Gdf Suez. Ancora: nel 2016, Pioneer è stata comprata da Amundi e Telecom è stata scalata da Vivendi. Nel 2017 Luxottica è stata inglobata da Essilor. Saltuariamente, aggiunge Dezzani, circolano voci di un acquisto di Unicredit da parte di Société Générale, mentre le Assicurazioni Generali sarebbero nel mirino di Axa. «Quel che è certo è la finanza italiana è ormai dominata dal trio francese Jean Pierre Mustier (ad di Unicredit), Philippe Donnet (ad di Generali) e Vincent Bolloré (azionista di Mediobanca e padrone di Telecom), a loro volta espressione della finanza Rothschild che occupa attualmente l’Eliseo con Emmanuel Macron».Negli ultimi sette anni, rileva Dezzani, «l’Italia è diventata un sotto-sistema dell’economia francese, con l’avvallo dei governi “europeisti” nostrani: il governo Gentiloni ha persino inviato i nostri militari a presidiare i fortini della Legione Straniera in Niger». Qualsiasi acquisto italiano in Francia è stato bloccato, dal passato interesse di Enel per Suez alle più recenti mire di Fincantieri su Stx Saint-Nazaire. «In quest’integrazione a senso unico si può facilmente scorgere il grande disegno geopolitico della Francia: ridurre l’Italia, acquisendo il controllo di tutti i gangli dell’economia, alla condizione di Stato-vassallo, così da raggiungere una massa tale da confrontarsi con la Germania che, al contrario, sta coagulando attorno a sé i paesi dell’Europa nordica e centrale (Olanda, Austria, Slovenia, Paesi Baltici)». L’Italia, che ha la “stazza” economica e una popolazione sufficiente per restare un attore autonomo, «guadagna invece da questo scivolamento nell’orbita francese soltanto la promessa di rimanere agganciata al processo di integrazione europea: come satellite di Parigi». Secondo Dezzani, «la fallimentare classe dirigente sta, in sostanza, vendendo il paese alla Francia per salvare se stessa, sperando che l’assoggettamento a Parigi eviti la nostra espulsione “dall’Europa”».Anche lo schema dei trattati bilaterali, osserva l’analista, è un indice della gerarchia che si sta creando in Europa: la proposta di un nuovo Trattato dell’Eliseo, presentata il 22 gennaio 20182, dovrebbe rafforzare l’integrazione tra la Germania (contraente forte) e la Francia (contraente debole). «Nessun accordo simile è previsto tra Germania e Italia». Il nostro paese dovrebbe invece siglare entro il 2018 il cosiddetto “Trattato del Quirinale”, presentato dal premier Gentiloni lo scorso 10 gennaio, in occasione della visita a Roma di Emmenuel Macron: «Si tratterebbe del corrispettivo del Trattato dell’Eliseo, dove però la Francia è il contraente forte e l’Italia quello debole». Di fatto, «accantonata qualsiasi pretesa di parità tra i diversi Stati», “l’Europa a due velocità” sarebbe quindi «una struttura gerarchica, dove l’Italia è un sotto-sistema della Francia, a sua volta dipendente dalla Germania». Secondo Dezzani, i prossimi mesi saranno decisivi per le sorti dell’Ue: collasso accelerato o precario asse Merkel-Macron? «In qualsiasi caso, non è interesse dell’Italia rimanere in “serie A” come satellite della Francia». Se una classe dirigente «fallita ed esautorata» sogna di stipulare il “Trattato del Quirinale” e assoggettarci alla Francia, «una nuova classe dirigente dovrebbe studiare come ricollocare l’Italia al centro del Mediterraneo e rimettere in sesto l’economia con un’accurata programmazione industriale».La classe dirigente italiana ha preso progressivamente coscienza che il maggior pericolo per la nostra permanenza nel nocciolo europeo è la Germania. «Consapevole però di aver indissolubilmente legate le sue fortune al progetto d’integrazione europea e terrorizzata dal “salto nel vuoto” che comporterebbe un’uscita dall’Europa (si tratterebbe di riesumare una programmazione industriale ed una politica mediterranea, senza che nessuno ne abbia più le capacità), il nostro establishment ha quindi maturato dal 2011 una strategia disperata: “vendere l’Italia” alla Francia, in cambio dell’impegno francese a perorare la nostra causa di fronte alla Germania». Lo sostiene Federico Dezzani, secondo il quale «gli europeisti sognano un futuro da satellite francese». Lo scenario: la liquidità immessa dalla Bce ha “sedato” i mercati finanziari, senza però risolvere nessun problema di fondo. E così, per rimanere agganciata al progetto d’integrazione europea, l’Italia «sta cedendo quote crescenti del nostro sistema economico-finanziario alla Francia, nella speranza che Parigi ci apra le porte della “serie A”». Se l’Ue è ormai prossima al capolinea, emerge il Piano-B: l’Europa “a due velocità”, «che contempla una maggiore integrazione fiscale e politica tra Francia e Germania, con rispettivi satelliti».
