Archivio del Tag ‘sanità’
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I fotografi: sono un falso le immagini dell’uomo sulla Luna
«Se le avessero chieste a me, quelle immagini da studio le avrei fatte molto meglio», cioè con le ombre “giuste”, simulando bene l’effetto del sole. Parola di Oliviero Toscani. Il film del presunto allunaggio? La madre di tutte le fake news: «Un falso al 200%». A dirlo è un altro principe della fotografia mondiale, Peter Lindbergh, il numero uno nel campo della moda, “inventore” delle top-model degli anni ‘90, da Cindy Crawford a Naomi Campbell. La domanda: da dove arrivano quelle luci (artificiali) che rischiarano gli astronauti? Proiettori, spot da cinema, pannelli riflettenti: attrezzature di cui l’equipaggio di Apollo 11 non disponeva. L’esame dei fotografi è la prova regina del test condotto da Massimo Mazzucco, autore del documentario “American Moon”. Oltre tre ore di film, che inchiodano lo spettatore di fronte a una verità incontrovertibile: a prescindere dal fatto che ci siamo stati o meno, sulla Luna, le immagini dell’allunaggio – trasmesse dalla Nasa in mondovisione nel 1969 – sono un falso, palese e grossolano. I sospetti crescono ulteriormente, scoprendo che l’ente aerospaziale ha dichiarato di aver “smarrito” i film originali di un evento che, se fosse reale, sarebbe una pietra miliare nella storia dell’umanità. Per non parlare degli astronauti: anziché essere celebrati a vita come eroi, hanno trascorso il resto dei loro giorni a nascondersi.
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Giannuli: spiegate alla sinistra che le tasse vanno tagliate
Da circa venti anni assistiamo ad una sceneggiata per cui la sinistra (o quel che si definisce tale) è il partito delle tasse che, appena ha il governo, si affretta golosamente ad aumentare, e la destra è quella che protesta e strepita contro questi aumenti (“Stanno mettendo le mani in tasca agli italiani!”), ma che poi, andata al governo, non solo non toglie nessuno di quegli aumenti, ma ne aggiunge di suoi. Per la sinistra si tratta di un riflesso condizionato che la induce a pensare che le tasse siano un bene in sé, perché servono a finanziare la spesa sociale e come meccanismo di redistribuzione della ricchezza. Ma le cose sono molto più complicate. In primo luogo, si pone un problema di quantità: quale è la soglia di un prelievo fiscale sopportabile? Non poniamo la questione in termini etici, ma in termini economici: è evidente che più alto è il prelievo fiscale e meno soldi hanno i cittadini per i consumi e, se i consumi calano, ne soffrono le imprese che, oltre certi livelli di guardia, potrebbero crollare una dopo l’altra, provocando un crollo occupazionale. Si innesca così in circolo vizioso, per cui l’aumento delle disoccupazione riduce ulteriormente il monte salari e, quindi i consumi; questo produce nuovi fallimenti, e così via.Peraltro la flessione occupazionale, in termini lineari, produce anche una contrazione del gettito fiscale, con il risultato di spingere ad una nuova stretta per mantenere costante il gettito. E di questo passo si fa bancarotta. Naturalmente ci sono una serie di soglie per cui il risultato finale può prodursi più o meno lentamente. Ed esistono anche controtendenze che limitano gli effetti negativi di un’eccessiva pressione fiscale: ad esempio, evasione fiscale e lavoro nero, per quanto condannabili sul piano morale e indesiderabili su quello politico, però hanno l’effetto di sottrarre una parte della ricchezza all’appropriazione statale, mantenendo quindi, almeno in parte, il potere d’acquisto dei cittadini. Con il risultato che più è elevata la pressione fiscale, più aumenta la propensione a pratiche illegali o condannabili come evasione e lavoro nero, il che poi sposta il carico del gettito inevaso sulle spalle dei contribuenti onesti o che non possono sottrarsi agli obblighi fiscali, il che moltiplica tanto le ingiustizie sociali quanto gli effetti antieconomici dell’eccessivo carico fiscale.Dunque occorre capire quale possa essere una soglia accettabile di pressione, e qui dobbiamo constatare che da 6 anni in qua, la pressione (grazie ai governi del Pd o magari sostenuti dall’esterno dal Pd, come il governo Monti) è salita a circa il 55% del Pil, tenendo conto, oltre che della tassazione diretta, di quella indiretta, dei ticket, delle tariffe dei servizi pubblici, eccetera. Un prelievo di quelle dimensioni sarebbe eccessivo anche per un breve periodo, ma qui ormai siamo entrati nell’ordine di idee che questo è un livello “normale” destinato a durare a tempo indeterminato. Il secondo ordine di problemi è chi sia il soggetto tassato, in che misura e con quali meccanismi. Una delle grandi falsità del neoliberismo è quella per la quale, siccome i ricchi sono quelli che hanno più potenziale di spesa, più detassiamo i ricchi (secondo le politiche di tassazione regressiva sul reddito inaugurate dalla Reaganomics negli Usa degli anni Ottanta), più aumentano i consumi e, quindi, si spinge verso una dinamica virtuosa.Chiunque sappia qualcosa di economia e non sia un venduto sa che la propensione all’accumulazione è direttamente proporzionale al reddito: il “ricco” (usiamo questo termine vago) spende una parte minima del proprio reddito in consumi, poi spende una quota più alta di esso in investimenti nell’economia reale, ma la parte più consistente la accumula come riserva di valore in impieghi finanziari che, in quanto tali, sono improduttivi se non nella parte (più o meno minoritaria) destinata all’economia reale. Più denaro resta immobilizzato nella riserva finanziaria, meno risorse ci sono a disposizione. In terzo luogo è decisivo come si spende il gettito fiscale. La sinistra immagina (o fa finta di crederci) che la voce più consistente sia quella della spesa sociale (pensioni, sanità, istruzione, ammortizzatori sociali) il che non è vero, se non in parte. Sicuramente le voci che abbiamo indicato sono consistenti, ma ci sono anche capitoli di spesa tutt’altro che irrilevanti come la spesa militare, quella per i lavori pubblici e, soprattutto, quella per il personale della Pa (per cui, dando lo stipendio a un fannullone, si fa una spesa improduttiva, ma si sostengono i consumi).In ciascuno di questi capitoli di spesa ci sono sprechi e diseconomie che si potrebbero rivedere facendo dimagrire la spesa complessiva, senza per questo danneggiare la spesa sociale. Ma, soprattutto, ci sono spese assolutamente negative come i compensi eccessivi ai dirigenti, l’eccessivo numero di enti che neppure alimentano i consumi ma finiscono in rendita finanziaria, ed è qui che occorre andare col machete (ma ne riparleremo). Poi c’è una spesa direttamente finanziaria: gli interessi per il debito che crescono costantemente (siamo a 84 miliardi l’anno, destinati a crescere perché in 4 anni di governo Pd il debito è cresciuto di altri 200 miliardi). Ma se la spesa rimane questa, il gettito fiscale non ce la fa e si produce nuovo debito, nonostante l’aumento delle tasse. Ma con questo livello di pressione fiscale non c’è ripresa immaginabile e, prima o poi, lo sbocco è il default. Dunque, per una vera ripresa, occorre tagliare il prelievo fiscale con una cura drastica: diciamo almeno 7-8 punti in un anno. E per far questo occorre una vera spending review (non l’attuale pagliacciata) e ricontrattare le condizioni di debito. Ma questo nella sinistra chi lo dice? Chi si preoccupa del fatto che il prelievo fiscale è diventato un moltiplicatore di ingiustizie sociali?(Aldo Giannuli, “Perché la sinistra non capisce niente della questione fiscale”, dal blog di Giannuli del 2 gennaio 2018).Da circa venti anni assistiamo ad una sceneggiata per cui la sinistra (o quel che si definisce tale) è il partito delle tasse che, appena ha il governo, si affretta golosamente ad aumentare, e la destra è quella che protesta e strepita contro questi aumenti (“Stanno mettendo le mani in tasca agli italiani!”), ma che poi, andata al governo, non solo non toglie nessuno di quegli aumenti, ma ne aggiunge di suoi. Per la sinistra si tratta di un riflesso condizionato che la induce a pensare che le tasse siano un bene in sé, perché servono a finanziare la spesa sociale e come meccanismo di redistribuzione della ricchezza. Ma le cose sono molto più complicate. In primo luogo, si pone un problema di quantità: quale è la soglia di un prelievo fiscale sopportabile? Non poniamo la questione in termini etici, ma in termini economici: è evidente che più alto è il prelievo fiscale e meno soldi hanno i cittadini per i consumi e, se i consumi calano, ne soffrono le imprese che, oltre certi livelli di guardia, potrebbero crollare una dopo l’altra, provocando un crollo occupazionale. Si innesca così in circolo vizioso, per cui l’aumento delle disoccupazione riduce ulteriormente il monte salari e, quindi i consumi; questo produce nuovi fallimenti, e così via.
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Razziare l’Africa: un Piano Marshall la indebiterà per sempre
Aiutiamoli a casa loro (a indebitarsi per l’eternità), con un maxi-prestito da 500 miliardi. «Senza un grande Piano Marshall per l’Africa – dice Berlusconi – l’Europa corre il rischio di essere invasa dai sei miliardi di persone che vivono nella miseria». Dove trovare i soldi? A finanziare sarebbe la Bei (Banca Europea degli Investimenti). Poi potrebbero intervenire il Trust Fund di La Valletta e il Consiglio Europeo con il Migration Framework, scrive “Rischio Calcolato”. «A Bruxelles si discute, ma il progetto è partito. Alla fine anche il vecchio Piano Marshall stesso sapeva che si sarebbero generate delle perdite, ma l’Italia e la Germania sono dell’idea di mettere in piedi un piano di sviluppo, una politica di investimenti che possa funzionare per contenere il flusso migratorio». Il piano, aggiunge il blog, prevede di coinvolgere investimenti privati e aiuto pubblico per lo sviluppo: un External Investment Plan che attrae i privati e fornisce a questi ultimi le garanzie sulle eventuali perdite. L’Africa non è solo una priorità strategica per economia e sicurezza: il piano è ottimo per “salvarci” da migranti economici, estremismo e terrorismo. «Per ironia della sorte è necessario allargare la platea, creare nuovi potenziali da sfruttare a cui sottrarremo il futuro».Se in una società non esiste più una classe da indebitare “a vita” per beni e necessità che consumiamo “adesso”, scrive “Rischio Calcolato”, si può intuire che il nuovo Piano Marshall, puro «colonialismo velato», è destinato a indebitare milioni di africani. «La politica – sostiene il blog – ha capito che non ci sono più abbastanza dominati a cui sottrarre il futuro, in Italia non ci sono rimasti giovani per produrre “domani” la ricchezza che noi abbiamo bisogno/voglia di consumare “oggi”». Dunque sarebbe un piano dove investire e imporre uno sviluppo, almeno per arginare la crisi. «Per trattare la questione dei flussi bisogna investire, spesso la cooperazione è inutile se le rimesse degli immigrati superano quest’ultima». Grazie all’economia dei paesi Ocse ad alto reddito, spiega la Banca Mondiale, le rimesse verso l’Africa subsahariana dovrebbero aumentare di un robusto 10% fino a 38 miliardi di dollari quest’anno. «I maggiori paesi riceventi le rimesse della regione, Nigeria, Senegal e Ghana, sono pronti per la crescita. La regione ospita anche una serie di paesi in cui le rimesse rappresentano una quota significativa del Pil, tra cui la Liberia (26%), le Comore (21%) e il Gambia (20%). Le rimesse cresceranno da un moderato 3,8% a 39 miliardi di dollari nel 2018».Il 29 e 30 novembre 2017 si è svolto in Costa d’Avorio il vertice Ue-Unione Africana per decidere il futuro dei rapporti tra i due continenti e porre le basi del nuovo partenariato tra Europa e Africa. I promotori del nuovo Piano Marshall hanno capito che bisogna investire perché «i problemi dell’Africa sono, anche, i problemi dell’Europa». Quindi, tramite le varie leve e sinergie con la Bei, si possono investire circa 500 miliardi. Dove guadagnarci? «Alle multinazionali – anche italiane – si offre l’occasione di fare affari con i sieropositivi, con le persone che muoiono di malaria, con le carenze di vitamina A e proteine che provocano circa 500mila casi di cecità ogni anno», scrive ancora “Rischio Calcolato”, che teme che «ci verrà concesso di scatenarci maggiormente con il land-grabbing, seguendo le nuove regole del neo-colonialismo», puntando a saccheggiare i suoi fertili. «Il bello di questo Piano Marshall proposto è che si può finanziare semplicemente stampando simpatici “foglietti di carta”». In compenso, l’Africa «ci ripagherà fornendoci materie prime come: neodimio, cobalto, nichel, manganese», che verranno rivendute alle industrie europee dei semiconduttori. «Con il vecchio sistema geniale di indebitarli massicciamente “direttamente a casa loro” ci si guadagna due volte», osserva “Rischio Calcolato”: «Le classi agiate che emergeranno – da questa operazione – manderanno i figli a studiare in Europa, nel frattempo il piano provvede all’interruzione di esportazione di migranti economici, e incrementa una massa elevata di nuovi debitori freschi freschi».Aiutiamoli a casa loro (a indebitarsi per l’eternità), con un maxi-prestito da 500 miliardi. «Senza un grande Piano Marshall per l’Africa – dice Berlusconi – l’Europa corre il rischio di essere invasa dai sei miliardi di persone che vivono nella miseria». Dove trovare i soldi? A finanziare sarebbe la Bei (Banca Europea degli Investimenti). Poi potrebbero intervenire il Trust Fund di La Valletta e il Consiglio Europeo con il Migration Framework, scrive “Rischio Calcolato”. «A Bruxelles si discute, ma il progetto è partito. Alla fine anche il vecchio Piano Marshall stesso sapeva che si sarebbero generate delle perdite, ma l’Italia e la Germania sono dell’idea di mettere in piedi un piano di sviluppo, una politica di investimenti che possa funzionare per contenere il flusso migratorio». Il piano, aggiunge il blog, prevede di coinvolgere investimenti privati e aiuto pubblico per lo sviluppo: un External Investment Plan che attrae i privati e fornisce a questi ultimi le garanzie sulle eventuali perdite. L’Africa non è solo una priorità strategica per economia e sicurezza: il piano è ottimo per “salvarci” da migranti economici, estremismo e terrorismo. «Per ironia della sorte è necessario allargare la platea, creare nuovi potenziali da sfruttare a cui sottrarremo il futuro».
