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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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Poliziotti ora in pericolo, il potere stragista investe sull’odio
Quei due poliziotti di Milano ora sono in pericolo, ma a questo Stato «servono eroi da esibire», anche a rischio della loro incolumità: lo afferma l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del libro “Dalla massoneria al terrorismo” che denuncia la “sovragestione” degli attentati, progettati da “menti massoniche” e coordinati da settori dei servizi segreti che utilizzano manovalanza di pretesa matrice islamista. «L’Isis è sostanzialmente una marionetta, a disposizione di Ur-Lodges reazionarie americane, prime fra tutte la “Hathor Pentalpha” e la “Three Eyes”», la cui esistenza è stata rivelata da Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, a fine 2014. La strage di Berlino? «Sembra attuata per colpire Angela Merkel in vista delle prossime elezioni politiche in Germania, per forzare il governo tedesco spingendolo ad assumere un atteggiamento intransigente verso l’immigrazione: come sempre – aggiunge Carpeoro – chi utilizza il terrorismo colpisce gli elementi moderati e dialoganti: in Italia fu colpito Moro perché dialogava col Pci, in Israele a cadere fu Rabin perché dialogava coi palestinesi. Gli estremisti invece non vengono mai toccati, perché seminano odio, e l’odio fa sempre comodo al potere».Riflessioni a caldo, che Carpeoro ha consegnato alla diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di Border Nights la mattina di Natale. Durissimo il giudizio dello studioso sulla decisione di esporre al pubblico l’identità dei due agenti di polizia che, a Sesto San Giovanni, hanno fermato e poi abbattuto il tunisino Anis Amri, sospettato di essere l’autore della strage di Berlino dopo il ritrovamento dei suoi documenti sotto il sedile del camion-killer. «Un terrorista “normale” non va a compiere un attentato portando con sé il passaporto: il far ritrovare prontamente il documento è la prova della “sovragestione” che ha diretto l’attentato», sostiene Carpeoro, che spiega: «Risalire immediatamente al presunto killer, in modo da neutralizzarlo subito, è estremamente utile agli strateghi del terrorismo: una prolungata caccia all’uomo manterrebbe in tensione per molto tempo le forze di polizia, e questo disturberebbe i piani dei manovratori occulti». A Milano, inoltre, l’identità dei poliziotti è stata esibita: «Il problema è questo potere ha bisogno di eroi», insiste Carpeoro, «e questa sua esigenza è superiore al tutelare la vita delle persone che lavorano per noi». Finì sotto i riflettori anche il “Capitano Ultimo”, l’ufficiale dei carabinieri coinvolto nella cattura di Riina: «Fu gettato in pasto ai porci in maniera evidente, esposto al rischio della vita in modo ancora più efferato».Carpeoro sta analizzando le clamorose analogie tra l’attentato di Nizza del 14 luglio e quello di Berlino al mercatino natalizio. Identiche modalità: «Un camion lanciato contro la folla è uno strumento probabilmente più facile da utilizzare, non richiede requisiti tecnici come invece gli esplosivi, e infine un mezzo di trasporto non suscita di per sé allarme, può sfuggire al controllo delle forze di sicurezza». Di regola, questi attentati stragicisti sono “firmati” con un corredo simbolico, «segnali in codice rivolti a chi li può intendere», nei circoli del massimo potere. In attesa di decifrare quali segni (anche nascosti) possano legare la strage di Nizza e quella di Berlino, Carpeoro avverte: «Temo che siamo di fronte a un’escalation», uno “sciame” di stragi «destinate a preparare il terreno per un evento ancora più grave e sanguinoso». La “filosofia” che muoverebbe questa regia occulta? Sempre la stessa: alimentare l’odio, attraverso il falso “scontro di civiltà”. «La paura e l’odio sono strumenti adottati dall’attuale élite di potere, il cui obiettivo è impedire qualsiasi cambiamento dello status quo, dopo che la finanza ha neutralizzato la democrazia. Non serve nemmeno una Terza Guerra Mondiale: basta e avanza quello che è già in atto, cioè un insieme di tante guerre locali». Paura, tensione, odio: funzione che, in Europa, è svolta dal terrorismo “sovragestito”, comodamente targato Isis.Quei due poliziotti di Milano ora sono in pericolo, ma a questo Stato «servono eroi da esibire», anche a rischio della loro incolumità: lo afferma l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del libro “Dalla massoneria al terrorismo” che denuncia la “sovragestione” degli attentati, progettati da “menti massoniche” e coordinati da settori dei servizi segreti che utilizzano manovalanza di pretesa matrice islamista. «L’Isis è sostanzialmente una marionetta, a disposizione di Ur-Lodges reazionarie americane, prime fra tutte la “Hathor Pentalpha” e la “Three Eyes”», la cui esistenza è stata rivelata da Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, a fine 2014. La strage di Berlino? «Sembra attuata per colpire Angela Merkel in vista delle prossime elezioni politiche in Germania, per forzare il governo tedesco spingendolo ad assumere un atteggiamento intransigente verso l’immigrazione: come sempre – aggiunge Carpeoro – chi utilizza il terrorismo colpisce gli elementi moderati e dialoganti: in Italia fu colpito Moro perché dialogava col Pci, in Israele a cadere fu Rabin perché dialogava coi palestinesi. Gli estremisti invece non vengono mai toccati, perché seminano odio, e l’odio fa sempre comodo al potere».
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Roberts: chi spara su Trump lo consegna ai neocon affiliati
Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».Mnuchin lasciò Goldman Sachs 14 anni fa, scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Girava film a Hollywood e ha avviato un’attività in proprio». Molte persone, di fatto, «hanno lavorato per Goldman Sachs e per la New York Bank», per poi diventare «critici inflessibili nei confronti delle banche», come raccontano Nomi Print e Pam Martens. Anche l’abituale co-autore di Craig Roberts, Dave Krenzler, «è un ex frequentatore di Wall Street». Secondo l’analista indipendente, «i commentatori stanno saltando alle conclusioni basandosi sulle passate associazioni dei nominati». In realtà, «Mnuchin fu uno dei primi sostenitori di Trump». Quindi ora l’ex finanziere appoggerà Trump nel suo tentativo di riportare in America i posti di lavoro per la classe media? E lo stesso Trump è sincero? «Non lo sappiamo». L’unica certezza è che Trump «ha attaccato il falso accordo di “libero scambio” che ha spogliato l’America dai posti di lavoro per la classe media come fecero Pat Buchanan e Ross Perot. Sappiamo anche che i Clinton costruirono la loro fortuna come agenti dell’Uno per Cento, gli unici ad aver avuto guadagno dalla delocalizzazione dei posti di lavoro americani».Secondo Craig Roberts, «non tutti i miliardari sono degli oligarchi», e il rapporto di Trump con il settore finanziario «è quello di un comune debitore». Con le banche, «ha un rapporto scadente». E che dire, poi, dei «generali dalla testa calda» appena nominati, alla difesa e alla sicurezza nazionale? «Entrambi sembrano trovare la loro fine in Iran, il che è stupido e infelice». Per contro, il generale Flynn «denunciò il regime di Obama per aver rifiutato il consiglio della Dia ed aver sostenuto l’Isis nel rovesciare Assad», mentre il generale Mattis «fu colui che disse a Trump che la tortura non funziona». Entrambi questi generali, «per quanto cattivi possano sembrare», per Craig Roberts «sono comunque un miglioramento rispetto a chi li ha preceduti: entrambi hanno dimostrato indipendenza rispetto alla linea neo-conservatrice che supporta Isis e torture».Il nemico numero uno, per Craig Robers, è costituto da quelli che chiama “gli affiliati”, cioè i super-massoni della piramide del potere reale, non elettivo. «E’ da tenere a mente anche che esistono due tipi di affiliati», scrive: «Quelli che rappresentano l’agenda degli interessi particolari; gli altri che seguono la corrente