Archivio del Tag ‘premier’
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L’impresentabilità di Silvio (e dei suoi valorosi oppositori)
Berlusconi impresentabile? Più o meno quanto i suoi valorosi “oppositori”, che in vent’anni non hanno fatto mai nulla per ostacolarlo concretamente. Parola di Aldo Giannuli, uno che a disarcionare il Cavaliere ci provò davvero, nei primissimi giorni del lontano 1994: insieme all’allora deputato Pds Nicola Coalianni aveva predisposto un disegno di legge sull’incandidabilità dell’uomo di Arcore. Ma a fermarlo fu Achille Occhetto, quello della “gioiosa macchina da guerra”. L’iter parlamentare per la legge anti-Berlusconi sarebbe durato mesi e avrebbe comportato il rinvio del voto, mentre Occhetto aveva fretta di «andare a vincere le elezioni a marzo». Poi sappiamo com’è andata, dice oggi Giannuli, che osserva: «E’ da quell’antico pasticcio che nasce tutta la tematica sul conflitto di interesse, costantemente agitato dalla sinistra in ogni campagna elettorale e mai tradotto in una legge». Imbarazzante: «Non è che sia una figura magnifica quella di un paese che ha avuto per quattro volte, come presidente del Consiglio, un signore che era un frequentatore abusivo delle assemblee elettive, salvo poi accorgersene vent’anni dopo. Vi sembra serio?».
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Letta, l’esultanza e la realtà: Italia svenduta agli stranieri
E bravo Letta: il premier esulta per il contentino strappato a Bruxelles, che ci concede di spendere un po’ di soldi – i nostri, comunque – mentre il piano europeo di devastazione del paese va avanti indisturbato, e senza che i media mainstream e i partiti ne parlino mai. «Le vittorie di Letta sono quantitativamente insignificanti e servono a non parlare dei vizi strutturali macroeconomici dell’Eurosistema», accusa l’analista indipendente Marco Della Luna, che “smaschera” – conti alla mano – la reale portata dell’operazione d’immagine gestita dal governo. «Dal potere europeo – spiega Della Luna – Enrico Letta ha ottenuto 1,5 miliardi spendibili in due anni a partire dal prossimo gennaio, e altri 7 miliardi in cofinanziamento, cioè 3,5 messi dall’Italia e 3,5 messi dall’Ue, però con soldi dei contributi italiani, grazie a una deroga al plafond del 3% di disavanzo pubblico». Sostanzialmente, per tutto il 2014, «si tratta dell’autorizzazione a spendere soldi quasi tutti nostri».
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Giannuli: golpe strisciante, democrazia azzoppata dal ‘93
Per la prima volta nella storia italiana, il governo in carica è diretta emanazione del capo dello Stato, di fronte all’ “impotenza” del Parlamento la cui fiducia è più forzata che ottenuta. Napolitano non si limita a nominare il presidente del Consiglio, ma interviene direttamente nella scelta dei ministri e stabilisce anche le linee guida del programma. Dunque: «Siamo già di fronte ad una evoluzione di tipo semi-presidenziale che volge al modello francese», rileva Aldo Giannuli. E’ il caso di parlare di “golpe”, come ha fatto Grillo? Dipende da come si intende il concetto di “colpo di Stato”, sostiene il politologo: si può avere “rottura costituzionale” anche senza per forza i carri armati nelle strade. Tecnicamente, «si ha colpo di Stato quando viene mutata la natura del sistema politico con modalità diverse da quelle legali, ad opera di una fazione al potere». Se proprio serve una data, Giannuli risale al 1993: fu la riforma elettorale voluta dal referendum Segni, sull’onda dell’emergenza Tangentopoli, a incrinare pericolosamente la nostra democrazia.
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Benvenuti all’inferno: oggi Bangladesh, domani Italia
Chi produce gli indumenti che indossiamo lavora per due dollari l’ora. Anzi, lavorava: perché ormai quei due dollari sono “troppi” persino in Cina, dove si fatica senza contributi, senza sanità e senza protezioni ambientali. Così, annuncia Paolo Barnard, le maggiori multinazionali mondiali del manifatturiero se ne stanno andando, dalla Cina: «Vanno in Vietnam, o altrove, dove il costo del lavoro è la metà», perché il margine di profitto delle grandi catene americane ed europee si è ridotto all’1-2%. «Pagando all’origine 2 dollari all’ora per i cinesi, non ci stanno più dentro. Dopo il Vietnam andranno in Sudan, poi faranno lavorare i bambini africani a 50 centesimi al giorno, poi i prigionieri di guerra e i carcerati gratis, poi le anime dell’inferno, e poi dovranno inventarsene un’altra». E’ un fronte spaventoso, le cui ultime notizie arrivano dal Bangladesh: almeno 300 operai sono morti nel crollo di Rana Plaza, una fabbrica fatiscente del sobborgo Dhaka di Savar, dove si confezionavano abiti per Benetton e per catene come Wal-Mart.