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Bin Laden massone, Kevin Spacey silurato dal Bohemian
Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria on Air” ai microfoni di “Colors Radio” il 29 gennaio. «Scusi, ma lei come fa a dire che Bin Laden era massone?», lo incalza un ascoltatore. «Lo seppi direttamente da chi lo iniziò», risponde Magaldi: «Fu Brzezinski a rivelarmelo», mostrandogli anche la documentazione comprovante l’affiliazione di Bin Laden alla “Three Eyes”, superloggia neo-conservatrice alla quale, secondo Magaldi, appartengono eminenti figure dell’attuale panorama istituzionale – fra gli italiani, Mario Draghi e Giorgio Napolitano, insieme a Marta Dassù (Finmeccanica) e Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), fino all’ex ministra renziana Federica Guidi. Un peso massimo, la “Three Eyes” (leader storico, Henry Kissinger) nell’ispirazione delle politiche neo-feudali e neoliberiste, fedelmente “eseguite” da personaggi come la francese Christine Lagarde (Fmi), l’americana Condoleezza Rice, il portoghese Pedro Passos Coelho, l’ex premier greco Antonis Samaras, l’olandese Mark Rutte. Ma Bin Laden? «Fu “reclutato” da Brzezinski per essere impiegato in Afghanistan in chiave anti-sovietica», poi però lo stesso Bin Laden lasciò la “Three Eyes”, spiazzando Brzezinski, per approdare alla “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush.La “Hathor” è la “loggia del sangue della vendetta” sospettata di aver orchestrato il maxi-attentato dell’11 Settembre. Secondo Magaldi vi fanno parte l’inglese Blair, il francese Sarkozy, il turco Erdogan e lo stesso Abu Bakr Al-Bahdadi, il fantomatico capo dell’Isis, cioè l’ultima incarnazione della “strategia della tensione internazionale” che ha suscitato sconcerto persino tra i falchi della destra economica super-massonica. «Posso provare ogni mia affermazione, esibendo 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi. Qualcuno gliene ha fatto richiesta? Nessuno, mai. Silenzio assoluto, anche sui giornali, di fronte a notizie teoricamente esplosive, perché consentono di mappare il vero potere e smascherare molta ipocrisia ufficiale. Ma il mainstream, semplicemente, tace. Preferisce frugare tra le lenzuola di Woody Allen, fingendo di ignorare l’ipotesi più ovvia, «e cioè che Mia Farrow, moglie abbandonata, gli abbia “messo contro” i figli adottivi per metterlo in cattiva luce». Addirittura sinistro il caso di Spacey, anche lui accusato di molestie, dopo che “House of Cards” ha lasciato intravedere il ruolo del Bohemian Club, «nota associazione paramassonica mondialista che è lo schermo di alcune potentissime Ur-Lodges neo-aristocratiche».Per Magaldi, questo «nuovo maccartismo, di strano segno» non ha giustificazioni: «Le “bufale” esistono, per carità, ma – se costituiscono diffamazione – sono perseguibili per legge. Altra cosa, invece, è questo clima infame, da caccia alle streghe, degno dei regimi polizieschi di sovietica memoria: un metodo “perfetto”, per far fuori chiunque sia scomodo, prendendo per buone le accuse di qualcuno che ce l’ha con te e, per distruggerti, riesuma episodi vecchi di trent’anni. Hai voglia a difenderti in tribunale: finisci alla berlina all’istante, emarginato». Sta accadendo a Woody Allen, ormai in difficoltà con la distribuzione del suo ultimo film, anche per colpa di «attori anche mediocri, o magari vincitori di un Oscar proprio grazie a lui, che oggi lo scaricano in una gara di zelo verminoso, come fosse un appestato da mettere al bando». Il guaio? «Questo meccanismo, fondato sulla delazione indiscriminata e senza controllo, rende tutti più vulnerabili». Un sospetto: «Penso che alcune “manine” americane abbiano soffiato sul fuoco, per creare un clima adatto a eliminare personaggi non graditi al potere». “Manine” americane, fino agli esecutori italiani: «Da noi, grazie all’ineffabile Minniti, sarà la polizia – non la magistratura – a stabilire se una notizia web è vera o no. Siamo al Ministero della Verità di Orwell, sembra di tornare ai tempi dell’Inquisizione». E nel frattempo, silenzio di tomba sulle notizie più indigeste. Bin Laden? Ma certo, il fanatico islamico: il capo dei cattivi.Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».