per partecipare attivamente alla vita politica della nazione. Coloro che non si allineano con la maggioranza vengono estromessi». Un posto in Goldman Sachs «è un buon viatico per la ricchezza», certo. «Che Mnuchin l’abbia lasciato 14 anni fa può significare che non rappresentava un buon partito per Goldman Sachs, che a loro non piaceva o viceversa che lui non gradiva loro». Che Flynn e Mattis abbiano preso una posizione indipendente riguardo l’Isis e le torture «li dipinge come degli anticonformisti». Tutti e tre questi nominati «appaiono forti e sicuri nelle loro convinzioni, nella loro confidenza con l’ambiente politico», il che «li qualifica come il personale di cui Trump ha bisogno per raggiungere qualsivoglia obbiettivo».Trump, ricorda Craog Roberts, è stato l’unico fra tutti i candidati alla presidenza a dichiarare di non vedere motivi di conflitto con la Russia. L’unico, anche a interrogarsi «sul perché la Nato continui ad esistere a 25 anni dal collasso dell’Unione Sovietica». Solo Trump «ha dichiarato di voler riportare in America i posti di lavoro per la classe media». Ha detto che avrebbe irrigidito la politica dell’immigrazione: «Si tratta di razzismo o di protezione della cittadinanza?». Inutile sparare su Trump senza dargli il tempo di agire: meglio invece «basarci sulle sue promesse e vincolare l’amministrazione Trump al loro mantenimento». E inoltre, «dovremmo anche far sì che Trump si renda conto delle terribili conseguenze che derivano dal degrado ambientale», visto che l’ecologia (fonti rinnovabili) è assente dalla sua agenda. Ma, oggi, «più Trump viene criticato, più è facile per i neoconservatori offrirgli il loro appoggio ed entrare a far parte del governo». Per adesso «non ne ha ancora nominato alcuno, ma c’è da scommettere che Israele spinge per delle nomine fra questi».I neocon «hanno il controllo dei media e comandano fra gli esperti, fra i dipartimenti universitari per gli affari esteri e fra la comunità politica internazionale. Sono un pericolo costante». Il temperamento di Trump «lo porta ad essere più incline a rappresentare il presidente che risolleva le sorti dell’America in declino, piuttosto che colui che usa la carica presidenziale per arricchirsi». Perciò, conclude Craig Roberts, «ci troviamo di fronte ad un’occasione di cambiamento che una volta tanto viene dall’alto invece che avere origine da sanguinose rivolte di strada». E quindi: «Diamo al governo Trump un’occasione. Potremmo rivoltarci dopo che ci avrà deluso».Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».
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Un governo di spettri, guidato da un troll del Vaticano
Renzi “asfaltato” dai No, poi sarà il Vaticano a scegliere il nuovo capo del governo. Questa la profezia dell’ex ministro socialista Rino Formica, pronunciata con largo anticipo sull’esito del referendum che ha poi in effetti disarcionato il premier. Azzeccata anche la seconda parte della previsione? Parrebbe di sì, a leggere “Coscienze in Rete”, il blog del network creato da Fausto Carotenuto. Gentiloni, scrive oggi il newsmagazine, è «rampollo di una famiglia nota per ripetuti, secolari servizi al Vaticano nel campo dell’influenza nella politica italiana». Lo stesso Carotenuto definisce Gentiloni «di nobili, cattolicissimi lombi». Se il No del 4 dicembre ha rappresentato «un sospiro di sollievo», per quasi 20 milioni di italiani, felici di «non vedere più in tutti i media a ripetizione il bulletto toscano che pontifica sulla propria capacità di fare miracoli, con la faccia di tolla che spara bugie a raffica, circondato da un gruppetto di pretoriani invischiati con le peggiori lobbies», attenzione: «Stiamo attenti a non riaddormentarci subito. Perché il vero problema in effetti non era Renzi». Il fiorentino «non comandava e non decideva proprio nulla: era solo il “troll”, la maschera, il burattino del potere», che infatti «rimane intatto, come prima». Il vertice ha semplicemente “ordinato” al Quirinale di «nominare il suo nuovo troll». Gentiloni chi?«Già da un paio d’anni – scrive “Coscienze in Rete” – avvertiamo della presenza del Conte Paolo Gentiloni Siverij e delle sue fantasmagoriche imprese, dal Giubileo rutelliano o come ministro delle telecomunicazioni del governo Prodi, all’allegria con la quale, in qualità di ministro degli esteri di Renzi, si prostrava a John Kerry quando questi gli chiedeva soldi e uomini per le guerre americane in Medio Oriente». In guardia, dunque, da «un personaggio chiaramente schierato con i vincitori della corsa al potere negli ultimi anni». E non è un caso, aggiunge il blog, che «nel momento in cui serve l’ennesimo pretoriano per schiacciare i i redivivi, seppur flebili aneliti democratici di questo paese, ci mettano proprio lui». Forse, alla fine la scelta è caduta su Gentiloni per una questione d’immagine: «Uno come Padoan è troppo palesemente legato alla Troika, troppo chiacchierato. E le sue misure, tipo un eventuale ricorso al Mes per sovvertire l’esito referendario, avrebbero potuto creare malcontenti troppo estesi». Forse, «confidano che Gentiloni possa fare esattamente le stesse cose senza scatenare troppo putiferio: come cantava Mary Poppins, “Basta un poco di zuccero e la pillola va giù”».Quando «il conte» divenne ministro degli esteri per il governo Renzi, “Coscienze in Rete” lo accolse così: «Garantisce tutti i potenti, il Conte Paolo Gentiloni Siverij, di feudi e lombi marchigiani». Per conto di Rutelli sindaco di Roma «continuò la tradizione familiare e proprio lui fu nominato assessore al Giubileo, in contatto con la banda che se ne occupò». Uno dei principali esponenti di quella storica “impresa” fu «l’efficentista Bertolaso, “eroe” della mancata ricostruzione aquilana, del disastro della Maddalena e della trasformazione della Protezione Civile in comitato d’affari». Da ministro delle comunicazioni del governo Prodi, Gentiloni «fece la faccia cattiva di quello che doveva distruggere l’impero televisivo di Berlusconi, ma «in effetti la sua funzione si è poi risolta nel proteggerlo, magari a condizioni più utili ai veri circuiti di potere». Il “conte”, poi, «non si fa mancare nemmeno il fatto di essere vicinissimo ad ambienti israeliani e soprattutto americani», scriveva il blog. «E deve proprio essere stata qualche vocina gesuitico-massonica, supportata da manine statunitensi, ad averlo convinto ad essere uno dei primi a sostenere Renzi nel Pd, ben prima che si creasse l’onda opportunistica renziana di questi mesi».L’uomo giusto al posto giusto: al Giubileo, agli esteri, a Palazzo Chigi. «All’origine di ogni nobiltà materiale c’è un non detto, un qualcosa di inconfessabile e di indicibile compiuto al servizio di un potere oscuro più forte: lo stesso indicibile potere che mantiene certe famiglie nobili al potere per secoli», secondo “Coscienze in Rete”. Cosa farà ora questo «governo di spettri?». Se lo domanda Fausto Carotenuto, che saluta «il disgusto, unito al risveglio» degli elettori, che il 4 dicembre hanno mandato a casa «chi non lavorava per i cittadini, ma per altri poteri». Solo che, poi, se togli Renzi ti ritrovi Gentiloni. Missione del nuovo “troll” del potere: «Anestetizzare al massimo gli effetti politici del referendum». Al “conte” non manca il fisico giusto: ha «una faccia diversa» da quella di Renzi, «dimessa», nonché «un eloquio da confessionale, un portamento perfino un po’ contratto e ricurvo, l’espressione di chi è capitato lì per caso». E’ perfetto, per «dare alla gente l’impressione di una maggiore “innocuità”». Errore: «Non abbassiamo la guardia: anche lui continuerà a servire chi lo comanda, senza discussioni e con volontà ferrea. Nella costante ricerca della maggior possibile manipolazione e della riduzione al minimo della libertà di noi cittadini».Carotenuto ne è sicuro: «Con lui si cercherà di fare in modo che nulla cambi, ma questa volta senza nemmeno far finta di cambiare qualcosa. Ancora peggio del solito italico trasformismo descritto nel Gattopardo». Secondo le stime, l’apprezzamento della gente per il nuovo governo è sotto il 20 %: il più basso della storia. «Il che prelude chiaramente alla preparazione di scenari molto diversi di manipolazione della gente, non più affidati a questi gruppi di spettri ormai spenti ed inefficaci». Come dire: il peggio deve ancora arrivare. «Apparentemente il nuovo governo serve solo a fare la nuova legge elettorale. Ma non si è riempito di saggi costituzionalisti, bensì di un numero di “trolls” ancora maggiore del precedente, confermandone la maggior parte. In effetti il ruolo di questo governo è quello di non mollare la presa del potere nemmeno per un attimo sui veri scopi di ogni ministero, che i ministri di questo governo continueranno a perseguire con efficacia, facendo finta di dirigere ministeri che in effetti sono dominati da bande di burocrati inossidabili e inamovibili, di direttori generali e funzionari al soldo dei veri poteri di manipolazione». I ministri-troll? «Sono solamente degli spettri dotati di firma, che fanno solo da “copertura” ai lobbisti legati ai poteri oscuri». E l’orchestra è diretta – come annunciato da Formica – da un nobilissimo “amico” del Vaticano.Renzi “asfaltato” dai No, poi sarà il Vaticano a scegliere il nuovo capo del governo. Questa la profezia dell’ex ministro socialista Rino Formica, pronunciata con largo anticipo sull’esito del referendum che ha poi in effetti disarcionato il premier. Azzeccata anche la seconda parte della previsione? Parrebbe di sì, a leggere “Coscienze in Rete”, il blog del network creato da Fausto Carotenuto. Gentiloni, scrive oggi il newsmagazine, è «rampollo di una famiglia nota per ripetuti, secolari servizi al Vaticano nel campo dell’influenza nella politica italiana». Lo stesso Carotenuto definisce Gentiloni «di nobili, cattolicissimi lombi». Se il No del 4 dicembre ha rappresentato «un sospiro di sollievo», per quasi 20 milioni di italiani, felici di «non vedere più in tutti i media a ripetizione il bulletto toscano che pontifica sulla propria capacità di fare miracoli, con la faccia di tolla che spara bugie a raffica, circondato da un gruppetto di pretoriani invischiati con le peggiori lobbies», attenzione: «Stiamo attenti a non riaddormentarci subito. Perché il vero problema in effetti non era Renzi». Il fiorentino «non comandava e non decideva proprio nulla: era solo il “troll”, la maschera, il burattino del potere», che infatti «rimane intatto, come prima». Il vertice ha semplicemente “ordinato” al Quirinale di «nominare il suo nuovo troll». Gentiloni chi?
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Se Trump spegnesse, con un tweet, anche il Sacro Tav
Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.La mitologia del Tav occidentale resiste da decenni, inattaccabile come un dogma, anche se la sua surreale teologia è stata ripetutamente capovolta, relativizzata, rettificata, sminuita. Doveva essere una linea superveloce per passeggeri, con l’avvento dei voli low-cost è diventata una linea medio-veloce per merci, infine solo un tunnel (ma di 50 chilometri) per merci ormai estinte, che non esisteranno più, sulla dimenticata rotta transalpina tra Italia e Francia, nel ventre del Massiccio dell’Ambin gravido d’acque sommerse, rocce di amianto e vene di uranio. Anche i cinesi devastano intere province, ma almeno hanno uno scopo: costruire dighe idroelettriche. Lo scopo del Tav Torino-Lione va invece rintracciato nella metafisica, evidentemente, nella mistica del potere europeo, il potere reale ma impalpabile, fatto di moneta elettronica gestita da terminali alieni, da imperatori alieni come Mario Draghi, a sua volta agli ordini di invisibili Elohim biblici. La religione, appunto: è l’unica categoria che può spiegare, davvero, la natura più intima dell’oscuro potere europeo, da cui promana – anche – l’ostinata superstizione che protegge, ad ogni costo, la grande opera più screditata della storia italiana, bocciata senza appello (devastante, costosa, completamente inutile) da tutti gli esperti indipendenti della penisola, i tecnici, gli specialisti universitari d’ogni ordine e grado.Lo ripete, inutilmente, anche l’autorità elvetica delegata dalla Commissione Europea a monitorare i trasporti transalpini: la valle di Susa dispone già di una ferrovia internazionale Italia-Francia, quella del Fréjus, che è semi-deserta da anni per mancanza di utenza; sulla linea attuale, il traffico merci potrebbe tranquillamente essere incrementato del 900%. Inutile, dunque – per non dire folle, coi tempi che corrono – insistere nell’aprire un secondo traforo, che costerebbe decine di miliardi, a carico di contribuenti stremati dalla crisi. Le autorità svizzere però ragionano, ingenuamente, come Galileo e Copernico, ignorando cioè che l’astrofisica di Roma e Parigi, Bruxelles e Francoforte è ancora e sempre quella di Tolomeo. A motivare così tenacemente i grandi decisori non è scienza, è verità di fede: gli egemoni non si chinano sul volgare cannocchiale per scoprire com’è davvero il cielo, a loro basta e avanza la certezza incrollabile del dogma, che sorregge la visione magica su cui si fonda il presente feudalesimo illuminato, affidato a una schiera di eletti, secondo cui, semplicemente, quella ferrovia della malora si deve fare, punto. Dio lo vuole. E se la plebe protesta, tanto meglio: imparerà, a sue spese, che la voce del padrone non ammette repliche. Gli ordini non si discutono. La legge è una sola, quella dell’obbediente sottomissione.Ingenui come gli svizzeri, anche i valsusini hanno obiettato, appellandosi alla ragione, ancora confidando in Galileo. Promossero studi, scovarono prove, sfilarono in cortei. Brandendo Copernico, nel lontano 2005 si accamparono in massa sui prati destinati al primo cantiere. Intervenne il governo, che li disperse con la forza (spedendoli all’ospedale). Poi cambiò il governo, ma non la teologia: anche per Prodi, come per Berlusconi, la Terra era sempre piatta e assolutamente immobile. Seguirono ancora Berlusconi, poi Monti, poi Letta, poi Renzi. Tutti devoti alla religione di Tolomeo. Nel frattempo, la situazione non fece che peggiorare: fu introdotto stabilmente il germe dell’ostilità, per coltivare con profitto il carburante della rabbia, foriero di nefaste conseguenze – per la plebe, non certo per gli arconti, i re-sacerdoti, i custodi del Sacro Tav. Ogni tanto alla plebe viene concesso qualche effimero sollievo (il voto, persino il referendum), ma l’impianto teologale resta là, granitico, immutabile. E’ sempre lui, il Signore della Banca, a stabilire il prezzo dei sudditi, inclusi i servitori intermedi e le loro precarie carriere.Così, la Talpa tolemaica ancora scava la sua buia galleria – tunnel geognostico, lo chiamano. Fin dove arriverà, nel suo slancio metafisico? Un tempo, l’antica cosmogonia del Tav ne attestava l’origine divina: sarebbe stato il segmento alpino di un Sommo Disegno, chiaramente provvidenziale, destinato a unire l’Atlantico al Mar della Cina: non più semplici sudditi, gli abitanti dell’area interessata dai futuri cantieri, ma entusiasti neo-cittadini, viaggianti, di una nuova repubblica onirica, la Tratta Kiev-Lisbona. Forse c’è stato qualche contrattempo (provvidenziale, anche quello) se oggi il mezzo di trasporto più in voga è diventato il barcone, la scialuppa. Ma guai a sottovalutare il Disegno: la Talpa è inarrestabile, può raggiungere qualsiasi latitudine sotterranea, dal Celeste Impero al Cremlino. Può scavare anche il fondale oceanico e raggiungere le lontane Americhe. Purché non sbuchi, per errore, alla Casa Bianca – a quel punto, forse, con un tweet, persino il Sacro Tav potrebbe fare la fine dell’F-35. Ma l’America è lontana, cantava qualcuno. E, da questa parte dell’Atlantico, nessuno – nemmeno a Roma, tra i più accesi outsider del Parlamento – ha ancora osato sfidare, per davvero, la teologia di Tolomeo e il feudalesimo dei nuovi Elohim, che s’illuminano d’immenso davanti al terminale elettronico che decreta vita e morte, il destino di interi bilanci, la fortuna e la rovina di interi popoli, a lungo illusi da un sogno chiamato democrazia.Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.