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Voto inutile? Non per sempre: gli italiani sono in sciopero
Sempre sicuri che un terzo dell’umanità si starebbe risvegliando dal letargo, come scrive l’analista geopolitico Fausto Carotenuto? L’Italia è il paese in cui ha il coraggio di ripresentarsi alle elezioni Beatrice Lorenzin, addirittura alla guida di una coalizione centrista, non paga di aver appena terrorizzato milioni di famiglie, migliaia di scuole e centinaia di Asl con la valanga di vaccinazioni appena imposte, senza l’ombra di un’emergenza sanitaria in atto. Tutti i sondaggi in vista delle politiche 2018 danno i 5 Stelle come primo partito, verso il 30%, ma il centrodestra in lievissimo vantaggio, sommando i voti dell’intramontabile Berlusconi a quelli (in calo) della Lega di Salvini, fatalmente annacquatasi nell’alleanza col Cavaliere, fattosi conciliante con Bruxelles. Dopo la grana Boschi-Etruria, lo stesso Renzi appare in discesa libera, addirittura al 22,8% secondo Ixè, anche per colpa dell’altra fenomenale novità del prossimo 4 marzo, il cartello “Liberi e Uguali” capitanato da due new entry della politica italiana come D’Alema e Bersani, alle spalle degli entusiasmanti Grasso & Boldrini. E’ tutto qui il presunto risveglio degli italiani? Nient’altro, in vista, per gli elettori stufi di farsi prendere in giro da politici che in realtà si limitano da decenni a obbedire a diktat stranieri, soprattutto finanziari?Negli ultimi mesi, è diventato rovinosamente evidente il ruolo di “gatekeeper” del Movimento 5 Stelle, in un certo senso rivendicato dallo stesso Grillo, anni fa: non ci fossimo noi, ci sarebbero le barricate in strada. Finora, dai 5 Stelle, non una parola sulle guerre Nato che minacciano la sicurezza strategica italiana, a cominciare dalle tensioni con la Russia (già costate miliardi, al made in Italy, in termini di mancato export dopo le sanzioni inflitte a Mosca). Soprattutto, i grillini non hanno ancora formulato una ricetta per il problema numero uno, la drammatica crisi economica. Insistono nel proporre un “reddito di cittadinanza”, cioè la paghetta per la rassegnazione definitiva al peggio, pagata peraltro facendo solo la cresta agli “sprechi”. L’Europa “matrigna”? Grillo ha tentato di smarcarsi da Farage, a Strasburgo, per approdare tra gli ultra-europeisti dell’Alde, vicini a Monti, l’uomo del rigore. L’euro? Peggio che andar di notte: quando ormai tutti gli economisti del mondo spiegano che la moneta unica è una trappola mortale per l’Italia, la pentastellata Laura Castelli confessa, in televisione, che a un eventuale referendum sull’euro non saprebbe come votare.Di fronte a questo tipo di offerta, è facile intuire che l’oceano dell’astensionismo crescerà ancora – ma secondo Aldo Giannuli si illudono, Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa, se sperano di far breccia nel non-voto con una proposta last minute: «Ammesso che riescano a presentare le liste, c’è il rischio che non raggiungano neppure l’1%». Realisticamente, numeri alla mano, lo spettacolo che ci attende non è allegro: l’ennesimo “inciucio” tra Renzi e Berlusconi o un’alleanza tattica tra D’Alema e Di Maio, che si sta accreditando come un possibile premier rassicurante per i poteri forti, uno che si guarderà bene dal cambiare qualcosa. In entrambi i casi, molti analisti ritengono che le urne produrrano un esecutivo zoppo, di breve durata. Motivi di consolazione? Uno, forse: i milioni di italiani che, magari a torto, nel 2013 presero per buona la freschezza dei 5 Stelle, mandando in tilt l’establishment politico. Poi il seguito è cronaca, a cominciare dalla commedia romana della Raggi. Ma quei voti-contro, espressi ormai quasi cinque anni fa, restano un monito, sommati al gesto dei milioni di italiani che hanno disertato le urne per protesta e sfiducia. Uno su due ha smesso di votare; degli altri, e quasi uno su tre voterà 5 Stelle, illudendosi che serva a qualcosa. Tradotto: in larga maggioranza, l’Italia ha già bocciato questa politica. Prima ancora delle elezioni.Sempre sicuri che un terzo dell’umanità si starebbe risvegliando dal letargo, come scrive l’analista geopolitico Fausto Carotenuto? L’Italia è il paese in cui ha il coraggio di ripresentarsi alle elezioni Beatrice Lorenzin, addirittura alla guida di una coalizione centrista, non paga di aver appena mandato nel panico milioni di famiglie, insieme alle scuole e alle Asl, con la valanga di vaccinazioni imposte senza l’ombra di un’emergenza sanitaria in atto. Tutti i sondaggi in vista delle politiche 2018 danno i 5 Stelle come primo partito, verso il 30%, ma il centrodestra in lievissimo vantaggio, sommando i voti dell’intramontabile Berlusconi a quelli (in calo) della Lega di Salvini, fatalmente annacquatasi nell’alleanza col Cavaliere, fattosi conciliante con Bruxelles. Dopo la grana Boschi-Etruria, lo stesso Renzi appare in discesa libera, addirittura al 22,8% secondo Ixè, anche per colpa dell’altra fenomenale novità del prossimo 4 marzo, il cartello “Liberi e Uguali” capitanato da due new entry della politica italiana come D’Alema e Bersani, alle spalle degli entusiasmanti Grasso & Boldrini. E’ tutto qui il presunto risveglio degli italiani? Nient’altro, in vista, per gli elettori stufi di farsi prendere in giro da politici che in realtà si limitano da decenni a obbedire a diktat stranieri, soprattutto finanziari?
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Grimaldi: golpe Cia in corso in Iran, via rivoluzione colorata
«Si è scatenato quello che promette essere un rinnovato tentativo USraeliano, con il conforto saudita e il beneplacito dell’Ue, al cambio violento di regime in Iran, stavolta mettendoci tutto l’impegno dei due terroristi di Stato della cosiddetta “comunità internazionale (leggi Nato), Trump (con lo Stato Profondo Usa) e Netanyahu (sostenuto dalla lobby) e arrivando fino all’aggressione armata, con conseguenze apocalittiche non solo per il Medioriente». Fulvio Grimaldi, per lunghi anni giornalista Rai e autore del documentario “Target Iran”, che racconta la nuova realtà dell’ex Persia affrancatasi dall’Occidente, teme che la guerriglia scatenatasi a Teheran sia l’antipasto dell’ennesima, sanguinosa “rivoluzione colorata” per rovesciare il governo iraniano, che insieme a quello russo si è opposto con successo, in Siria, alla guerra contro Assad organizzata dalla Cia utilizzando i miliziani dell’Isis. «L’anticipazione di questa strategia, lubrificata dallo tsunami di falsità e diffamazioni di cui si incaricano i media mainstream, con particolare efficacia quelli di “sinistra” e la loro clientela di utili idioti e amici del giaguaro imperialista – scrive Grimaldi – la si è avuta nel 2009, al tempo delle elezioni che hanno rinnovato il mandato al migliore, più laico, antimperialista (si ricordi la sua amicizia con Hugo Chavez) e socialmente sensibile presidente iraniano, Mahmud Ahamdinejad».All’epoca, scrive Grimaldi sul suo blog, venne scatenata la sedicente “rivoluzione verde”, dove «settori della borghesia ricca, nostalgica della sanguinaria dittatura del fantoccio occidentale Reza Pahlevi e famelica di neoliberismo per poter sottrarre beni e diritti ai ceti popolari valorizzati da Ahmadinejad, vennero mandati, da agenti infiltrati del terrorismo internazionale, allo scontro con lo Stato». Il pretesto era il solito: «Brogli nella vittoria di Ahamedinejad, riscatto delle donne oppresse da burka e bigottismo patriarcale». Allora, continua Grimaldi, si trattava di ridurre la crescente influenza di Teheran sul cosiddetto “arco scita”, «espressione depistante utilizzata per descrivere governi e popolazioni resistenti all’imperialismo Usa e israeliano, neutralizzare il suo ruolo di prezioso fornitore di gas e petrolio a paesi su cui l’Occidente intende esercitare il dominio energetico, bloccare il modello di emancipazione sociale messo in atto da Ahmadinejad e l’impetuoso sviluppo industriale del paese». Al centro della “sceneggiata” era la presunta volontà di Teheran di dotarsi di armamento atomico, quando la stessa Aiaea, l’agenzia Onu per l’energia atomica, insisteva a dimostrare che lo sviluppo nucleare dell’Iran era dedicato esclusivamente a uso civile, sanitario ed energetico.Con l’avvento del “moderato” Hassan Rouhani, reso possibile dal fatto che il “conservatore” Ahmadinejad non poteva presentarsi per un terzo mandato e che il suo schieramento aveva fronteggiato le elezioni diviso (“moderato” e “conservatore” sono i termini «che i media ci infliggono per designare chi è gradito e chi sgradito all’Occidente»), avviene secondo Grimaldi «l’indecorosa resa, la rivincita dei “quartieri alti” di Teheran, un’offensiva privatizzatrice e, pietra angolare dell’indipendenza o meno del paese, l’accordo sul nucleare con gli Usa che ha privato l’Iran quasi interamente del suo potenziale di nucleare civile». Il che avrebbe dovuto portare alla normalizzazione dei rapporti con Usa e Occidente, alla fine di sanzioni tra le più feroci e genocide mai inflitte, alla pacificazione della regione. Invece, «è sotto gli occhi di tutti a cosa ha portato l’arrendevolezza di Rouhani». Il progetto di “regime change” mancato da Obama, Hillary Clinton e Netanyahu è fallito clamorosamente, ma i nemici dell’Iran non hanno mai mollato la presa, tra fake news e attentati terroristici contro scienziati iraniani e contro la stessa popolazione civile, «affidati a una setta di fuorusciti riparata a Parigi e a Washington e da lì foraggiata e armata: i Mek, Mujahedin del Popolo».A far saltare i nervi al blocco occidentale, aggiunge Grimaldi, è stato il sostegno dato dall’Iran «alla resistenza irachena e iraniana contro Usa, Israele, Nato e loro mercenariato jihadista», nonché «l’impetuosa crescita del suo prestigio e della sua influenza nella regione». E così «siamo ai pogrom di oggi, che annunciano una nuova “rivoluzione verde” che in Occidente si spera risolutrice». Ma che non lo sarà, sostiene sempre Grimaldi, «alla luce dell’unità del popolo iraniano, della sua coscienza politica, del suo patriottismo». Dal giorno in cui la rivoluzione khomeinista ha posto fine alle ingerenze colonialiste e poi imperialiste (si ricordi il colpo di Stato angloamericano contro il premier Mossadeq nel 1952 e la restaurazione imperiale sotto lo Shah), «l’Occidente non ha mai cessato di fornire all’opinione pubblica un quadro grottescamente distorto dell’Iran e dei suoi 80 milioni di abitanti». Oggi, prosegue Grimaldi, «si riparte con la totale falsità di una dittatura, una società oppressa dal clero, una catastrofe economico-sociale, una matrice di terrorismo e instabilità in tutta la regione». Tutto “merito” degli Stati Uniti: «La potenza che s’inventa interferenze russe nelle proprie elezioni, ma che non ha trascurato di intervenire, con tangenti, ricatti, manipolazione di settori sociali, tsunami mediatici e colpi di Stato, in praticamente ogni processo elettorale e genericamente politico dove fosse in gioco il dominio Usa, rinnova l’operazione fallita del 2009: obiettivo, ancora una volta il “regime change” e, in mancanza, l’aggressione, o diretta, o affidata a surrogati».Secondo Grimaldi, le politiche neoliberiste di Rouhani «hanno annullato in parte il progresso delle classi popolari realizzato da Ahmadinejad». Soprattutto, le sanzioni che l’accordo nucleare avrebbe dovuto far sospendere (ma che Trump ha rafforzato) hanno peggiorato le condizioni di vita di vaste masse: aumento dei prezzi di carburanti ed energia, annullamento dei sussidi alimentari, inflazione, crisi del bazar, disoccupazione. «Ed è successo quanto s’è visto e documentato a Kiev, Bengasi in Libia, Deraa in Siria, Caracas». Un copione: «Parte una pacifica rivendicazione di piazza in varie città