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Per Bruxelles siamo solo bestiame: fanno zootecnia sociale
Tanto rumore per il solito commissariamento del governo italiano. Si dà grande risalto mediatico al fatto che Pd e Pdl si mettano insieme, per nascondere la vera notizia: «Lo fanno per imporre decisioni prese al di fuori dell’Italia, sebbene si dimostrino rovinose». Ci portano al macello: con metodi di “allevamento” sperimentati precisamente nella zootecnia. Parola di Marco Della Luna, scettico nei confronti del governo Letta per un motivo semplicissimo: «Il potere politico è nelle mani di chi ha le leve macroeconomiche, soprattutto di decidere quanta moneta mettere in circolazione, a chi darla, a che tassi, a che condizioni, e di decidere se e quanto lo Stato possa investire, anche a deficit, per indurre l’attivazione dei fattori di produzione, l’occupazione, la crescita», oltre che «decidere sulla regolazione dei cambi valutari e regolamentare le importazioni di beni, servizi e capitali». Quindi, il conflitto d’interessi «non è tra Pd e Pdl, ma tra chi impone quelle decisioni e la gente che ne subisce gli effetti».
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Il “folle” sparatore di Roma e i cannibali della disperazione
Mezzogiorno di fuoco a Palazzo Chigi: due carabinieri feriti, uno in modo grave, proprio nel momento in cui il nuovo governo al Quirinale giura fedeltà alla Costituzione. Il gesto eclatante e isolato di un disoccupato stanco della vita e sommerso dai debiti, a cui manca solo un’ultima pallottola per darsi il colpo di grazia? «I piccoli gnomi bipartisan, gli insignificanti uscieri di palazzo, i falchi e le anatre Pd-Pdl gareggiano nell’additare, senza fare nomi sia chiaro, il movimento di Beppe Grillo quale mandante indiretto, o quantomeno responsabile morale, del gesto disperato di Luigi Preiti, un “calabrese” di Rosarno (fosse stato un lombardo o un veneto la provenienza regionale non sarebbe stata specificata)», protesta Anna Lami su “Megachip”. «Ecco, è colpa di Beppe Grillo. Se Beppe Grillo la smettesse di ribadire quello che pensano un po’ tutti, ossia che abbiamo una classe politica meschina – dato di fatto di reale larghissima intesa nazionale – i ministri del governo Letta-Napolitano potrebbero fare le foto ricordo in tutta tranquillità».
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Nato e Bce, con tanti saluti all’Italia (e minacce a Grillo)
Dall’ultra-atlantista Emma Bonino, pronta a tutte le più sanguinose guerre decise da Washington, all’ultra-europeista Fabrizio Saccomanni, direttore di Bankitalia con esperienze sia alla Bce che al Fmi, dopo gli studi alla Bocconi e alla Princeton University. Due ministri-chiave, esteri ed economia, già delimitano in modo inequivocabile il perimetro del secondo “governo Napolitano”, con Letta premier e Alfano vice, più altri mestieranti della nomenklatura: Gaetano Quagliariello alle riforme, probabilmente per una legge elettorale anti-Grillo e un presidenzialismo all’italiana, Maurizio Lupi a infrastrutture e trasporti (leggasi: Tav Torino-Lione), nonché il redivivo Dario Franceschini (rapporti col Parlamento) e i “presentabili” Nuzia De Girolamo (agricoltura), Beatrice Lorenzin (sanità) e l’ex sindaco padovano Flavio Zanonato (sviluppo). Ministri-vetrina: la campionessa Josefa Idem (sport), il direttore della Treccani, Massimo Bray (cultura), il presidente dell’Istat Enrico Giovannini (altro“saggio”, ora incaricato di gestire lavoro e welfare) e la italo-congolese Cécile Kyenge, medico e primo ministro di colore nella storia italiana, delegata all’integrazione.
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E dopo l’inciucio i ragli di Renzi: sulla crisi, idee zero
Renzi è andato vicino all’incarico di premier già questa volta, e molti pensano che presto lo diventerà. Ma qual è il fondamento della sua auto candidatura? Vuole guidare l’Italia, verso dove? Riporto dalla sua intervista su “Repubblica” del 22 aprile, Renzi: «Il Pd dica che governo vuole, eviti le formule. La smetta con gli aggettivi e inizi con i sostantivi. Si faccia avanti con le sue idee, e le imponga al nuovo governo». Tito: «Lei ha qualche suggerimento?». Renzi: «Basta con le discussioni tecniche, basta annunciare provvedimenti di legge che poi non si realizzano mai. Bisogna semplificare e sburocratizzare. Nei primi cento giorni di governo si semplifichi la normativa sul lavoro». Tito: «Vuole misure più liberiste?». Renzi: «Io voglio qualcosa che crei più occupati, che consenta ai giovani di trovare lavoro». Se un asino potesse ragliare di economia, non farebbe peggio.