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Magaldi: solo teatro, nessuno vuol fare guerra a Bruxelles
«Non credete a quelli che gridano “al voto, al voto”: dicono così solo perché sanno benissimo che alle elezioni, tanto presto, non si andrà». Nessuno è sicuro di vincere, né tantomeno poi di saper governare. Qualcuno ce l’ha davvero, un piano? Parla in modo esplicito Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del “Movimento Roosevelt”: «La prima cosa che un premier italiano dovrebbe fare – dichiara Magaldi a “Colors Radio” all’indomani dell’incarico a Gentiloni – è tramutare in atti precisi quell’abbiare vano, alla luna, da parte di Renzi, “abbasso la tecnocrazia, abbasso l’Europa matrigna”». Abbaiare non basta, servono fatti: «Tipo: riconvocare a Ventotene la Merkel e Hollande, e dir loro: signori, se non rivediamo i trattati, l’Italia ne sospende la validità sul suolo italiano, torniamo alla lira e facciamo quello che ci pare». Magaldi lo afferma «da europeista convinto», che tifa per «un’Europa coesa», e soprattutto «democraticamente legittimata nelle sue istituzioni». Ma quello è il punto di partenza: stracciare i trattati Ue. «Tutto il resto non conta niente, se non c’è una riappropriazione della sovranità monetaria».Gentiloni? «Un personaggio incolore, che non può fare ombra a Renzi, non a caso scelto per questo, dall’ex premier, tra altre mezze calzette del suo ex esecutivo». L’unica buona notizia sarebbe la bocciatura di Padoan: Magaldi si è impegnato in prima persona, anche con una lettera aperta a Mattarella, per invitare il presidente della Repubblica a evitare la nomina di Padoan, «che milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, massima interprete del peggior rigore tecnocratico europeo». Lo stesso Renzi non è mai stato un fan di Padoan: «Gli era stato messo alle costole come cane da guardia, perchè – appunto – contro la tecnocrazia e l’austerity si limitasse ad abbaiare, senza mordere mai». Durerà, Gentiloni? «Impossibile dirlo: basta vedere quanto durò il governo Dini». Renzi, però, vorrebbe votare subito – lui sì. «Anche qui sarei cauto», dice Magaldi. «E’ vero, Renzi vorrebbe affrettare il congresso Pd per ottenere una forte investitura e poi andare al voto, ma vedo in campo diversi progetti, a livello italiano e internazionale, che non coincidono con i desiderata dell’ex premier».Poteri forti, a cui il rottamatore non piace più? Certo, per Renzi, i problemi non vengono dal Pd. «Intanto, non c’era nessuna necessità di dimettersi. E in ogni caso, l’ex primo ministro non esce affatto distrutto dall’esito referendario: ha anzi incassato un notevole consenso personale, anche se poi non è detto che si traduca in voti quando si andrà a elezioni. Poi, comunque, Renzi ha inserito nel governo Gentiloni persone fidate in ruoli vitali». Soprattutto, continua Magaldi, l’ex premier «sa benissimo di aver conquistato il partito per assenza di competitori». La verità è che «il Pd è fatto di vecchie cariatidi, personaggi che hanno meno appeal di una patata bollita». Proprio per questo Renzi ha conquistato la poltrona di segretario. «E la situazione non è cambiata: non è che la gente ha nostalgia di Bersani e di tutti i bersaniani che hanno approvato il Fiscal Compact», durante il governo Monti. «Tra Bersani e Renzi, la maggioranza preferità sempre Renzi, a parte qualche nostalgico di non si sa quali “tempi d’oro” sotto la segreteria Bersani o di altri che l’hanno preceduto. Quindi è ovvio che Renzi stravincerà qualunque congresso».Ma da qui al voto anticipato, ne corre. «Io non mi fiderei di quelli che oggi sembrano scalpitare le elezioni», dice Magaldi, che cita «troppi parlamentari 5 Stelle che, se si votasse prima di settembre, rischierebbero di essere inghiottiti dal nulla da cui sono venuti. E vale anche gli altri che gridano: nessuno ha certezze per il futuro. E poi: sono pronti, a vincere?». Per Magaldi è solo «una pantomima», un gioco teatrale: «Nel momento in cui l’attuale maggioranza dicesse “ok, andiamo a votare”, temo che vedremmo la scenetta comica di questi che oggi gridano “al voto, al voto”, dire “ma no, resta un altro po’, così ti posso fare opposizione e posso scendere in piazza». Per cui, «nessuno scandalo, se la legislatura continua». Non ci sono in vista nemmeno coalizioni convincenti. Un’alleanza tra Lega e grillini? «Impossibile, sono concorrenti». Magaldi si dichiara «da tempo simpatizzante della prospettiva 5 Stelle». Ma, aggiunge, «la realtà concreta è un’altra. E finora è stata molto al di sotto della prospettiva». Soprattutto: «E’ inutile pensare che la soluzione dei problemi degli italiani sarà la durata del governo Gentiloni o l’ascesa al potere della Lega, di Grillo, del centrodestra, se nessuno di costoro si farà artefice del braccio di ferro con l’Ue». Magaldi vede la necessità di «un braccio di ferro cruento, politicamente duro, con cui si devono riscrivere i trattati europei». E insiste: «Se non si comincia da qui, non si va da nessuna parte. Bisogna che sia chiaro. Tutto il resto è latrare di cani e svolazzare di galline».«Non credete a quelli che gridano “al voto, al voto”: dicono così solo perché sanno benissimo che alle elezioni, tanto presto, non si andrà». Nessuno è sicuro di vincere, né tantomeno poi di saper governare. Qualcuno ce l’ha davvero, un piano? Parla in modo esplicito Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del “Movimento Roosevelt”: «La prima cosa che un premier italiano dovrebbe fare – dichiara Magaldi a “Colors Radio” all’indomani dell’incarico a Gentiloni – è tramutare in atti precisi quell’abbiare vano, alla luna, da parte di Renzi, “abbasso la tecnocrazia, abbasso l’Europa matrigna”». Abbaiare non basta, servono fatti: «Tipo: riconvocare a Ventotene la Merkel e Hollande, e dir loro: signori, se non rivediamo i trattati, l’Italia ne sospende la validità sul suolo italiano, torniamo alla lira e facciamo quello che ci pare». Magaldi lo afferma «da europeista convinto», che tifa per «un’Europa coesa», e soprattutto «democraticamente legittimata nelle sue istituzioni». Ma quello è il punto di partenza: stracciare i trattati Ue. «Tutto il resto non conta niente, se non c’è una riappropriazione della sovranità monetaria».