iraniane, nel giro di ore, secondo un programma dettagliato pubblicato in rete, in varie città spuntano gruppetti di non più di 50 soggetti che, alle richieste di aumenti salariali e altri interventi economici, sovrappongono slogan anti-sistema, contro il governo e, con particolare virulenza contro il “dittatore” Khamenei, che è dittatore quanto lo è il capo di Stato di qualsiasi paese europeo». Se “morte al dittatore” e “morte a Khamenei” ci riportano dritti agli auspici indirizzati a Maduro, Gheddafi o Assad, «l’inconfutabile marchio israeliano risuona nelle imprecazioni contro il ruolo regionale dell’Iran e contro l’impegno per la Palestina, Gaza e il Libano: “Giù le mani dal Medioriente”, “No Gaza”, “No Libano”».Non passano che poche ore e, immancabili, partono colpi di arma da fuoco, non si capisce bene da quale parte (per i media occidentali inconfutabilmente dalla polizia) e cadono le prime vittime. Poi, a tempo scaduto, «escono fuori prove, video, testimonianze e confessioni che attestano la presenza di infiltrati impegnati a sparare sulla folla: su questo aspetto, tuttavia, i mass media appaiono distratti». Intanto, aggiunge Grimaldi, «hanno lucidato le proprie trombe tutti gli squalificatissimi arnesi della cosiddetta “società civile” e dei “diritti umani”, gli scontati travestimenti dell’intelligence imperialista, da Amnesty International a Hrw e alla National Endowment for Democracy, con pesce pilota, da noi, il “Manifesto”, zelantissimo su tutte le campagne delle false sinistre e vere destre internazionali: russofobia, “dittatori”, migranti e Ong sorosiane, molestie, gender, “populisti”, “sovranisti”, “minaccia fascista” incombente (che, per carità, non riguarda mica censura, militarizzazione, securitarismo, bellicismo, colonialismo, guerra ai poveri su entrambi i lati dell’Atlantico)».Una di queste entità, «la Foundation for Defense of Democracies, del talmudista Mark Dubowitz», ha sintetizzato il programma di distruzione dell’Iran, nel plauso del direttore della Cia, Mike Pompeo e del segretario di Stato Tillerson, nei termini di un appello a Trump di lanciare «l’offensiva finale contro il regime di Teheran, indebolendone le finanze attraverso più massicce sanzioni economiche e minandone la direzione attraverso la mobilitazione delle forze pro-democrazia». E il Congresso «ha votato cospicui finanziamenti ai terroristi del Mek, la cui presidente, Maryam Rajavi, non ha perso l’occasione peri incitare “l’eroico popolo dell’Iran” all’assassinio del dittatore Khamenei e alla liberazione dei prigionieri politici». Presto, conclude Grimaldi, emergerà anche una nuova eroina-simbolo della “rivoluzione democratica”, sul modello di Neda Soltan. Ricordate la giovane manifestante di Teheran “uccisa” dagli agenti del regime «di cui, poi, un video dimostrava la finta morte allestita con finto sangue dai suoi compari e un giornale tedesco, la “Sueddeutsche Zeitung”, la “resurrezione” in Germania». Nulla di nuovo sotto il sole: «Solo che questa volta temo che, constatati i propri rovesci in Medio Oriente, grazie anche all’Iran, i veri Stati canaglia vogliano andare fino in fondo. E qui, amici, la controinformazione è vitale».«Si è scatenato quello che promette essere un rinnovato tentativo USraeliano, con il conforto saudita e il beneplacito dell’Ue, al cambio violento di regime in Iran, stavolta mettendoci tutto l’impegno dei due terroristi di Stato della cosiddetta “comunità internazionale (leggi Nato), Trump (con lo Stato Profondo Usa) e Netanyahu (sostenuto dalla lobby) e arrivando fino all’aggressione armata, con conseguenze apocalittiche non solo per il Medioriente». Fulvio Grimaldi, per lunghi anni giornalista Rai e autore del documentario “Target Iran”, che racconta la nuova realtà dell’ex Persia affrancatasi dall’Occidente, teme che la guerriglia scatenatasi a Teheran sia l’antipasto dell’ennesima, sanguinosa “rivoluzione colorata” per rovesciare il governo iraniano, che insieme a quello russo si è opposto con successo, in Siria, alla guerra contro Assad organizzata dalla Cia utilizzando i miliziani dell’Isis. «L’anticipazione di questa strategia, lubrificata dallo tsunami di falsità e diffamazioni di cui si incaricano i media mainstream, con particolare efficacia quelli di “sinistra” e la loro clientela di utili idioti e amici del giaguaro imperialista – scrive Grimaldi – la si è avuta nel 2009, al tempo delle elezioni che hanno rinnovato il mandato al migliore, più laico, antimperialista (si ricordi la sua amicizia con Hugo Chavez) e socialmente sensibile presidente iraniano, Mahmud Ahamdinejad».
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Microchip sottopelle per pagare il treno, se viaggi in Svezia
Niente più biglietti o sms, per viaggiare sui treni svedesi basta un microchip sottopelle. La compagnia ferroviaria di Stato svedese “Sj” ha cominciato ad accettare biglietti caricati su microchip impiantati nella mano dei viaggiatori, annuncia il “Corriere della Sera”. Basta solo essere iscritti al programma di fedeltà e avere già il microchip impiantato nel proprio corpo. «In Svezia sono circa già 3.000 le persone dotate del microchip (che usa la tecnologia Nfc Near Field Communication, quella delle carte di credito) e passate quindi allo stadio di cyborg, cioè organismi cibernetici composti da corpo naturale e uno o più elementi artificiali». Niente di così diverso, in teoria, dai pazienti cardiaci che da decenni vivono con un pacemaker o un defibrillatore impiantato nel torace e collegato al cuore, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere”. «Quelle però sono tecnologie avanzate e costose destinate a salvare la vita del malato, mentre nel caso svedese si tratta di un piccolo congegno grande quanto un chicco di riso, del costo di circa 150 euro, che serve per rendere più facili alcune operazioni della vita quotidiana». I passeggeri svedesi lo utilizzano per viaggiare: possono comprare il biglietto sul web o sull’applicazione “Sj” e, una volta connessi con il loro numero di “programma fedeltà”, il titolo di trasporto viene caricato sul microchip.Sui treni svedesi, il controllore avvicina il lettore alla mano del passeggero e appaiono tutti i dati del biglietto. «Qualcuno ha sollevato dubbi sulla privacy – dice un portavoce della compagnia – ed è una questione che prendiamo molto sul serio. Ma se davvero la paura è di essere tracciati, allora sono più preoccupanti smartphone e carte di credito». Dopo gli orologi connessi che monitorano il sonno e il battito cardiaco o il riconoscimento facciale usato per fare acquisti o il check-in agli aereoporti (lo usa la Finnair), i microchip simili a quelli usati da anni sugli animali «vengono impiantati nell’uomo per aprire e chiudere le porte degli uffici senza bisogno di digitare un codice, accendere e spegnere le luci, pagare il caffé alla macchinetta e adesso, appunto, mostrare il biglietto al controllore delle ferrovie di Stato svedesi», aggiunge Montefiori. I circa 3.000 microchip già in uso in Svezia, spiega il giornalista, hanno cominciato a essere impiantati tra il pollice e l’indice della mano all’inizio del 2015 dalla start-up Epicenter, a Stoccolma, che propone ai dipendenti di usarli per entrare nell’azienda, fare funzionare le stampanti o comprare una bottiglietta d’acqua ai distributori automatici. «Impiantare qualcosa di elettronico nel corpo è stato un passo importante anche per me – dice Patrick Mesterton, capo di Epicenter – ma poi diventa naturale e molto comodo».Altre aziende, in Belgio e negli Usa, hanno seguito l’esempio svedese. In Australia, scrive ancora il “Corriere”, centinaia di persone hanno già fatto ricorso al servizio “Chip My Life”, fondato da Shanti Korporaal. «Ma è la prima volta che il microchip viene usato in un’azienda rivolta al grande pubblico come le ferrovie svedesi». La tendenza di incorporare la tecnologia nell’uomo fa immaginare a Elon Musk (Tesla, Space X, Neuralink) un futuro prossimo in cui i nostri cervelli saranno collegati a Internet: «Le persone non capiscono che già adesso sono dei cyborg. Se ti dimentichi il cellulare ti senti come se ti mancasse un braccio. Ci stiamo già fondendo con i telefonini e la tecnologia». Tra i non entusiasti si segnala Massimo Mazzucco, inorridito dall’ennesima inquietante innovazione tecnologica di massa introdotta dal paese scandinavo: «Più passa il tempo, più mi convinco che la Svezia sia stata scelta come laboratorio umano per far passare le successive “rivoluzioni” del nuovo ordine mondiale», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”.«Prima c’è stata la rivoluzione cash-free, nella quale un popolo di beoti ha accettato con entusiasmo l’idea di abolire progressivamente il contante, fino ad arrivare ad una moneta esclusivamente elettronica, mettendosi interamente nelle mani di un qualunque banchiere, che può decidere da un giorno all’altro di azzerare tutto quello che hanno». In seguito, continua Mazzucco, «gli svedesi si sono vantati di essere i primi ad aver sperimentato il microchip sottopelle per pagare il biglietto del treno». Fa impressione guardare con quale orgoglio i “testimonial” dei video promozionali raccontano di aver fatto parte di questo esperimento. «Naturalmente, una volta impiantato, quel microchip tornerà utile per metterci mille altre cose: il problema principale era quello di farlo accettare, e a quanto pare i “controllori del treno” ci sono riusciti in pieno».Infine, gli svedesi «stanno studiando una “rivoluzione” nel campo sessuale», eliminando la spontainetà nei rapporti. E’ infatti in preparazione una legge secondo la quale «gli adulti svedesi potrebbero essere condannati per violenza sessuale a meno di ricevere un segnale verbale o non verbale di consenso dal loro partner, durante ogni passaggio dell’incontro sessuale». In altre parole, scrive Mazzucco, uno svedese dovrebbe chiedere alla sua ragazza “ti posso baciare?” prima di baciarla, “ti posso toccare?” prima di toccarla, “ti posso penetrare?” prima di penetrarla. «Altrimenti rischia di finire in prigione. E a quanto pare sono tutti convinti che questo sia “il progresso”». Conclude Mazzucco: «Poveri svedesi, una volta erano considerati all’avanguardia per quel che riguarda la società civile e il diritto individuale, ora stanno passando all’avanguardia per quel che riguarda il processo di rincoglionimento globale».Niente più biglietti o sms, per viaggiare sui treni svedesi basta un microchip sottopelle. La compagnia ferroviaria di Stato svedese “Sj” ha cominciato ad accettare biglietti caricati su microchip impiantati nella mano dei viaggiatori, annuncia il “Corriere della Sera”. Basta solo essere iscritti al programma di fedeltà e avere già il microchip impiantato nel proprio corpo. «In Svezia sono circa già 3.000 le persone dotate del microchip (che usa la tecnologia Nfc Near Field Communication, quella delle carte di credito) e passate quindi allo stadio di cyborg, cioè organismi cibernetici composti da corpo naturale e uno o più elementi artificiali». Niente di così diverso, in teoria, dai pazienti cardiaci che da decenni vivono con un pacemaker o un defibrillatore impiantato nel torace e collegato al cuore, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere”. «Quelle però sono tecnologie avanzate e costose destinate a salvare la vita del malato, mentre nel caso svedese si tratta di un piccolo congegno grande quanto un chicco di riso, del costo di circa 150 euro, che serve per rendere più facili alcune operazioni della vita quotidiana». I passeggeri svedesi lo utilizzano per viaggiare: possono comprare il biglietto sul web o sull’applicazione “Sj” e, una volta connessi con il loro numero di “programma fedeltà”, il titolo di trasporto viene caricato sul microchip.