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Se Letta fallisce ci aspettano i manganelli dell’Eurogendfor
Rieleggere Napolitano al Colle e puntare decisi a legittimare con una riforma costituzionale il presidenzialismo di fatto, svuotando di poteri e dignità il Parlamento in favore della Commissione Europea, della Bce e del Quirinale, serve a inasprire la crisi. Confermata la linea pseudo-neoliberista e fiscalista, gli uomini del Bilderberg, del Fmi e dell’Unione Europea sono i primi a congratularsi, annota Marco Della Luna. E Napolitano, col plauso di quasi tutti (incluso Berlusconi) incarica di formare il governissimo “senza alternative” nientemeno che Enrico Letta, che «come economista e come politico è assolutamente improponibile per il ruolo di premier, dato ciò che ha fatto, ciò che è stato e ciò che è tuttora». Anche se, forse, «si capisce perché è stato scelto», e per fare cosa: completare l’economicidio italiano. Impossibile sperare in un miracolo. Più probabile che, invece, la protesta per il disastro economico venga sigillata da una inaudita repressione, affidata alla nuova super-polizia europea.
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Grillo si decida, o Napolitano ci porta in Grecia a nuoto
Ho detto è ripetuto che Grillo non doveva dare alcuna fiducia al Pd e a Bersani. Non ho proposto alcun governo di salvezza nazionale con il Pd. Non ho mai proposto di saltare il guado. Gli ho detto, al contrario (e avevo cento e una ragione!) che il M5S avrebbe dovuto presentare a Napolitano un proprio candidato premier e un proprio governo ombra. Ho detto che doveva scegliere una squadra e mostrarla al paese. Una squadra composta di uomini e donne di alto profilo morale e politico, esterni al palazzo e alla casta, professionalmente di alto valore. Questi uomini e donne non sarebbero stati comunque degli yesmen, o yeswomen. Dunque Grillo avrebbe dovuto, fin da subito, “cambiare macchina”. Perché con quella che gli aveva consentito il risultato elettorale non avrebbe potuto procedere oltre di un millimetro. Quella squadra sarebbe stata una proposta al paese, più che ai partiti.
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Italia kaputt, a Palazzo Chigi il super-piazzista dell’euro
“Euro sì. Morire per Maastricht”. Era il 1997 ed Enrico Letta annunciava, nel suo saggio pubblicato da Laterza, che sarebbe valsa la pena di morire per l’euro e Maastricht come nel 1939 valeva la pena di “morire per la Polonia”. «Non c’è un paese che abbia, come l’Italia, tanto da guadagnare nella costruzione di una moneta unica», disse al “Corriere della Sera”, al termine del suo primo incarico importante, la partecipazione alla commissione per l’introduzione dell’euro. «Abbiamo moltissimi imprenditori piccoli e medi che, quando davanti ai loro occhi si spalancherà il grandissimo mercato europeo, sarà come invitarli a una vendemmia in campagna: è impossibile che non abbiano successo, il mercato della moneta unica sarà una buona scuola, ci troveremo bene». Questo è l’uomo a cui l’appena rieletto Napolitano affida il “governissimo”.
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Rottamato il Pd, da D’Alema a Renzi: fine dell’equivoco
Di Bersani, Prodi e Marini non è neppure il caso di dire. Ne esce male tutto il Pd che ormai è solo la sigla di Psico Dramma. Non esiste più come soggetto politico, probabilmente si scinderà e forse neppure in due soli pezzi, ha dissipato un consenso che non rivedrà mai più neppure con il cannocchiale, ha la base in rivolta ed ha perso ogni contatto con il paese. Ma quello che è più singolare è che perdono tutte le sue correnti (o meglio, le sue tribù). Ovviamente ne esce disintegrato il gruppo bersaniano che perde il suo punto di riferimento e che non sa a che santo votarsi. Ma perde anche Dalema: è riuscito ad ammazzare la candidatura di Prodi, ma si è suicidato, perché questa è la premessa del suo vero pensionamento (finalmente!). Non è riuscito ad andare al colle, non è più parlamentare, il suo gruppo è individuato come quello dei “traditori” ed è odiatissimo da tutti.