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Magaldi: Costituzione rovinata da Monti e becchini di Renzi
Dopo Renzi, tocca a Padoan? «Dalla padella alla brace: rappresenta il peggio della tecnocrazia reazionaria europea, quella che impone l’austerity ad ogni costo». Gioele Magaldi è fra i quasi 20 milioni di italiani che hanno votato No al referendum, ma non si associa al «teatro degli sciacalli», cioè «quelli che oggi festeggiano la caduta del premier dopo aver votato, tutti quanti, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione». Era il 2012: il Parlamento, con Monti, causò il massimo “vulnus” mai inferto alla Carta costituzionale: lo Stato costretto a “pareggiare i conti”, impossibilitato a fare investimenti strategici. Un macigno, che il referendum del 4 dicembre non ha neppure sfiorato. «Gli italiani? Dopo il referendum sono nella merda esattamente come prima, e scusate il francesismo», dichiara a “Colors Radio” Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere) che denuncia il ruolo occulto, nella politica, di 36 superlogge internazionali. Lo stesso Padoan – aggiunge Magaldi – è membro (con Massimo D’Alema) della “Pan-Europa” e della “Compass Star-Rose”, storica “Ur-Lodge” dell’ultra-destra, nel back-office del massimo potere, accanto alla “Three Eyes” di Kissinger (e Napolitano).Pier Carlo Padoan? Uno dei tanti marxisti “pentiti”, passati al fronte opposto: «Da estrema sinistra era critico di Keynes quando la sua visione dell’economia era marxista», racconta Magaldi. «Adesso continua a odiare Keynes, ma da neoliberista convinto, tecnocrate e massone reazionario». Un interprete rigidissimo dell’ordoliberismo Ue: «Uno dei grandi problemi del governo Renzi è che aveva il cane da guardia Padoan a vigilare che il governo italiano potesse muoversi secondo quel “pilota automatico” annunciato da Mario Draghi». Nessun dubbio: «Se c’è un personaggio che rappresenta il peggio della tecnocrazia continentale, la garanzia del fatto che non ci discosteremmo mai dal paradigma dell’austerity, quello è Padoan». Tra parentesi: «Quali benefici la sua azione avrebbe portato agli italiani durante la sua permanenza al dicastero dell’economia?». Sarebbe grave, sostiene Magaldi, se Padoan dovesse sostituire Renzi. Nella Ur-Lodge “Pan Europa”, ha scritto nel suo libro, Padoan è in compagnia di Emma Marcegaglia, Christine Lagarde del Fmi, lo spagnolo Mariano Rajoy, pesi massimi Ue come Jean-Claude Trichet e José Manuel Barroso. Senza contare i “confratelli” dell’altra superloggia, la “Compass Star-Rose”: da Vittorio Grilli, ministro dell’economia con Monti, a Manuel Valls, fino a Christian Noyer, governatore della banca centrale francese.Il povero Renzi? «E’ tutta colpa sua, paga per i suoi errori disastrosi», dice Magaldi. Il principale? «Il suo era sostanzialmente un bluff: ha fatto una riforma ridicola come il Jobs Act e si è limitato ad abbaiare contro Bruxelles, anziché chiedere all’Unione Europea di riscrivere le regole, innanzitutto, a cominciare proprio dal pareggio di bilancio». Ha solo e sempre “fatto finta”, Matteo: «Anziché imporre un’agenda diversa ha convocato a Ventotene Hollande e la Merkel, cioè gli esponenti del peggior potere tecnocratico del quale peraltro lo stesso Renzi ha cercato di far parte, chiedendo di essere accolto presso le superlogge conservatrici, anziché quelle progressiste». Politicamente morto? «Non è detto», anche se la botta è stata midiciale. «Ha comunque reagito alla disfatta con dignità e velocità, dimostrando di essere capace di risollevarsi». Forse, domani, lo aspetta «un’ultima chance per non essere solo una meteora», ma Renzi dovrebbe «passare dal bluff alla realtà», anche perché «con la sua capacità dialettica e col suo ritmo poteva battersi contro l’egemonia tecnocratica europea, anziché limitarsi a bluffare».Per l’Italia, oggi, Magaldi vede aprirsi «una fase di caos che può anche diventare feconda», a patto però che i vicitori del round referendario si mettano a “fare sul serio”. I grillini, per esempio: «Spero non facciano come a Roma, dove ancora aspettiamo di vedere il cambio di passo: sarebbe imbarazzante scoprire che le alternative a Renzi hanno la stessa attitudine al bluff», dice ancora Magaldi. Il Movimento 5 Stelle? E’ autentico: «Non nasce per fare “gatekeeping”», cioè solo per arginare la protesta sociale. «L’ispirazione è in buona fede», anche se «le infiltrazioni sono sempre possibili, e la corruzione degli intenti anche». Il movimento fondato da Grillo «ha un grabnde problema: non sa ancora che cosa deve fare da grande», sostiene Magaldi. «Sa come raccogliere il malcontento, ma finora non ha saputo tradurlo in un progetto preciso, con un paradigma preciso». E purtroppo «non sono convincenti nemmeno un po’ alcuni suoi leader», come Di Maio e Di Battista, che «sembrano sempre preoccupati di dire la frase ad effetto anziché proporre una narrazione sostanzialmente diversa rispetto a quella che abbiamo avuto sinora». Servirebbe una battaglia contro il pareggio di bilancio, per esempio. Del quale Padoan sarebbe il più severo guardiano.Dopo Renzi, tocca a Padoan? «Dalla padella alla brace: rappresenta il peggio della tecnocrazia reazionaria europea, quella che impone l’austerity ad ogni costo». Gioele Magaldi è fra i quasi 20 milioni di italiani che hanno votato No al referendum, ma non si associa al «teatro degli sciacalli», cioè «quelli che oggi festeggiano la caduta del premier dopo aver votato, tutti quanti, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione». Era il 2012: il Parlamento, con Monti, causò il massimo “vulnus” mai inferto alla Carta costituzionale: lo Stato costretto a “pareggiare i conti”, impossibilitato a fare investimenti strategici. Un macigno, che il referendum del 4 dicembre non ha neppure sfiorato. «Gli italiani? Dopo il referendum sono nella merda esattamente come prima, e scusate il francesismo», dichiara a “Colors Radio” Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere) che denuncia il ruolo occulto, nella politica, di 36 superlogge internazionali. Lo stesso Padoan – aggiunge Magaldi – è membro (con Massimo D’Alema) della “Pan-Europa” e della “Compass Star-Rose”, storica “Ur-Lodge” dell’ultra-destra, nel back-office del massimo potere, accanto alla “Three Eyes” di Kissinger (e Napolitano).