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Liberi di morire, per legge, in una sanità da Est Europa
La sanità allo sfascio non riesce più a curare gli italiani, ma in compenso li aiuterà a morire: senza per questo contestare l’introduzione della norma sul “fine vita”, fa riflettere che i suoi promotori non aprano bocca per denunciare lo stato comatoso dell’assistenza sanitaria, flagellata dai tagli imposti dal regime di austerity introdotto da Bruxelles. «Come sapete la settimana scorsa è stata approvata la legge sul Dat, cioè sul testamento biologico che dovrebbe regolare il fine vita», scrive Fabio Lugano su “Scenari Economici”. «Un bel po’ di gente a celebrare, la Bonino che piangeva, e altri marpioni ad occupare la Tv. Per me, personalmente, è stata una notizia piuttosto triste: avrei preferito mille volte veder affermata un po’ più di vita, con una cura in più, una nascita in più, che questa triste affermazione della morte». Purtroppo, aggiunge Lugano, in Italia ormai «siamo a un livello di disorientamento e di disperazione tale che l’assassino, non il salvatore, è l’eroe, così come l’ignorante è il ministro dell’istruzione o il distruttore è ministro dell’economia». Tutto è ribaltato. E, mentre i poveri sono diventati 10 milioni e mezzo – quota record nell’Unione Europea – i livelli di assistenza stanno scivolando verso quelli dell’Est Europa.Come rileva “La Verità”, riservano brutte sorprese i dati più recenti sulla spesa pubblica sanitaria italiana comparata con la media dei paesi occidentali. A furia di essere “efficienti” e “austeri”, sintetizza Lugano, «stiamo abbandonando i paesi avanzati per avvicinarci alla spesa pubblica dei paesi dell’Est Europa, parte del vecchio blocco sovietico, sia come spesa in generale sia come spesa a carico dello Stato». Ormai, insiste “Scenari Economici”, stiamo lasciando il welfare State occidentale per muoverci verso quello dei paesi dove la garanzia è inferiore. «Ricordo che ho avuto discussioni durissime con un governatore regionale italiano mostrandogli, dati alla mano, quanto ad esempio i posti letto ospedalieri per 100 mila abitanti in Italia fossero ormai molto inferiori a quelli tedeschi e francesi». Ma non è stato utile, ammette Lugano: non ci sono piani (né soldi) per sperare di poter invertire la rotta. Da quell’orecchio, la politica non ci sente: sa che “non può” spendere, e non si ribella alla dottrina del rigore imposta dall’ordoliberismo finto-europeista.In più, a pesare sono anche i forti disequilibri lungo la penisola: «L’Italia ha la non invidiabile caratteristica di presentare un’incredibile differenza di spesa sanitaria pro capite da regione a eegione: in Trentino la spesa sanitaria pro capite è pari a 805 euro a persona, mentre in Campania è pari a 326 euro, per cui non appare così strano che i pronto soccorso esplodano e la gente sia curata per terra». Sarebbe interessante conoscere il parere del governatore Vincenzo De Luca su questi dati, «ma non vorremmo disturbarlo solo per la salute dei suoi concittadini», conclude Lugano, sarcastico. Parlano i numeri, purtroppo: «La spesa pubblica in sanità nel 2017 è stata pari al 6,7% del totale, ma scenderà ancora al 6,4% da qui al 2020. Quindi, che senso ha parlare di vita, di cure, quando si può scegliere di morire?».La sanità allo sfascio non riesce più a curare gli italiani, ma in compenso li aiuterà a morire: senza per questo contestare l’introduzione della norma sul “fine vita”, fa riflettere che i suoi promotori non aprano bocca per denunciare lo stato comatoso dell’assistenza sanitaria, flagellata dai tagli imposti dal regime di austerity introdotto da Bruxelles. «Come sapete la settimana scorsa è stata approvata la legge sul Dat, cioè sul testamento biologico che dovrebbe regolare il fine vita», scrive Fabio Lugano su “Scenari Economici”. «Un bel po’ di gente a celebrare, la Bonino che piangeva, e altri marpioni ad occupare la Tv. Per me, personalmente, è stata una notizia piuttosto triste: avrei preferito mille volte veder affermata un po’ più di vita, con una cura in più, una nascita in più, che questa triste affermazione della morte». Purtroppo, aggiunge Lugano, in Italia ormai «siamo a un livello di disorientamento e di disperazione tale che l’assassino, non il salvatore, è l’eroe, così come l’ignorante è il ministro dell’istruzione o il distruttore è ministro dell’economia». Tutto è ribaltato. E, mentre i poveri sono diventati 10 milioni e mezzo – quota record nell’Unione Europea – i livelli di assistenza stanno scivolando verso quelli dell’Est Europa.
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Zizek: solo i miliardari progressisti salveranno l’umanità?
Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?Perché sappiamo che le parole contano nei dibattiti pubblici: e anche se ciò di cui parla Gates non è “vero socialismo”, parla dei limiti fatali del capitalismo – e, ancora una volta, possiamo chiedere: gli autoproclamatisi socialisti attuali hanno una visione seria di cosa il socialismo debba essere oggi? Il paradosso della nostra situazione è quindi che, mentre la resistenza contro il capitalismo globale sembra non riuscire ad indebolirne l’avanzata, i suoi oppositori sembrano non essersi accorti dei vari trend che segnalano chiaramente la progressiva disintegrazione del capitalismo. Ed è come se le due tendenze (resistenza ed auto-disintegrazione) si muovessero a ritmi diversi e non riuscissero a incontrarsi: abbiamo dunque inutili proteste in parallelo a voci di imminente decadenza, ma sembra che non ci sia modo di riunire le due in un atto coordinato (come il superamento del capitalismo). Miliardari buoni? Come si è arrivati a questo? Mentre la sinistra (o perlomeno la maggior parte) cerca disperatamente di proteggere i diritti dei vecchi lavoratori contro l’assalto del capitalismo globale, è quasi esclusivamente il capitalismo più “progressista” (da Elon Musk a Mark Zuckerberg) che parla del post-capitalismo – come se il vero argomento del passaggio dal capitalismo, come lo conosciamo, ad un nuovo ordine post-capitalista sia stato appropriato dal capitalismo stesso.Di conseguenza, sta emergendo un nuovo gruppo di “intellettuali organici”, che esemplificano la privatizzazione dei nostri beni comuni. La figura di Elon Musk è emblematica, e appartiene alla stessa classe di Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg ed altri: tutti miliardari “socialmente consapevoli”. Rappresentano il capitale globale nella sua forma più seducente e “progressista”: in breve, nella sua forma più pericolosa. Ma allora questi ultra-ricchi possono salvarci? Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk non sarebbe Sloterdijk se non avesse tratto questa provocatoria conclusione: prima si pensava che solo i poveri (uniti) avrebbero potuto salvare il mondo, il ventesimo secolo ha invece mostrato le conseguenze catastrofiche di questo atteggiamento e la violenza distruttiva generata da un risentimento universalizzato. Ora, nel ventunesimo secolo, dovremmo finalmente avere il coraggio di accettare il fatto che solo i ricchi possono salvare il mondo, e possiamo dire che individui eccezionalmente creativi, che donano con generosità, come Gates e Soros, hanno fatto per le lotte per la libertà politica e contro le malattie più di quanto non abbia fatto qualsiasi intervento statale.La diagnosi di Sloterdijk non deve essere confusa con la solita protesta liberal-conservatrice contro il cosiddetto “risentimento di sinistra”. Perché l’idea centrale che sostiene questo sproloquio è che ne abbiamo avuto abbastanza della “tirannia del welfare” che abbonda nel nostro “dispotismo democratico”; come nel medioevo, l’orgoglio personale è oggi il più grande peccato, ed il nostro diritto fondamentale è sempre più semplicemente il “diritto alla dipendenza”. Approccio alternativo: «Il welfare oggi è una droga dalla quale dipendono sempre più persone. Una buona idea umana diventata una sorta di oppio dei popoli», ha detto Norbert Bolz, un altro pensatore tedesco. Quel che rende Sloterdijk diverso però è che intende la propria proposta come strategia per assicurare la sopravvivenza della più grande conquista economico-politica dell’Europa moderna, il social-democratico welfare State.Secondo Sloterdijk, la nostra realtà – perlmeno in Europa – è la democrazia sociale “oggettiva”, in contrapposizione alla democrazia sociale “soggettiva”. E per tenerla in vita, dovremmo creare una “nuova semantica”, un nuovo spazio di idee egemoniche in cui la cultura dell’orgoglio ed il riconoscimento dei vincenti (non solo in senso economico ma anche morale) avranno il proprio posto. Ma può funzionare? Io non la penso così. Torniamo a Bill Gates: individua correttamente la causa ultima dei nostri problemi (ecologici) nel capitalismo, e poi, invece di proporre cambiamenti al sistema stesso, fa appello al senso comune dei singoli capitalisti. Non sarebbe molto più appropriato cercare di creare un sistema non capitalista, che però premi anche i vincenti? Questi due desideri sono veramente inconciliabili?(Slavoj Zizek, “Solo i miliardari progressisti possono salvare l’umanità?”, da “Rt” dell’8 dicembre 2017; analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, con traduzione di Hmg).Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?