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Il paese scoppia? Ora se ne ‘accorgono’ anche Tv e giornali
Con un’affluenza massiccia e una percentuale schiacciante di “No”, «l’elettorato ha svelato l’esistenza nel nostro paese di un popolo della rivolta», quello che i media mainstream hanno accuratamente evitato di rappresentare. Un “popolo” che «ha bocciato la riforma della Costituzione, il presidente del Consiglio e l’establishment di governo». A votare contro Renzi, scrive Maurizio Molinari sulla “Stampa”, «sono state le famiglie del ceto medio disagiato, impoverito dalla crisi economica, senza speranze di prosperità e benessere per figli e nipoti», ma anche «i giovani senza lavoro, gli operai che si sentono minacciati dai migranti e gli stipendiati a cui le entrate non bastano più». È un “popolo della rivolta”, espressione dello stesso disagio che in Gran Bretagna ha prodotto la Brexit e negli Usa ha incoronato Trump. Caduta l’illusione-Renzi, ora bisogna «dare in fretta risposte chiare alle crisi all’origine della protesta del ceto medio», massacrato dal rigore imposto da Bruxelles e inasprito a partire dal governo Monti, che i giornali – compreso la “Stampa” – solo pochi anni fa accolsero come il salvatore del paese.Contrordine, a quanto pare: anziché i tagli senza anestesia della riforma Fornero «serve un nuovo welfare per le famiglie in difficoltà», scrive oggi il direttore del quotidiano torinese, di fronte alla catastrofe dell’evidenza. Lo stesso Molinari utilizza ancora il lessico renziano, dice che bisogna «far ripartire» l’Italia. Già, ma come? «Non basta un nuovo governo», concede il direttore della “Stampa”: «Bisogna rispettare il popolo della rivolta e rispondere alle sue istanze». Sulle stesse pagine, un osservatore come Mattia Feltri ammette che «ha vinto la gente, il mare di gente che non si fida più». Si tratta di gente «molto ben disposta verso l’inverosimile e diffidente verso il verosimile», secondo Feltri, «per intima ed esasperante convinzione che là fuori c’è qualcuno che lavora alla sua infelicità, perché manca il lavoro, perché si indeboliscono le garanzie, per invidia sociale, perché l’investimento in banca è andato storto, perché ci sono i poteri forti, perché c’è l’Europa, perché c’è una classe dirigente che in quanto tale campa sulla pelle delle periferie, fisiche o esistenziali». Comune denominatore, il «rifiuto feroce dell’establishment farabutto, una condizione che non riguarda soltanto l’Italia, come raccontano di recente la Brexit e Donald Trump».Eppure non è piovuto dal nulla, lo tsunami, anche se i giornalisti oggi se ne meravigliano. Non una recensione, sui media mainstream, dell’esemplare saggio “Il più grande crimine”, in cui Paolo Barnard – giornalista maiuscolo – ricostruisce la genesi dell’inevitabile disastro euro-Ue. Silenzio anche su voci “eretiche” ma terribilmente profetiche come quelle dell’economista Nino Galloni, secondo cui, semplicemente, il sistema-euro equivale in modo matematico al declino italiano. Non un articolo, sui grandi giornali, neppure sul libro “Massoni” di Gioele Magaldi, dove alcune eminenze grigie della super-massoneria internazionale definiscono gli italiani «bambinoni deficienti», capace di accogliere col tappeto rosso «i tre commissari che gli abbiamo inviato, nell’ordine: Monti, Letta, Renzi». Fuori dal coro dei “chi l’avrebbe mai detto?”, si segnala “Il Giornale”, che indica in Giorgio Napolitano l’altro grande sconfitto del 4 dicembre: l’ex capo dello Stato, scrive Gian Maria De Francesco, «s’era abituato a trattare Palazzo Chigi come una propria dépendance, insediandovi l’uomo che ha messo in ginocchio il paese a suon di tasse, condannandolo a una recessione dalla quale ancor oggi fatica a tirarsi fuori nonostante la spesa in deficit di Renzi sotto forma di mance e mancette varie».Per denigrare i 5 Stelle, alla vigilia del voto Napolitano s’era spinto oltre le colonne d’Ercole: «Non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite», aveva detto. «Alla faccia della democrazia e della Costituzione», chiosa De Francesco. Ci si era messo anche l’anziano Eugenio Scalfari: prima della democrazia c’è l’oligarchia, perché il popolo non sa governarsi da solo. Parole nelle quali risuona l’eco della “sinarchia”, la forma di governo evocata a fine ‘800 dall’influente esoterista francese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, come ricorda Gianfranco Carpeoro nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Il potere quasi religioso dell’oligarchia “illuminata”: ieri, contro la marea montante del socialismo e dell’anarchismo. Oggi invece la rivolta (solo elettorale) corre via smartphone. Il “popolo” è esasperato? Se ne sono accorti persino loro, i giornalisti. Ben attenti, comunque – ancora – a non dare la parola a chi questa crisi l’aveva annunciata, con anni di anticipo, spiegandone le ragioni nei minimi dettagli. Uno su tutti: senza più sovranità, un paese crolla. Senza la disponibilità di una moneta pubblica crollano il bilancio, l’economia, l’occupazione. A crescere sono solo le tasse e il debito. Ma non è una notizia, è una legge (dell’economia). A proposito di leggi, l’Italia invece ha inserito nella propria Costituzione – così enfaticamente difesa il 4 dicembre – il pareggio di bilancio, cioè la morte clinica dello Stato come soggetto garante del benessere della comunità nazionale.Con un’affluenza massiccia e una percentuale schiacciante di “No”, «l’elettorato ha svelato l’esistenza nel nostro paese di un popolo della rivolta», quello che i media mainstream hanno accuratamente evitato di rappresentare. Un “popolo” che «ha bocciato la riforma della Costituzione, il presidente del Consiglio e l’establishment di governo». A votare contro Renzi, scrive Maurizio Molinari sulla “Stampa”, «sono state le famiglie del ceto medio disagiato, impoverito dalla crisi economica, senza speranze di prosperità e benessere per figli e nipoti», ma anche «i giovani senza lavoro, gli operai che si sentono minacciati dai migranti e gli stipendiati a cui le entrate non bastano più». È un “popolo della rivolta”, espressione dello stesso disagio che in Gran Bretagna ha prodotto la Brexit e negli Usa ha incoronato Trump. Caduta l’illusione-Renzi, ora bisogna «dare in fretta risposte chiare alle crisi all’origine della protesta del ceto medio», massacrato dal rigore imposto da Bruxelles e inasprito a partire dal governo Monti, che i giornali – compreso la “Stampa” – solo pochi anni fa accolsero come il salvatore del paese.
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Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
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Addavenì Roosevelt, ma per ora ci sono i padroni di Matteo
Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo. Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi. Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona. Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato. E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio. Ma è solo un esecutore, Matteo. Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire. Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”. Dimon e Larry Fink, di BlackRock. E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera. E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri. “Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.Tutti a sparare contro Gelli, dice Gioele Magaldi, e nessuno che dica – a parte lui – che nello stesso anno in cui Berlusconi entrava nella P2, Napolitano veniva affiliato alla “Three Eyes”, la potentissima Ur-Lodge plasmata da personaggi come Kissinger e Rockefeller. Proprio alla “Three Eyes”, dice sempre Magaldi (massone progressista), il giovane Matteo sta tuttora “bussando”, sperando di essere accolto – nella “Three Eyes”, faro storico della destra massonica mondiale, ma anche presso altri «circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», come le superlogge “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Compass Star-Rose” e “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, il terribile Wolfgang Schaeuble. Sono informazioni ormai accessibili al pubblico: Magaldi le ha inserite nel suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere, che i media mainstream hanno evitato di recensire. «Non c’è la documentazione di quanto si afferma», ha detto qualcuno. Magaldi ha sempre risposto prontamente: «Ho a disposizione 6.000 pagine di documenti, se qualcuno dubita della veridicità di quanto ho lo scritto me lo dica, gli dimostrerò che si sbaglia». Silenzio assoluto, naturalmente.Tornando a Matteo: ha avuto buon gioco nel liquidare Letta («che è un esponente dell’Opus Dei», dichiara un altro analista di appartenenza massonica, Gianfranco Carpeoro, autore del dirompente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, pubblicato da Uno Editori). Lo stesso Carpeoro aggiunge: quei “salotti” non lo vogliono, Renzi, perché allarmati – persino loro – dalla straordinaria disinvoltura del fiorentino, troppo privo di scrupoli (“Enrico stai sereno”) persino per i super-squali del massimo potere. Fatto fuori brutalmente Letta, Renzi ha illuso anche Berlusconi, facendosi credere disponibile a condividere il ridisegno strutturale del paese, dalla Costituzione alla legge elettorale. E, prima ancora, aveva bruciato sul traguardo il pessimo Bersani, inchiodato da Grillo alla “non-vittoria” del 2013. Bersani, ovvero: l’emblema della sinistra “politically correct” che ha dato a intendere agli italiani, per vent’anni, che il problema del paese era Berlusconi, e non la svendita dell’Italia ai super-padroni stranieri che manovrano i tecnocrati di Bruxelles, utilizzando l’abortita Unione Europea per svalutare le economie del Sud Europa, deindustrializzare, delocalizzare, demolire i diritti, far crollare il Pil, far esplodere il debito, ridurre l’ex classe media all’esasperazione che sta dietro al successo di Marine Le Pen e Donald Trump.I tempi stanno per cambiare? Forse, e non solo negli Usa. Lo disse, mesi fa, una delle più importanti eminenze grigie del “back office” super-massonico del potere americano, Zbigniew Brzezinki, già consigliere di Carter e stratega della globalizzazione. Ammonì Obama e la Clinton: basta provocazioni, è tempo di un accordo stabile con Russia e Cina. Su un altro piano, a queste dichiarazioni fa ora eco un altro super-potente, il francese Jacques Attali, già braccio destro di Mitterrand e “maestro” di Massimo D’Alema. L’epoca dell’austerity è finita, ha detto, ed è stata una catastrofe per l’Europa. Serve un nuovo Roosevelt che cambi faccia al vecchio continente, tornando a investire sulla spesa pubblica per produrre posti di lavoro. Sembra di sognare: nato come socialista, Attali divenne uno dei massimi artefici della politica neo-conservatrice che ha devastato l’Europa, da Maastricht in poi, precipitando nella crisi i paesi dell’Eurozona. Ora Attali ci ripensa: abbiamo sbagliato tutto, ammette. Nel suo piccolo ha sbagliato tutto anche Matteo, ultimamente, facendosi benedire dal tandem morente Obama-Hillary.Si mette male, per il referendum renziano? Chi può dirlo. Certo è che non esiste ancora un piano-B. Da una parte la Merkel e Juncker a puntellare la tecnocrazia della crisi, dall’altra l’esplosione dei cosiddetti populismi. Al povero Matteo, gli italiani credono sempre meno – e a milioni correranno a votare, anche solo per cancellargli dalla faccia il suo trionfalismo ipocrita e provinciale, ormai grottesco. Ma dov’è l’alternativa? Dov’è il nuovo Roosevelt di cui parla l’anziano Attali? Secondo un sondaggio commissionato dalla “Stampa”, due italiani su tre hanno paura di abbandonare sia l’euro che l’Unione Europea, non riconoscendo né l’uno né l’altra come le vere cause del disastro che subiscono, tra aziende chiuse, lavoratori a spasso, super-tassazione, erosione dei risparmi, zero futuro. Di fronte c’è un Everest praticamente invalicabile, la disinformazione sistemica: il debito pubblico è visto ancora come una colpa, anziché una leva di sviluppo. Le élite ci hanno lavorato per decenni: media, università, libri. Sfugge, al cittadino comune, il valore decisivo della sovranità statale. Non gliel’hanno spiegato né i sindacati né la sinistra di Bersani e quella di D’Alema, che andava a scuola da Attali quando ques’ultimo progettava l’annientamento dell’Europa. Restano i 5 Stelle, dice qualcuno. I 5 Stelle, appunto. Il nuovo Roosevelt può attendere.Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo. Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi. Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona. Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato. E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio. Ma è solo un esecutore, Matteo. Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire. Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”. Dimon e Larry Fink, di BlackRock. E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera. E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri. “Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.
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Carpeoro: Renzi è finito. E’ solo, nessuno si fida più di lui
Napolitano è stato il garante di Renzi nei confronti del sistema economico-finanziario europeo e degli altri capi di Stato: nessuna sorpresa, quindi, che oggi si schieri con Renzi. Ma il problema è che il referendum è solo lo strumento per far fuori Renzi. E un sostituto di Renzi già pronto in realtà non c’è, neanche il leader grillino Di Maio. Quindi passerebbe un altro annetto: prima di eliminarlo vogliono che Renzi rantoli, per un bel po’ di tempo. E Napolitano, che è stato il suo garante nazionale e internazionale, non ci sta. Ma questo cosa cambia? Il voto del 4 dicembre non cambia niente, gli italiani sono destinati a subire le stesse cose che subivano prima del referendum. Le cose cambieranno solo per Renzi. Perché anche il potere, nel senso più deteriore del termine, richiede una rete di complicità. E Renzi ha commesso un errore: al di là del sostegno che gli ha dato Napolitano, in questo momento è politicamente solo. Non ha più nessuna complicità: i possibili complici li ha “solàti” tutti. Berlusconi, Letta, D’Alema, Bersani: non ha mantenuto nessuno degli impegni che, con loro, aveva preso verbalmente. E quindi adesso è drammaticamente solo, sta precipitando in un dirupo e non trova nessun appiglio per fermare la caduta.Anche la gestione più deteriore possibile del potere richiede una rete di connivenze e di complicità, e Renzi queste connivenze e complicità non le trova più da nessuna parte: non è stato neanche creduto sul fatto di cambiare la legge elettorale. La gente, ormai, prima di credere a un impegno fatto verbalmente da Renzi gli dice “vabbè, fatti un’ipoteca sulla casa, firma una cambiale, e vediamo se lo mantieni”. Perché nessuno si fida più di Renzi. Avendo “solàto” tutti i possibili complici, in questo momento è assolutamente solo. Ora, nel leader di potere, questo tipo di solitudine crea un cambiamento nell’assetto psicologico: nella disgrazia, ti senti perdente perché la gente non si fa più trovare al telefono. Oggi lo spettro della sua (probabile) sconfitta non riesce più a inquadrarlo, anche perché ha motivo di temere la stessa vittoria: anche se vince, continua a non avere più la possibilità di avere delle complicità. Potrà giocarsela alle elezioni, tra un anno, ma ci deve arrivare: e sarà dura. Sta toccando con mano che probabilmente si è messo in un cul de sac dal quale non troverà vie d’uscita, perché la fiducia dei suoi possibili complici non la ritroverà più. Non ha più energia, né forza. E la gente l’ha percepito, l’isolamento di Renzi. Ormai lo vede con occhi diversi: le stesse cose che fa non hanno più lo stesso peso. E una persona totalmente isolata, dove va?Renzi, di suo, non ha nessuna voglia di entrare nella massoneria. Voleva entrare nel circolo internazionale delle Ur-Lodges, che è cosa diversa – voleva entrare soprattutto nel circuito di quelle conservatrici, perché in quelle progressiste non si è neanche peritato di provare a entrare. Siccome il circolo delle Ur-Lodges gli ha detto “no, prima devi diventare massone, poi vediamo la tua posizione”, lui allora ha cercato di entrare nella massoneria italiana. Ma è stata una scusa, da parte delle Ur-Lodges, perché tante volte hanno ammesso gente che non era nella massoneria, non erano iniziati massoni, e altre volte hanno fatto iniziazioni massoniche fittizie in logge di comodo per far entrare qualcuno. Quindi Renzi ha bussato anche alle porte della massoneria italiana tradizionale solo perché gli era stata data quella risposta. Il problema è che anche la massoneria italiana tradizionale, pur nello stato in cui è messa adesso, gli ha risposto picche. Perché Renzi non aveva garanti: non aveva nessuno che garantisse per lui. Persino Napolitano, che ha accettato di fargli da garante politico, si è rifiutato di fargli da garante massonico, o para-massonico. E questo perché? Perché si era già alterata la fiducia personale, in Renzi.Il garante, in massoneria si chiama “fratello presentatore”: qualcuno ti deve presentare, per entrare in massoneria. Devi averlo, un “fratello presentatore”, che è responsabile di te. Se presenti una persona sbagliata è un errore grave, che pregiudica anche la valutazione del “fratello presentatore”: nel senso che, un domani, se questo “fratello presentatore” deve concorrere per fare il “venerabile” di una loggia, il parere di quelli che servono perché lui faccia il “venerabile” può essere negativo: se non hai saputo giudicare uno, puoi non saper giudicare una loggia intera. Oggi, peraltro, nel 90% dei casi si entra in qualcosa che non coincide più con la dottrina, con le tradizioni e con lo schema originario della massoneria, che era vocato all’evoluzione spirituale. Oggi la massoneria diventa quello che conviene al potere del posto, nella migliore delle ipotesi diventa una specie di Rotary o Lions, oppure diventa funzionale a schemi di malaffare, o a esigenze politiche – tutto diventa, meno che la cosa originaria.Renzi è uno che non mantiene gli impegni: e questo, pure tra i delinquenti, è un difetto grave. Renzi è uno che non mantiene la parola; si è diffusa, questa cosa. L’aura di entusiastico consenso popolare che lo ha circondato all’inizio, nei settori non popolari era già incrinata, per le modalità con cui ha preso il posto di Letta e le modalità con cui ha praticamente raggirato Berlusconi e lo stesso D’Alema, che all’inizio lo aveva appoggiato perché gli aveva promesso un posto da commissario europeo che poi non gli ha dato. Anche tra persone equivoche funziona così: se lo fai una volta ti possono perdonare, ma se lo fai sempre la gente ragiona e pensa “lo farà anche con me”. Quindi in questa maniera Renzi si è isolato, tutti i suoi problemi dipendono dall’isolamento totale che ha attorno: nessuno si fida più di lui, né quelli che non sono come lui (che sono tanti e, purtroppo, passivi), né quelli che sono come lui.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta streaming del 27 novembre 2016, su YouTube).Napolitano è stato il garante di Renzi nei confronti del sistema economico-finanziario europeo e degli altri capi di Stato: nessuna sorpresa, quindi, che oggi si schieri con Renzi. Ma il problema è che il referendum è solo lo strumento per far fuori Renzi. E un sostituto di Renzi già pronto in realtà non c’è, neanche il leader grillino Di Maio. Quindi passerebbe un altro annetto: prima di eliminarlo vogliono che Renzi rantoli, per un bel po’ di tempo. E Napolitano, che è stato il suo garante nazionale e internazionale, non ci sta. Ma questo cosa cambia? Il voto del 4 dicembre non cambia niente, gli italiani sono destinati a subire le stesse cose che subivano prima del referendum. Le cose cambieranno solo per Renzi. Perché anche il potere, nel senso più deteriore del termine, richiede una rete di complicità. E Renzi ha commesso un errore: al di là del sostegno che gli ha dato Napolitano, in questo momento è politicamente solo. Non ha più nessuna complicità: i possibili complici li ha “solàti” tutti. Berlusconi, Letta, D’Alema, Bersani: non ha mantenuto nessuno degli impegni che, con loro, aveva preso verbalmente. E quindi adesso è drammaticamente solo, sta precipitando in un dirupo e non trova nessun appiglio per fermare la caduta.