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Magaldi: la truffa delle elezioni 2018, solito inciucio in arrivo
Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Ma sapendo che il risultato, già scritto, si chiama inciucio. Con un risvolto ovviamente orrendo, per l’Italia. E cioè: ancora e sempre, sottomissione all’altrui potere. «Sono venticinque anni che il nostro paese non ha più un governo autorevole, e ci sono tutte le condizioni perché questa infelice tradizione prosegua, anche dopo le prossime politiche», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Quella che ci aspetta – dice, ai microfoni di “Colors Radio” – è solo l’ennesima truffa: precisamente, la truffa delle elezioni 2018, in cui i voti degli italiani serviranno solo a sorreggere l’ennesimo accordo basato sulle solite larghe intese, che naturalmente tutti fingono di voler evitare». Il Pd almeno porta a casa la legge sul biotestamento, «una delle pochissime buone cose fatte, insieme alle unioni civili». Renzi mostra di voler tirar dritto, ma sa già che dovrà vedersela con l’uomo di Arcore: «Fateci caso: appena Berlusconi ha rimesso fuori il naso, con il risultato delle regionali in Sicilia, si è immediatamente risvegliata una certa magistratura a orologeria. Sicché il Cavaliere si è visto costretto a elogiare la Merkel, aprendo addirittura alla possibilità di un Gentiloni-bis. Come dire: lasciatemi in pace, farò il bravo. Mi guarderò bene dal disturbare il vero potere che condiziona la penisola».Sondaggi alla mano, Renzi e Forza Italia saranno costretti a convivere, nonostante i mal di pancia di Salvini, che comunque ha prontamente ammaninato la bandiera anti-euro. «Le cosiddette destre estreme europee, come quella austriaca? Sono perfette per perpetuare in eterno il potere dell’oligarchia neo-aristocratica», osserva Magaldi. Lampante il caso francese di Marine Le Pen: «Il Front National è l’avversario che chiunque vorrebbe avere», specie se l’antagonista si chiama Emmanuel Macron. Lo strano feeling tra Palazzo Chigi e l’Eliseo? Assurdo: «In che cosa Macron potrebbe rappresentare una novità, rispetto al dominio eurocratico fondato sul rigore? E’ stato ministro di Valls, nominato da Hollande. Il che è tutto dire». Senza contare gli eminenti “padrini” del presidente francese, già banchiere del gruppo Rothschild, sostenuto dal supermassone oligarchico Jacques Attali, secondo Paolo Barnard maestro” di Massimo D’Alema. Come sperare che sia Macron a rompere il muro dell’austerity a guida tedesca? Significa solo prendere per il naso gli italiani, come sembrano aver tutta l’aria di fare gli ex Pd del cartello “Liberi e Uguali”, formazione che esibisce la foglia di fico istituzionale dell’incolore Pietro Grasso.«Da quelle parti circolano slogan che mirano a marcare le distanze dal Pd, ma dietro alle parole non c’è sostanza: piuttosto – dichiara Magaldi – lo spettacolo è quello, verminoso, della corsa alle poltrone, tramite candidature in seggi sicuri». Nulla che, in ogni caso, possa anche solo lontanamente impensierire i poteri forti che stanno piegando l’Italia. E nella “truffa” delle elezioni di primavera, Magaldi inserisce anche il Movimento 5 Stelle: al di là delle vaghe esternazioni di Di Maio su eventuali possibilità di collaborazione post-voto, i grillini sono intenzionati a restare nel loro sostanziale isolamento, non più così splendido dopo la pessima prova di Roma. Di fatto: sul tappeto, non c’è nessuna opzione per cambiare lo scenario, che vede l’Italia subire i diktat di potentati europei finanziari e industriali, che utilizzano la Merkel, Draghi e lo Juncker di turno. Terminali italiani della filiera? Per esempio il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, che Magaldi considera organico ai circuiti più reazionari dell’oligarchia supermassonica delle Ur-Lodges, gli stessi in cui – sempre secondo Magaldi – militano Mario Monti, Giorgio Napolitano e Massimo D’Alema.Sono peraltro in buona compagnia, per così dire: nel saggio “Massoni”, che mette a fuoco il “back office” del vero potere, Magaldi cita personaggi come Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), Giuseppe Recchi (costruzioni) nonché il banchiere Tommaso Cucchiani, insieme ad Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe. Sempre all’ambiente neo-aristocratico delle superlogge sovranazionali, per Magaldi, sono associati l’ex ministro Domenico Siniscalco e Corrado Passera, Marta Dassù e l’attuale governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, insieme a ex ministri come Vittorio Grilli (governo Monti), Fabrizio Saccomanni (governo Letta) e Federica Guidi (governo Renzi). Loro sì, un’agenda ce l’hanno: è quella imposta all’Italia dall’Europa del rigore. Meno diritti e più tasse, meno lavoro e salari più bassi. E ancora: tagli al welfare e alle pensioni, disoccupazione e impieghi precari. «Non dico che un imprenditore non possa licenziare un dipendente, ma dev’essere la Costituzione a garantire che il lavoratore licenziato possa rapidamente trovare un altro lavoro», dice Magaldi, che ha impegnato il Movimento Roosevelt in un vasto studio per migliorare la Costituzione italiana, nello spirito (largamente inattuato) dei padri costituenti.Socialismo liberale: proprio a un gigante del pensiero progressista europeo, il leader svedese Olof Palme, Magadi e i suoi dedicheranno all’inizio del 2018 un importante convegno a Milano: un’occasione per misurare, davvero, l’abisso che ci separa dall’Europa che sarebbe potuta nascere e svilupparsi, con al timone uomini come Palme, che impiegarono appieno la sovranità dello Stato per ottenere benessere diffuso e garanzie sociali per tutti. Nino Galloni, prestigioso economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt, sostiene che una “moneta di Stato”, fiduciaria, potrebbe benissimo aggirare il Trattato di Maastricht e risollevare di colpo l’economia italiana, attraverso la creazione di milioni di posti di lavoro. Cosa manca? La volontà politica, in primis. Manca una visione organica, una classe dirigente capace e non più subalterna, al servizio di poteri esterni. Le elezioni prossime venture? Una farsa: nessuna vera scelta, sul piatto. Solo variazioni sul tema, che non cambia: vietato alzare la voce con i boss dell’Unione Europea. Le forze in lizza? Fingeranno di combattersi, per poi attovagliarsi allo stesso tavolo. «Per questo, comunque vadano – conclude Magaldi – le elezioni della primavera 2018 saranno una vera e propria truffa».Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Ma sapendo che il risultato, già scritto, si chiama inciucio. Con un risvolto ovviamente orrendo, per l’Italia. E cioè: ancora e sempre, sottomissione all’altrui potere. «Sono venticinque anni che il nostro paese non ha più un governo autorevole, e ci sono tutte le condizioni perché questa infelice tradizione prosegua, anche dopo le prossime politiche», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Quella che ci aspetta – dice, ai microfoni di “Colors Radio” – è solo l’ennesima truffa: precisamente, la truffa delle elezioni 2018, in cui i voti degli italiani serviranno solo a sorreggere l’ennesimo accordo basato sulle solite larghe intese, che naturalmente tutti fingono di voler evitare». Il Pd almeno porta a casa la legge sul biotestamento, «una delle pochissime buone cose fatte, insieme alle unioni civili». Renzi mostra di voler tirar dritto, ma sa già che dovrà vedersela con l’uomo di Arcore: «Fateci caso: appena Berlusconi ha rimesso fuori il naso, con il risultato delle regionali in Sicilia, si è immediatamente risvegliata una certa magistratura a orologeria. Sicché il Cavaliere si è visto costretto a elogiare la Merkel, aprendo addirittura alla possibilità di un Gentiloni-bis. Come dire: lasciatemi in pace, farò il bravo. Mi guarderò bene dal disturbare il vero potere che condiziona la penisola».
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Galloni: moneta sovrana e posti di lavoro, o addio Italia
Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.Non si sa fino a che punto tutto questo sia sostenibile, riassume Galloni, economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt. Il paradosso? «Quelli che stanno bene possono permettersi di pagare di tasca propria i servizi sanitari per i figli, l’assistenza agli anziani e quant’altro. I più poveri, bene o male, hanno accesso alla gratuità. Ma il grosso della classe media non ha sufficiente reddito per pagarsi i servizi essenziali, e in alcuni casi neppure per fare la spesa al supermercato o andare al cinema, al ristorante o in vacanza, per pagare le bollette, le rate del condominio. E non ha neppure accesso alla gratuità del welfare residuale». Il guaio? Ci sta crollando addosso la storia. Una storia “sbagliata”, che ha cominciato ad andare storta proprio quando l’Italia ha cessato di essere prima “un’espressione geografica”, e poi un paese popolato di contadini analfabeti. Ai fratelli maggiori d’Europa non è mai andato giù il fatto che il Belpaese potesse stupire il mondo con il suo sviluppo da record, il boom del dopoguerra fondato sull’industria. Probabilmente avremmo potuto superare la Francia, dice Galloni, se non ci fossimo fatti sfilare di mano il futuro delle telecomunicazioni, a patrire dalla geniale invenzione di Olivetti: il personal computer.Poi, aggiunge l’economista, fu essenziale il passaggio dell’89 in cui la Germania, per riunificarsi, rinunciò al marco per ottenere l’appoggio della Francia e puntare al suo vero obiettivo strategico: frenare l’Italia. «Perché un’Italia estremamente competitiva avrebbe reso proibitiva l’opera di riunificazione della Germania». Ma i “cugini” d’oltralpe, ricorda Galloni, prima ancora dei tedeschi hanno sempre lavorato contro l’Italia, contribuendo a far fuori gli italiani più decisivi, a cominciare da Enrico Mattei. Il capo dell’Eni era odiato dalle Sette Sorelle perché concedeva più soldi ai paesi petroliferi, ma a costargli la vita fu lo scontro con Parigi sul gas algerino: di fronte alla mano tesa dei francesi per accordarsi su quel business, Mattei rispose “no, grazie”. Disse: «Io tratterò solo col legittimo governo algerino, quello del popolo, che è rivoluzionario e anti-francese». E così avviene: «Gli algerini – ricorda Galloni – vincono la loro guerra di indipendenza nazionale, fanno gli accordi con l’Italia e però, poco dopo, Mattei viene ucciso. Le ultime ricostruzioni convergono sul coinvolgimento dei servizi segreti francesi».Poi è il turno di Aldo Moro, «altro uomo odiatissimo in Europa». Si era lamentato del fatto che i francesi e gli stessi “servizi” della Fiat (che come l’Eni aveva una sua “polizia segreta”, in gran parte composta da ex poliziotti e carabinieri) non comunicassero tutte le notizie riguardo alle Brigate Rosse, e che addirittura alcuni brigatisti venissero ospitati in territorio francese. Mattei e Moro, quindi Berlusconi: voleva evitare la guerra con la Libia scatenata da Sarkozy, ma è stato “convinto” dal crollo in Borsa del titolo Mediaset, precipitato del 40% in poche ore. Così ha dovuto «abbassare la testa e accettare la terza grande aggressione degli interessi nazionali dell’Italia da parte da parte dei francesi». Ci hanno sempre messo i bastoni tra le ruote, ma il peggio è che adesso l’ossigeno di sta esaurendo: «Non abbiamo più un welfare universale, abbiamo solo un welfare residuale che sta creando ulteriori lacerazioni sul territorio, anche perché spesso è destinato soprattutto agli immigrati. E quindi crea tensioni politiche e sociali che poi diventano determinanti nelle scelte dell’elettorato». Nonostante ciò, osserva Galloni, l’Italia non è ancora crollata: ha dimostrato capacità di resistenza impensabili.«In Italia ci sono 4 milioni di imprese, su quattro milioni e mezzo, che ormai sono fuori dal capitalismo perché non lavorano più per il profitto, ma per controllare risorse reali, darsi una dignità, un futuro». Aziende che «sfuggono a quelle che sono le regole dell’economia e della finanza». Anziché vendere l’azienda e vivere di rendita finanziaria, quattro milioni di imprenditori italiani – caso unico, in tutto l’Occidente – hanno tenuto duro pagando le tasse sulle perdite, senza nessun aiuto dal sistema bancario, e in più con infrastrutture oblsolete e la pubblica amministrazione che rema contro. «Però queste piccole imprese italiane hanno la caratteristica di essere competitive sui mercati internazionali, tant’è che noi siamo, con la Germania, l’unico paese che ha visto aumentare le esportazioni». Stiamo parlando di 9 miliardi di euro: «Non è tanto, però è significativo che ci sia un segno positivo. Ma ancora più significativo e positivo è che ci sia stata una riduzione di 40 miliardi di euro nell’importazione di prodotti agricoli e alimentari, dovuta ad un impressionante ritorno di tre milioni e duecentomila giovani che si sono impegnati nell’agricoltura, per fare quello che i loro padri non volevano più fare: riprendere il mestiere dei nonni». Giovani che «sono tornati a fare quello che si faceva in Italia prima del miracolo economico, che è stato soprattutto industriale».Abbiamo perso tutta la nostra grande industria privata, compreso l’80% di quella a partecipazione statale, che era un gioiello (ma quel 20% che ci rimane ancora fa molta gola a parecchi, compresi i francesi). Però, aggiunge Galloni, abbiamo mantenuto in vita l’80% della piccola industria, delle piccole imprese. «Stiamo parlando di più di 7 milioni di famiglie, che poi corrispondono grossomodo a quel 50% di elettorato che non va più a votare: è gente che non si farà abbindolare da nessuno di quelli che si presentano alle elezioni». La Francia non sta molto meglio: il suo grande problema, sociale, è quello che divide i francesi dagli immigrati, cittadini di serie B. «Da noi è esclusivamente un problema di censo, mentre da loro è un problema di nazionalità: e questo fa sì che lo studente che si è preso una laurea e che vive nella banlieue parigina non potrà mai accettare questo sistema francese». Ora, i grandi potentati finanziari – che finora si erano orientati verso i grandi immobili, i grandi alberghi – adesso stanno puntando all’agricoltura, ai terreni. E con la scusa delle crisi del sistema bancario italiano «cercheranno di entrare con grandi capitali per comprare