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Magaldi: serve un’Italia che esca dall’orrore di questa Ue
L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.Quindi, da un lato abbiamo Jean Monnet che scrive il discorso di Robert Schuman che inaugura appunto una traiettoria economicistica dell’Europa, e dall’altro abbiamo il progetto di Coudenhove-Kalergi, che negli anni ‘20 e ‘30 era stato un progetto vago, generico, a cui avevano aderito anche progressisti – si parlava di Europa unita in un contesto in cui c’era il nazismo e l’idea di un’Europa davvero triste e tarata su una serie di disvalori, quindi l’appello all’Europa unita sembrava un appello contro la barbarie fascio-nazista. Invece, poi, Coudenhove-Kalergi negli anni ‘40 ha chiarito meglio il suo progetto: una sorta di neo-feudalesimo, dove al posto dei feudatari di epoca medievale ci sono i tecnocrati, in una scala gerarchica che li pone al di sopra di qualunque sovranità popolare. Questa sorta di ideologia neo-feudale e la declinazione economicistica si saldano insieme e portano a che cosa? Lo vediamo: portano a un’Europa che tutto è, tranne che unita sotto il proprio governo continentale. E’ solo un equilibrio di nazioni. Questi soggetti, che hanno costruito questa Europa, sono nemici di qualunque valore europeo. La loro Europa è come la loro democrazia: la si propone come retorica, ma non la vive come sostanza.Lo dico a chi si dice anti-europeista o contro l’Europa: l’Europa non c’è mai stata. Come si fa a essere contro qualcosa che non c’è? Non esiste nessun livello continentale, legittimato democraticamente, che conti davvero. Il Parlamento Europeo è un organo stucchevole, limitatissimo nei poteri. La Commissione Europea è un consesso di cicisbei, che non fanno altro che eseguire i dettami e rispettare i limiti imposti della Banca Centrale Europea, e per il resto le nazioni si guardano in cagnesco e fanno, ciascuna, quelli che sembrano interssi nazionali ma in realtà non lo sono: sul medio-lungo periodo, anche la nazione che sembra aver lucrato di più da questa Disunione Europea, la Germania, avrà dei grossi problemi, perché sta venendo meno la capacità di consumo, stanno morendo i ceti medi, in Europa, e quindi la Germania avrà anche problemi con le sue esportazioni, su cui ha tanto puntato. La cancelleria tedesca – tramite Angela Merkel, anche lei “libera muratrice” di circuiti oligarchici – è anch’essa ostaggio di quegli stessi gruppi sovranazionali che puntellano questa globalizzazione, dove non si globalizza il diritto di ciascuno a una vita dignitosa, anche sul piano economico.E’ una globalizzazione dove, oltretutto, le carte sono truccate, perché evidentemente si può competere e liberalizzare il commercio tra le diverse produzioni solo se si gioca con le stesse regole: se tu “giochi” in un paese dove si tutela il lavoro, mentre in altri paesi il lavoro è di tipo neo-schiavistico, c’è qualcosa che non funziona. L’obiettivo di ogni sincero progressista è quello di ripristinare la coscienza della democrazia. Invece ho osservato con raccapriccio che la maggior parte degli italiani non sa nemmeno per che cosa va a votare, a questo referendum costituzionale. Forse, se vogliamo essere degni di sovranità, se vogliamo poterci lamentare a buon diritto di quella espropriazione di sovranità, di benessere e di diritti che imputiamo ai nostri governanti a livello nazionale, a Bruxelles e in altre parti del mondo, forse dovremmo iniziare a informarci un po’ di più. Abbiamo bisogno di pedagogia politica, di informarci meglio sul mondo in cui viviamo, altrimenti saremo sempre manipolati, o vittime di questo scontro insensato, tra “buoni e cattivi”, spesso alimentato dagli stessi burattinai che ci svuotano di diritti e di democrazia. E’ una visione un po’ complottistica: c’è un’élite maligna che governa il mondo, un’élite demo-pluto-giudaico-massonica. Ma le cose non stanno così.La massoneria è stata la principale artefice delle libertà, della sovranità popolare, della democrazia e anche della nostra possibilità di criticare il potere, oggi – la libertà di critica, di espressione, di giornalismo. Con i coniugi Roosevelt, la massoneria è stata anche un faro, nel ‘900, di difesa di questa libertà e democrazia contro la barbarie nazifascista. Poi è stata anche alla base della New Frontier kennedyana, cioè di quel sogno – interrotto con le uccisioni dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King – di una Great Society, che in parte Lyndon Johnson riuscì a realizzare, continuando il progetto kennedyano (e cioè: estendere sempre più diritti, possibilità di istruzione e mobilità sociale, a vaste fette della popolazione). Tutto questo si è interrotto. Dagli anni ‘70, il faro che ha illuminato in senso tenebroso la società mondiale è stato quell’idea enucleata in “The crisis of democracy” (di Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki), un libello che contiene i fondamenti di questa idea secondo cui troppa democrazia “fa male”.Se lo dissero i massoni reazionari della “Three Eyes”, che commissionarono quel testo alla Trilateral Commission: la democrazia va limitata. Quello è un testo di più di quarant’anni fa, però noi ne viviamo oggi tutte le conseguenze. Per capire questo non basta protestare, non basta avercela con la casta, con i corrotti, con i cattivoni, con la finanza – la finanza è uno strumento, come il denaro: non è né buono né cattivo, dipende da come lo si gestisce. Noi abbiamo bisogno di un mondo in cui la politica torni a essere preminente sull’economia e sulla finanza, e in cui economia e finanza collaborino per garantire prosperità a tutti e a ciascuno.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per la video-intervista “Dietro a Donald Trump, le trame della massoneria progressista”, pubblicata da “ByoBlu” l’11 novembre 2016. Massone progressista, già gran maestro della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, Magaldi ha fondato l’associazione Grande Oriente Democratico, è stato affiliato alla superloggia internazionale Thomas Paine e ha fondato il Movimento Roosevelt, organismo meta-partitico che si propone di sollecitare un profondo risveglio sovranista della politica italiana. E’ autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere, nel quale denuncia lo strapotere di 36 Ur-Lodges a carattere apolide, alcune delle quali coinvolte nel disegno geopolitico neo-feudale e nella strategia della tensione internazionale, dall’11 Settembre all’Isis. Nell’intervista su “ByoBlu”, Magaldi dichiara anche che Matteo Renzi sarebbe «tuttora “bussante” presso circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», dalla “Three Eyes” in cui militerebbe anche Giorgio Napolitano, ad altre superlogge come la “Pan-Europa”, la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose” e la “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble).L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.