i mutui al 10-20% del loro valore nominale, per poi rivendere gli appartamenti al 20-30% del mutuo residuo stesso. È un’operazione semplicissima, però potrebbe essere estremamente drammatica».Però poi è difficile che queste ciambelle riescano col buco, aggiunge Galloni, «perché l’Italia ha le energie per reagire e rimettersi in pista». Grande incognita, ovviamente, l’Unione Europea: avremo ancora il “quantitative easing” della Bce o prevarrà un ritorno alle posizioni più rigide, con la riapertura dell’incubo spread, che è un grande ricatto nei confronti del paese? Si insisterà sul Fiscal Compact, «che ovviamente ci metterebbe in ginocchio», oppure i “falchi” perderanno e ci sarà un recupero di fiducia fra i vari paesi? «I grandi potentati finanziari e le grandi multinazionali sono, per loro stessa natura, predatori: non guardano in faccia a nessuno. E dove vedono delle prede di più facile cattura (come siamo noi italiani, perché non abbiamo un governo, una guida, non abbiamo una pubblica amministrazione che funziona, non abbiamo un sistema bancario adeguato alle condizioni e non abbiamo – salvo alcune eccezioni – un sistema infrastrutturale adeguato) è chiaro che loro se ne approfitteranno». Nel 2018 saranno quotate in Borsa le Ferrovie dello Stato? Pessima idea: «Dopo, invece d’inseguire il miglioramento del servizio, dovranno inseguire l’aumento dei saggi d’interesse, altrimenti il titolo perderebbe valore».Lo sappiamo: è in atto una sorta di deindustrializzazione dell’Italia, a vantaggio di élite europee ed extra-nazionali a svantaggio della nostra popolazione. Come possiamo tenerci le industrie? «Dei modi ci sarebbero», risponde Galloni, «ma fanno perno sul ripristino della sovranità nazionale», che non è per forza la chiusura delle frontiere. La sovranità “saggia”, e ormai indispensabile, poggia sulla consapevolezza che quest’Europa dell’euro non sta funzionando: potrebbe implodere. Il Piano-B? «Affiancare alla moneta internazionale – che è straniera – una moneta nazionale». E gli altri paesi dovrebbero fare lo stesso. «Una moneta nazionale non è proibita dai trattati europei, perché avrebbe solo circolazione interna, ma sicuramente servirebbe per fare quegli investimenti e quelle assunzioni – dove servono – per ridare respiro al paese e ripristinare quel concetto di “welfare universale” che ci salva dalla guerra civile». Dopo il 1970, quando cioè l’umanità ha raggiunto livelli record di capacità produttiva, «la crisi ha iniziato a significare che la gente non ha abbastanza reddito». E perché il denaro non circola, beché ormai svincolato dal valore dell’oro? Presto detto: «Non esercitando più la propria sovranità monetaria, lo Stato si trova nella stessa situazione di un qualunque disgraziato che debba chiedere un prestito, se vuole fare investimenti. E non ne può fare di più grandi rispetto a quello che incamera con le tasse».Ma quello delle tasse è un falso problema, spiega Galloni: se si tagliano le tasse ma anche la spesa pubblica, la gente avrà più soldi ma li spenderà tutti per pagare i servizi che prima erano gratuiti. A quel punto la classe media si impoverisce, faccendo crollare i consumi: addio quindi a qualsiasi possibile ripresa. «I consumi aumentano se aumentano i salari, ma oggi non ci sono le condizioni: purtroppo ce le siamo bruciate per tutta una serie di scelte furiosamente sbagliate in tutti i campi, cioè tutte le politiche che hanno portato la flessibilizzazione del lavoro in precarizzazione». Questo ovviamente ha impoverito tutti, «tranne le multinazionali che venivano qui a depredare». Ma l’impresa normale «non ha un vantaggio se i lavoratori sono sottopagati, perché allora chi compra i suoi prodotti?». Si potrebbe rispondere: ci pensano le esportazioni. «Ma per essere competitivi con le esportazioni – cioè con paesi dove i salari sono ancora più bassi dei nostri – devi ridurre i salari. Quindi è sempre un cane che si morde la coda, perché per essere competitivo devi ridurre la domanda interna, ovvero l’economia interna. Che è esattamente il modello europeo. Per questo non funziona, il modello europeo. Se non si supera questo modello deflattivo, il salario sull’occupazione, non ne esce vivo nessuno. Questo lo devono capire i francesi, i tedeschi o gli olandesi e tutti quanti».Che può fare l’Italia, da subito? Lo Stato può emettere una sua moneta, in qualsiasi momento. Il Trattato di Maastricht (articolo 128a) dice che non possiamo stampare banconote. Che problema c’è? Basta stampare “Statonote”, a circolazione nazionale, da usare per assumere e per fare investimenti, «perché poi chi le accettasse le utilizzerebbe per pagare le tasse». In questo modo, si aggirerebbe anche la tagliola del pareggio di bilancio in Costituzione (regalo di Monti), «perché se abbiamo spese superiori alle tasse, basterà aggiungere questa moneta sovrana, la quale – non essendo a debito – avrà lo stesso segno algebrico delle tasse, e cioè il segno più. Quindi: tasse più moneta sovrana, uguale spesa. E abbiamo anche il pareggio di bilancio senza tanti drammi». E possiamo persino coniare degli euro. Le monete vengono stabilite dalla Bce in base a dei plafond nazionali, «quindi non possiamo coniare monete della stessa pezzatura di quelle che abbiamo in tasca. Ma possiamo farlo con altre pezzature. Già la Finlandia lo fa con monete da 2,50 euro, e la Germania ha emesso monete da 5 euro. Anche in Italia sono state emesse monete da 10 euro».In Europa, fino al 1979 la filosofia dominante era che chi fosse stato più forte doveva fare delle rinunce per aiutare gli altri. Funzionava fino a un certo punto, «perché comunque i francesi e tedeschi facevano i marpioni, i furboni, e noi italiani – come al solito – invece aiutavamo gli spagnoli, i greci e i portoghesi a entrare». Dopo il 1979, con il G7 di Tokyo, si rompe il patto di solidarietà e l’Europa ne risente, «per cui il progetto europeo diventa un altro», continua Galloni. «E allora avvengono tutta una serie di scelte che poi porteranno all’euro». A quel punto l’abbrivio è stato molto negativo, ma si voleva fare una politica “di convergenza” che costringesse gli Stati ad avere gli stessi parametri finanziari, anche se avevano situazioni diverse a livello di economia reale. E poi magari si dava un contentino con i fondi la coesione, che furono utili soprattutto per i paesi come la Polonia, che entravano nell’Unione Europea in condizioni molto difficili. «Però alla fine ci siamo trovati con un’Europa dove l’obiettivo è la massimizzazione delle esportazioni, anche a basso valore aggiunto, che si realizzano riducendo salari e occupazione. Quindi è una politica deflattiva dove l’euro funge da moneta straniera, artificiosamente scarsa, che per averla devi pagare». Una vita d’uscita? «La moneta parallela statale, che non è a debito». Non è l’unica soluzione, ma è un passaggio fondamentale: «Dobbiamo rompere l’artificiosità della scarsità, perché sennò non ne usciamo».Ad esempio, per fare il reddito di cittadinanza «dobbiamo togliere a una parte della classe media delle risorse per darle a quelli che non hanno reddito». Errore: il vero reddito di cittadinanza, dice Galloni, deve consistere nella creazione di 7-8 milioni di posizioni lavorative «per mandare a regime tutte le esigenze della società italiana in termini di ambiente, di assetto idrogeologico del territorio, di cura delle persone (soprattutto gli anziani, ma anche i bambini) e di recupero del patrimonio artistico, archeologico e comunque esistente: manutenzioni, strade e ferrovie». Quindi, «se davvero vogliamo essere un paese moderno, è chiaro che abbiamo bisogno di 7-8 milioni di addetti». Ma non ne abbiamo, «quindi non c’è bisogno di fare il reddito di cittadinanza». C’è bisogno, invece di lavoro: che si può creare rapidamente, con moneta sovrana. «Dobbiamo rompere la condizione di scarsità artificiosa, che è voluta per asservire la gente e rendere la democrazia un costo. Invece, la democrazia dev’essere un modo che noi scegliamo per vivere, come scritto nella nostra Costituzione. Se invece diciamo che la democrazia non ce la possiamo permettere – perché non abbiamo i soldi per gestirla – è chiaro che non c’è soluzione».Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.
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Giannuli: l’Italia è morta, in campo solo mediocri e cialtroni
Cosa sta succedendo sul palcoscenico della politica italiana? Niente. Per carità, non manca il trambusto e anzi ce n’è troppo: frenetici cambi di casacca, nuovi-vecchi partiti che si riciclano, promesse elettorali a spam, colpi di scena e frettolosi abbandoni della barca che affonda, ma nulla che abbia un senso o qualche valore politico. Come in teatro, nell’intervallo fra uno spettacolo e l’altro, quando il palcoscenico è invaso da inservienti velocissimi che spazzano, lavano, rimettono a posto i mobili, cambiamo i fondali, ma non c’è nessuna rappresentazione. I cambi di giacca e le sigle dei riciclati: un semplice cambio di costume con i soliti scadenti attori. I programmi elettorali? Sparate elettorali senza senso, di cui nessuno si ricorderà un minuto dopo i risultati. I colpi di scena? Semplici spot elettorali. Forse la cosa più significativa (se non altro la più divertente) è la gara a chi salta fuori prima dalla barca renziana che ormai affonda inesorabilmente: Lapo Elkann definisce Renzi non un Macron ma un micron, persino il maggior azionista del Pd, De Benedetti, dice che voterà scheda bianca perché Renzi non gli piace. Forse l’unica cosa che ha qualche senso (ma siamo solo agli inizi) è quello che sta succedendo in Commissione scandali bancari.Quello che colpisce più di tutto è l’assoluta estraneità di tutto questo ai problemi del paese a cominciare dal suo veloce declino di immagine a livello internazionale (esclusione dai mondiali, partita persa per l’Ema e per l’infelice candidatura di Padoan, l’esclusione di fatto dal direttorio europeo, l’assenza sulla scena internazionale della nostra diplomazia). C’è chi propone un ministero per gli anziani, magari una cosa solo di facciata, ma si dimentica la situazione catastrofica dei giovani. Lo dico appartenendo alla categoria di quelli cui dovrebbero pensare il costituendo ministero berlusconiano: per noi il problema è avere una vecchiaia dignitosa e possibilmente serena, ma quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, mentre i giovani hanno davanti tutta una vita per la quale si prospettano scenari da brivido. Per non parlare delle tante cose ormai solite: occupazione, sanità, istruzione, messa in sicurezza antisismica, ricostruzione, degrado delle città eccetera, di cui non vale neppure più la pena parlarne. Il problema dei problemi è che questo paese non ha più una classe dirigente, al cui posto ha una compagnia di scadentissimi guitti.Avremmo bisogno di sostituire immediatamente questa corte di cialtroni con una vera classe dirigente (e non solo in politica, ma anche nelle banche, nell’università, nei giornali, delle aziende), ma il guaio è che una classe dirigente non si improvvisa in qualche mese o anno. Quando per 25 anni hai trascurato di formare il personale politico di una nazione (e tutto il resto) poi non si può pretendere di tirare fuori il coniglio dal cilindro. In primo luogo è definitivamente battuta l’idea di estrarre una classe dirigente politica dalla mitica società civile: tutta la Seconda Repubblica è vissuta di questo mito, attingendo generosamente dai ranghi dell’imprenditoria, della magistratura, dell’università, della medicina, della finanza, e questo è il brillante risultato. E questo è accaduto per due buone ragioni: prima di tutto perché la politica è uno specialismo a sé, che può e deve attingere competenze dalla società civile, ma che non può essere sostituito da altre competenze, insomma un buon chirurgo molto probabilmente non sarà affatto un buon ministro della sanità, come i tanti avvocati che si sono succeduti al ministero di grazia e giustizia si sono dimostrati pessimi ministri.In secondo luogo perché, mettiamocelo in testa, il pesce puzza dalla testa, ma in breve va a male tutto: se la politica è corrotta e incompetente, in breve anche tutti gli altri ruoli dirigenti lo saranno (ammesso che non lo siano già da prima), e quindi è una illusione quella di sostituire la classe politica attingendo alla mitica società civile. E questo valga per dissipare quell’altra imbecillità per la quale “basta essere onesti” per dirigere lo Stato (qui, tanto per dissipare ogni dubbio, sto parlando dei miei amici 5 Stelle che, dopo tanta retorica sul cittadino comune, poi parlano di “tecnici” per un governo a 5 Stelle): no, non basta essere onesti, occorre anche capirci qualcosa dei quello che si amministra. Occorre mettere mano ad un’opera di ricostruzione culturale del paese, formare una classe dirigente vera e, nel frattempo, cercare di limitare i danni scegliendo il meno peggio.(Aldo Giannuli, “La politica italiana? Ras, rien à signaler”, dal blog di Giannuli del 29 novembre 2017).Cosa sta succedendo sul palcoscenico della politica italiana? Niente. Per carità, non manca il trambusto e anzi ce n’è troppo: frenetici cambi di casacca, nuovi-vecchi partiti che si riciclano, promesse elettorali a spam, colpi di scena e frettolosi abbandoni della barca che affonda, ma nulla che abbia un senso o qualche valore politico. Come in teatro, nell’intervallo fra uno spettacolo e l’altro, quando il palcoscenico è invaso da inservienti velocissimi che spazzano, lavano, rimettono a posto i mobili, cambiamo i fondali, ma non c’è nessuna rappresentazione. I cambi di giacca e le sigle dei riciclati: un semplice cambio di costume con i soliti scadenti attori. I programmi elettorali? Sparate elettorali senza senso, di cui nessuno si ricorderà un minuto dopo i risultati. I colpi di scena? Semplici spot elettorali. Forse la cosa più significativa (se non altro la più divertente) è la gara a chi salta fuori prima dalla barca renziana che ormai affonda inesorabilmente: Lapo Elkann definisce Renzi non un Macron ma un micron, persino il maggior azionista del Pd, De Benedetti, dice che voterà scheda bianca perché Renzi non gli piace. Forse l’unica cosa che ha qualche senso (ma siamo solo agli inizi) è quello che sta succedendo in Commissione scandali bancari.
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Mattei: siamo merce da macello, controllata via smartphone
Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.Parliamo della frontiera di tanto tempo fa, del saccheggio coloniale e così via. Quella era la frontiera della modernità. Con la modernità si scoprono le Americhe, nelle Americhe si sperimenta tutto ciò che non si poteva fare all’interno del nostro continente europeo. Perché non si poteva fare? Perché la tradizione lo impediva. La tradizione giuridica impediva la sperimentazione di ideologie proprietarie come quelle di Locke, che presupponevano la tabula rasa, un’idea di un vuoto che viene colmato attraverso delle istituzioni giuridiche fortemente semplificate. Fra le quali due capisaldi della modernità che sono la proprietà privata assoluta, il dominio dispotico di cui hanno parlato i giuristi da un lato e la sovranità dello Stato. Che sono i due poli organizzativi intorno ai quali noi abbiamo costruito le categorie giuridiche e politiche della modernità: il pubblico e il privato. Oggi la frontiera non è più una frontiera fisica, non abbiamo più le scoperte di Magellano, di Amerigo Vespucci o di Cristoforo Colombo, ma chiaramente è una frontiera di tipo informatico. Quella che Floridi aveva chiamato qualche anno fa “l’Infosfera”.Questa frontiera di tipo informatico condivide con la frontiera fisica, la frontiera dell’inizio della modernità, una caratteristica fondamentale, che ha reso il capitalismo da essa completamente dipendente: oggi è impensabile immaginare il capitalismo nella forma attuale – quindi dei rapporti di produzione capitalistici globali – senza la mediazione della rete di Internet. Se voi pensate alla vostra vita quotidiana, vi rendete conto perfettamente che nulla oggi può funzionare se non mediato dalla rete. Quando andavo a comprare un biglietto del treno, per andare a trovare i miei amici in età giovanile, c’era un signore che me lo faceva a mano. Certo, io sono molto anziano, però oggi se arrivi in stazione e il computer è giù, tu il biglietto non lo compri e il treno non lo prendi. Perché la sostituzione della macchina all’umano, in queste operazioni anche molto semplici come quella di fare un biglietto, è tale per cui semplicemente non è più possibile farne a meno. Se estendete tutto questo al mercato finanziario, alle banche, a tutto quanto, vi rendete perfettamente conto che chi può accedere al Master Switch (come è stato chiamato in un famosissimo libro molto importante di un signore che si chiama Tim Wu, professore della Columbia University), che sarebbe l’interruttore centrale, è colui che in realtà può disattivare il capitalismo.In questa frontiera si sperimentano molte cose. La frontiera dell’Infosfera è una frontiera dalla quale il capitalismo è dipendente e che dev’essere naturalmente tutelata in un modo assolutamente molto forte. Tramite che cosa? Tramite la costruzione di una serie di tabù, di una serie di ideologie, di una serie di convinzioni generalizzate che non si possono mettere in discussione. Faccio un esempio molto semplice. Quando a noi arriva un messaggio di posta elettronica, di solito sotto c’è scritto: “Non stampare questa email, mantieni l’ambiente salubre”. Questo è una sorta di messaggio criptico per cui sostanzialmente la posta elettronica sarebbe, dal punto di vista ecologico, un modo di comunicare totalmente sostenibile, mentre stampare la carta e spedire la lettera non lo sarebbe. Il messaggio che passa è che la rete Internet vive in una sorta di empireo astratto assolutamente pulito (adesso si parla di nuvole, no?). In realtà la rete Internet è fatta, fisicamente, dall’hardware: sono dei giganteschi cavi, estremamente grossi, che passano sotto i mari. Sono una serie di server potentissimi che consumano una quantità spaventosa di energia e che semplicemente nessuno sa dove siano. Si sa vagamente che sono collocati nella zona dell’Occidente degli Stati Uniti, tra la parte – diciamo – nord della Stato della California, dello Stato di Washington e dell’Oregon. Si pensa che pezzi siano nel Canada, ma non v’è certezza. Una delle tesi più accreditate è che il famoso Master Switch, cioè il server centrale, quello davvero importante, stia in un sottomarino nucleare al largo di Seattle.Tutto questo si va a schiantare contro quello che è la nostra impronta ecologica. L’impronta ecologica giusta è 1, ma oggi l’impronta ecologica globale è 1.4 e 1.5, il che significa che tutti gli anni verso luglio-agosto siamo nel cosiddetto Overshoot Day, vale a dire il giorno nel quale abbiamo finito di consumare le risorse che sono teoricamente riproducibili e incominciamo a consumare delle risorse che non saranno mai più riprodotte. 1.4 è una pessima impronta ecologica! Ma la cosa ancor peggiore è che i luoghi che vengono indicati da tutti come i più avanzati del mondo, la famosa Silicon Valley, dove ci si va a fotografare se si diventa primi ministri, da Twitter a Cupertino, a Palo Alto, a Mellow Yellow Party, i famosi posti della famosa Silicon Valley, ebbene l’impronta ecologica della Silicon Valley è 6. Il che significa che se tutto il mondo vivesse e si sviluppasse per poter diventare come ci dicono che potremmo diventare, cioè come la Silicon Valley («Crescete in modo tecnologicamente avanzato», e noi importiamo questo modello di sviluppo), ci vorrebbero sei pianeti per poter mantenere tutti quanti questo tenore di vita. Il che significa che se l’impronta ecologica è di appena 1.4, è solo perché dal Burkina Faso, all’India alla stessa Cina, l’impronta ecologica è molto più bassa rispetto a quella che è l’impronta ecologica dell’Occidente ricco. D’accordo?La Cina ha un’impronta ecologica di più della metà rispetto a quella degli Stati Uniti, anche se viene normalmente indicata come il posto in cui tutti inquinano e fanno delle cose tremende! E quella pro-capite è doppia negli Stati Uniti. Se poi ci stupiamo dei flussi migratori, delle situazioni drammatiche che si verificano, questo dipende semplicemente dal fatto che l’equilibrio globale è fortemente sbilanciato dal punto di vista dei consumi. Nessuno dei temi, compreso quello della Costituzione, può essere affrontato senza un’analisi seria dello stato del capitalismo attuale. Perché altrimenti noi ci mettiamo a ragionare di categorie astratte e non capiamo le condizioni materiali nell’ambito delle quali l’umanità si trova a vivere. E quali sono le possibilità, i rischi legati alla costruzione di questi dispositivi? Esempio molto semplice: gli untori. «Teniamo fuori i bambini che possono contagiare tutti gli altri». Che cosa significa? Che le mamme di questi bambini sono dei cattivi cittadini perché non investono sufficientemente in precauzione rispetto agli altri. Si costruisce un modello moralistico contro quelle mamme, e questo modello moralistico rende utilizzabile una sorta di implementazione diffusa di un ordine giuridico assolutamente contrario al precetto della Costituzione stessa.La Costituzione prevede che non si possano imporre trattamenti sanitari obbligatori se non in casi assolutamente particolari, ed è chiaro che una vaccinazione a tutto raggio, fatta per tutti quanti, non rientra in quelle categorie di eccezionalità che giustificano il trattamento sanitario obbligatorio. Questo lo capisce chiunque. Allora, il punto vero è che oggi quella sperimentazione che viene fatta in Italia, per poi estendere i vaccini in tutto il mondo, io credo che venga fatta anche per sperimentare una futura possibile frontiera. Che è quella di rendere l’Internet delle cose sempre più inevitabile. In altre parole, se ci fate caso, quando vi comprate un telefonino di questa generazione ultima, non potete più togliere la batteria. Vi sarete chiesti: perché non si può più togliere la batteria? Perché togliendo la batteria ci si può disconnettere. Non la puoi togliere fisicamente! E certo, potresti smontare il telefono, ma guardate che se voi comprate un telefonino di ultima generazione e lo accendete – questo vale per la vostra televisione o per qualunque oggetto Smart – prima di poterlo utilizzare dovete premere una serie di pulsanti sui quali c’è scritto: “I agree. I agree. I agree”. E voi che cosa accettate, naturalmente senza leggerlo? Tu hai accettato in quel momento una serie di cose che non accetteresti mai rispetto a una tua normale proprietà.Per esempio hai accettato il fatto che non lo potrai portare a riparare da chi ti pare, ma dovrai portarlo a riparare soltanto da quello che ti indica il venditore. Hai accettato il fatto che non potrai hackerare, manipolare la tua proprietà per renderla più compatibile con un altro sistema operativo, perché se lo fai commetti un reato! Hai accettato semplicemente una giurisdizione all’interno della quale tutta una serie di comportamenti, che sono comportamenti totalmente normali rispetto a un proprio oggetto, sono in realtà rilevanti dal punto di vista penale. Hai in più accettato anche il fatto di togliere di mezzo ogni giurisdizione, cioè che utilizzando questo strumento e scaricando qualsiasi tipo di App, implicitamente non puoi più andare in una giurisdizione – sia straordinaria che amministrativa – a far causa a uno qualsiasi di questi provider cui hai venduto i tuoi dati. Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti. È tanta gente! I nostri giornalisti ci dicono che si tratta della più grande nazione del mondo. Quel miliardo e mezzo di persone hanno accettato il sistema di risoluzione delle controversie tra l’utente e Facebook stesso, ma indovinate quante volte nella storia di Facebook lo hanno utilizzato? Sessantaquattro!Vale a dire che è stato completamente tolto di mezzo qualsiasi strumento di accesso alla giurisdizione ordinaria. E anche quella speciale, che ti viene offerta come giurisdizione privata, non viene semplicemente utilizzata mai. Cosa significa questo? Significa che nella frontiera dell’Infosfera possiamo fare a meno del giurista! La presenza del diritto non è più necessaria per costruire la struttura portante del capitalismo. Il giurista e il diritto sono stati sostituiti dai programmatori che riescono a introdurre dei processi che fondano le basi di transazioni economiche al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte dei giuristi. Voi mi direte: «Ma che bella cosa, perché i giuristi ci stanno molto antipatici!», e io sono anche d’accordo, da un certo punto di vista, perché purtroppo li frequento molto. Però il punto è che mentre nella storia tutte le rivoluzioni fin qui hanno sempre cercato di togliersi dai piedi i giuristi, ma non ci sono mai riuscite perché prima o dopo la loro presenza era necessaria per costruire le basi di una società organizzata fondata sullo scambio, oggi per la prima volta è possibile. Il che significa che mentre prima il capitalismo doveva in qualche modo sopportare i pistolotti dei giuristi che gli dicevano: «Ma guarda che ci sono anche gli standard di decenza, ci sono i diritti umani fondamentali, non si possono imporre vaccini obbligatori, non si possono fare una serie di cose senza ragionevolezza», perché quel ceto era un ceto in qualche modo indispensabile per la funzione primaria da cumulo capitalistico, oggi che quel ceto non serve più.Anche le nostre prediche sono destinate a rimanere, come diceva il buon Bob Dylan, Blowin’in the Wind. Sono destinate a rimanere completamente inascoltate, per un semplice fatto: che incentivo hanno ad ascoltare Ugo Mattei che gli fa il predicozzo, se poi non ne hanno bisogno per poter estrarre valore nei rapporti economici commerciali utilizzando le sue dottrine sul contratto sulla proprietà? Semplicemente se lo tolgono dai piedi nell’uno e nell’altro settore. Questa è una sperimentazione che per ora sta avvenendo in frontiera, nell’Infosfera, ma che sempre più rapidamente – io prevedo – arriverà anche nella madrepatria, nel mondo off-line – come oggi si chiama – perché quelle sperimentazioni lì vengono fatte in quel luogo e poi dopo ricadono anche nella nostra vita quotidiana. Proprio come le sperimentazioni di saccheggio nell’America Latina, soprattutto nel Nord America, sono ricadute nella strutturazione del capitalismo della madrepatria. Questo è un punto di una certa gravità, perché né tu né un altro miliardo di persone adesso potete più togliere la batteria: c’è il diritto penale che presiede alla vostra ubbidienza rispetto a quello che avete accettato.E questo è gravissimo, perché nel momento in cui tutti noi, dal primo all’ultimo, commettiamo dei reati senza saperlo, perché premiamo dei pulsanti, noi tutti, dal primo all’ultimo, possiamo essere inquisiti per quello che abbiamo fatto. E quindi noi, dal primo all’ultimo, possiamo finire nei guai proprio come è successo ad Aaron Swartz negli Stati Uniti d’America. Quanti di voi hanno sentito parlare di Aaron Swartz? Era un ragazzo che all’età di 12 anni era un genio informatico, un genio che aveva preso una sua consapevolezza politica. A 12 anni aveva fatto il Coding per il famoso programma, quello di Lawrence Lassie per i CoPilot, quindi insomma era un personaggio di grandissimo livello. A un certo punto capisce l’importanza di questi discorsi e pubblica un piccolo manifesto che si chiama “Guerilla Open Access Manifesto”. Pubblica questa cosa e comincia a dire che l’unico modo di mantenere la società come una società di liberi e non una società di schiavi è quella di rendere la cultura accessibile a tutti. Siccome era un genio e sapeva fare queste cose, penetra nella notte negli archivi del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, e scarica tutte le collezioni di Jstor, che è il più grande collettore di dati scientifici che ci siano nel mondo, e le rende pubbliche. Ok?Fa questa operazione di guerriglia per rendere accessibile questa informazione sulla base di una consapevolezza politica impressionante, perché nel Guerrilla Manifesto c’è tutto un ragionamento sul fatto dello iato tra i paesi ricchi e i paesi poveri, sulla cultura e di come deve essere in qualche modo accessibile, distribuita. Insomma, un personaggio di grande spessore nonostante la giovane età. Viene ovviamente preso di mira dall’Fbi e nonostante ottenga un accordo con Jstor per uscire dalla cosa – io conoscevo bene il suo avvocato che mi ha raccontato tutto – distrutto dai conti che ha dovuto pagare, tra avvocati e altre spese, all’età di 26 anni si è suicidato. C’è un bellissimo documentario che ne racconta la storia, si chiama “Killswitch”, vale la pena di vederlo perché è esattamente la storia di come in frontiera la partita si svolga tutta fra programmatori, così come una volta il giurista critico era visto come il peggior nemico del capitalismo stesso. Pashukanis viene ammazzato dallo stesso Stalin perché aveva introdotto una riflessione critica sul diritto che dava fastidio a chiunque volesse costruire delle strutture di sovranità. Quindi era sostanzialmente demonizzato perché conoscitore del segreto iniziatico. Stessa cosa successa per Aaron Swartz.Quindi questa è una partita molto importante. Che cosa impedirà un domani di far uscire una legge che, per ragioni di sicurezza e per lotta contro il terrorismo, ci obblighi a introdurci con una piccola iniezione un microchip sottocutaneo che si collega automaticamente con i vari sensori che ci sono nel mondo? Assolutamente nulla! Dal punto di vista tecnico è già totalmente possibile – ci sono già state sperimentazioni sull’introduzione di particelle talmente piccole che possono essere sostanzialmente iniettate sotto cute. Poi mi dicono che sono un “Conspiracy theorist”, che è il modo di dire di qualcuno che cerca di pensare criticamente: gli dicono che fa la “Conspiracy theory“, ma la verità vera è che oggi la tecnologia – se non oggi fra 3 anni, 5 anni, 8 anni, ma in un tempo molto vicino – consentirà cose di questo genere in modo assolutamente banale. Perché sono già totalmente possibili. Oggi il mio telefono, che è di un livello medio-scarso, è già molto più potente del top di gamma dell’Apple computer nel 2005. L’accelerazione tecnologica legata alla cosiddetta Legge di Moore, fa sì che oggi noi abbiamo un telefonino di livello medio-basso molto più potente del top di gamma non di 30 anni fa, ma di quattro, cinque, otto anni fa. Io credo che la questione della tecnologia debba essere affrontata in modo molto serio, perché ha trasformato profondamente i nostri sistemi politici portando alla sparizione totale della famosa contrapposizione fra pubblico e privato, sulla quale abbiamo costruito la civiltà liberale che ci governa, o comunque la civiltà moderna.Quando Barack Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti, io dissi: «Secondo me Obama è come Gorbaciov». Gorbaciov era stato l’ultimo dei comunisti all’interno del sistema sovietico, che aveva cercato di trasformare dall’interno senza riuscirci. Barack Obama è stato l’ultimo degli americani a provare a trasformare il sistema liberale dall’interno, a provarci secondo diciamo le possibilità concrete di farlo, che erano assai limitate perché non era un uomo particolarmente coraggioso. L’esito è stato da un lato la rivoluzione che ha portato a Putin, dall’altro Donald Trump, e poi questo modello di governo che stiamo vedendo ovunque, da Modi in India, alle trasformazioni del partito comunista cinese. Ovunque si sono istituite delle Costituzioni tecno-fasciste. In altre parole delle Costituzioni, delle strutturazioni che si sono liberate completamente dal vecchio controllo, dalla vecchia dicotomia pubblico/privato. Oggi nel consiglio di amministrazione di Facebook, delle cinque grandi corporation di grandi gruppi farmaceutici, siedono tanto dei rappresentanti del capitale quanto dei rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Cia all’Fbi. Perché non c’è più sostanzialmente nessuna separazione, e non può più esserci.Chi è il proprietario di queste grandi strutture dentro Internet? Chi mantiene quei cavi? Chi ha le chiavi per entrare ad aggiustare quel Master Server? Chi è che fa gli investimenti per migliorarlo? Semplicemente non lo sappiamo. Io sarò un ricercatore ignorante, zuccone e asino, ma sono tre anni che provo a trovare dei lavori scientifici seri sull’hardware, sulla parte hard della rete Internet, e non si trova assolutamente niente. Non c’è un paper scientifico che affronti dal punto di vista teorico quella che è la questione della proprietà delle infrastrutture materiali che governano l’Infosfera. Questo è un buco nelle nostre conoscenze estremamente pericoloso. Allora, se così stanno le cose, io credo che noi non possiamo trovare soluzioni che si facciano carico dei problemi, così come essi si verificano a questo livello di sviluppo tecnologico, all’interno delle vecchie strutture dell’ordinamento costituito. Noi non possiamo immaginare che possano essere i legislatori ordinari dei paesi del mondo, siano essi i paesi deboli e semiperiferici come il nostro, ma siano anche i grandi blocchi avanzati, a riuscire a mettere sotto controllo il potere economico così come è venuto a svilupparsi oggi. I rapporti di forza tra privato e pubblico sono drammaticamente cambiati.Il Leviatano un tempo era un signore pubblico, contro il quale avevamo costruito il diritto costituzionale liberale, per proteggere l’individuo vivo, la proprietà privata, la privacy, la nostra entità o la persona rispetto alle potenziali deviazioni del potere concentrato. Oggi le cose non stanno più così. Oggi non è più il privato a essere più debole del pubblico e a necessitare della tutela nei confronti del pubblico stesso, ma è il pubblico, sono questi sistemi burocratici che sono stati talmente colonizzati dal capitale privato, per cui nessuna delle scelte che vengono fatte può essere più considerata una scelta politica. Ma voi pensate che sia stata davvero la Lorenzin a decidere questa cosa dei vaccini? Ma stiamo scherzando? E pensate davvero che siano state le istituzioni europee sulla base di qualche think-tank di alto livello? Ma scherzate proprio? Sono stati i consigli di amministrazione di due, tre, quattro grosse multinazionali, che erano le stesse che ai tempi della mucca pazza – ogni tanto vengono costruite queste situazioni d’emergenza – avevano creato le condizioni per poter operare delle “estrazioni” – come dire – molto importanti.Perché per la mucca pazza in Italia avevamo comprato una quantità di vaccini, che poi abbiamo buttato via, impressionante! Milionate di vaccini! Avremmo finanziato la ricerca nei beni comuni, nel territorio e tutto quel che volevamo, ma c’è stato l’allarme mucca pazza, no? Adesso si è capito – come spesso avviene – che il momento di estrazione e di accumulo originario, quello che il vecchio Marx chiamava l’“Accumulazione Primitiva” non è un momento specifico (le Torri Gemelle, e allora dichiaro la guerra). No! Semplicemente si tratta di un modello permanente di strutturazione della società che consente a questi processi di andare avanti in modo lineare sempre in quella particolare direzione. Allora, come si risponde a questo? Io credo che prima di tutto bisogna avere l’umiltà di provare a capire questi processi. E provare a capire questi processi non è facile perché ti oppongono: «Ma tu, Mattei, sei un giurista. Che ne capisci di informatica? Tu, sociologo, che ne capisci di medicina? La medicina e l’informatica non sono democratiche, no?».Esattamente questo è il punto! Si sente la necessità di una cultura che sia nuovamente una cultura di tipo olistico, una cultura di tipo interdisciplinare che sia capace una volta tanto di esercitare un controllo critico sulle cose che lo specialismo cerca di farci ingurgitare. Questo è un punto – secondo me – molto molto importante. La seconda cosa è capire che oggi noi come individui non contiamo più niente: non importa niente a nessuno di noi come individui. Noi siamo delle categorie merceologiche. Nel momento in cui qualcosa ci viene dato gratis, significa che noi siamo la merce. Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu. Siamo categorie merceologiche che sono interessanti nel momento in cui veniamo raggruppati attraverso la forza computazionale, che sta aumentando in modo rapidissimo. Vi ricordate von Hayek? La teoria della conoscenza liberale qual era? Che il piano sovietico è destinato a perdere perché il libero mercato ha molte più informazioni di quante ne abbia il piano. Per cui i sovietici, non avendo il mercato libero che produce informazione, erano destinati al fallimento perché non si sapeva quanti stivali e quante scarpe col tacco lungo erano desiderati in quel momento, e quindi si producevano troppi stivali e troppo poche scarpe col tacco. E questo comportava l’impossibilità di far funzionare il piano.Oggi non è più così. Oggi la capacità computazionale crea una capacità pianificatoria molto più forte rispetto alla catalessi del mercato. Non c’è più – secondo me – un elemento per cui il potere diffuso possa imporsi rispetto al potere concentrato, nel momento in cui il potere concentrato mette sotto controllo la tecnologia ai livelli in cui la tecnologia è messa sotto controllo oggi. Il che significa che dobbiamo ripensare le stesse basi del dibattito teorico-filosofico che ci hanno accompagnati dalla modernità fino ad oggi. E’ un compito molto serio, molto molto importante e di cui però bisogna cominciare ad occuparsi. Bisogna che qualcuno abbia il coraggio di prendersi del buffone, ma andare a parlare di queste cose dove di queste cose bisogna parlare. Siccome non contiamo più come individui, ma come categoria merceologica, abbiamo la necessità di ricostruire istituzioni del collettivo. L’individuo è morto. L’individualismo basato sul diritto soggettivo assoluto è, come diceva Rosa Luxemburg a proposito della socialdemocrazia tedesca dell’epoca, un fetido cadavere, cioè qualcosa che non ha più senso di esistere perché oggi ci sono i collettivi che vanno ricostruiti.O ricostruiamo una situazione di collettivizzazione, anche di quelle persone che non accettano di essere merci da estrazione capitalistica, o ci siamo fatti riempire la testa di nozioni che ci depotenziano. Io sento dire che su alcune cose, i diritti civili liberisti sono più avanzati e quindi gli vogliamo dare spazio. Non si capisce che i diritti più importanti, come quelli sul nostro corpo, quelli sulla nostra identità sessuale, sono destinati a non servire assolutamente a nulla. Quindi ricostruire condizioni del senso comune, ricostruire solidarietà, ricostruire strutture di condivisione anche fondate sull’amore è secondo me molto importante, perché quello è il solo modo grazie al quale si può avere il coraggio di opporsi in modo radicale a delle leggi che sono leggi insostenibili, ingiuste e che creano obblighi collettivi di resistenza.(Ugo Mattei, “Perché non ti fanno più togliere la batteria dallo smartphone”, da “ByoBlu” del 26 novembre 2017. Il post è la trascrizione di un intervento di Mattei al convegno “Costituzione, comunità e diritti” tenutosi all’università di Torino il 19 novembre 2017. Giurista, Ugo Mattei è professore di diritto internazionale e comparato alla California University e docente di diritto privato nell’ateneo torinese).Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.