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Diritti o stipendio: il lavoro nel 2010 secondo Marchionne
Fuori dal lavoro chi osa protestare: o si accettano senza discutere le nuove regole imposte, o la fabbrica chiude i battenti – perché fallisce, schiacciata dal peso del proprio clamoroso insuccesso industriale, o ritenta la fortuna in paesi in cui la prestazione d’opera costa molto meno, anche perché nessuno tutela i lavoratori. Questo il senso dell’amara vicenda maturata alla Fiat per il rilancio (finora solo e sempre ventilato) dello storico stabilimento torinese di Mirafiori. Archiviare il contratto nazionale dei metalmeccanci nella fabbrica simbolo dell’industria italiana equivale al crollo di una diga: da Mirafiori in giù, qualsiasi azienda ora potrebbe imporre nuove regole, cancellando decenni di tutele sindacali.
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Rivoluzione culturale: unire movimenti e battaglie civili
Un nuovo soggetto politico, l’unico che rifiuti in partenza il presupposto che accomuna destra e sinistra: la crescita. «Il momento è maturo», afferma Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice. Obiettivo: una piattaforma comune per unire i movimenti che stanno sorgendo in tutta Italia a difesa dei territori minacciati. Oltre ad ogni singola battaglia locale, c’è una visione precisa: va bocciato l’attuale modello di sviluppo. Bisogna offrire un orizzonte diverso, di grande respiro culturale: strategie per un futuro praticabile, non più assediato dai disastri e dalle continue crisi provocate dal dogma della crescita industriale infinita, che sta portando il mondo al collasso terminale.
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Super-banchieri: un club di delinquenti decide tutto
A proposito di complottisti: dedichiamo questo commento a Pigi Battista e a tutti quelli che sostengono sempre, invariabilmente, le versioni ufficiali. Adesso ne abbiamo una nuova, quasi ufficiale ma, sfortunatamente, complottista al cento per cento. E’ del New York Times, e scommetto un milione di euro che né Pierluigi Battista, né Riotta, né De Bortoli, né nessun altro di questa risma ne parlerà ugualmente, anche se viene dal New York Times. Sembra una favoletta: ci sono nove-banche-nove, che si riuniscono una volta al mese da qualche parte a Manhattan, per decidere quanti milioni di disoccupati creare, quanta gente ridurre alla disperazione, quanti bambini devono morire di fame – in Africa, in Asia, non importa dove.
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Metà della ricchezza italiana in mano al 10% delle famiglie
Metà della ricchezza italiana è in mano al 10% delle famiglie. E’ Bankitalia a scattare la fotografia della ricchezza nazionale: i dati sono fermi al 2008, quando ancora la grande crisi non aveva messo in difficoltà milioni di italiani. Le cifre mostrano un forte disequilibrio: dispone di solide risorse, l’equivalente del 45% delle ricchezze nazionali, soltanto un cittadino su dieci. Se il patrimonio netto di 8.600 miliardi (in media col resto dell’Occidente) fosse suddiviso tra i 24 milioni di famiglie, ciascun nucleo familiare avrebbe a disposizione 358.000 euro. In realtà, la differenza sta nella distribuzione: oltre un milione e mezzo di euro per una famiglia su dieci, mentre la metà delle famiglie – fra case, terreni e beni intestati – può contare soltanto su 70.000 euro.
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Politica onesta, contro la violenza della disperazione
In piazza va in scena la disperazione della violenza quando la politica fallisce: la distanza fra istituzioni e società ha raggiunto il massimo livello di allarme, come documentano gli scontri del 14 dicembre a Roma. La compravendita di parlamentari che ha confermato la fiducia a Berlusconi e il fallimento delle manovre di palazzo per scalzarlo dal potere hanno mostrato un nuovo livello di degrado e inefficacia della politica istituzionale. Crisi, lavoro, precarietà, scuola e università, tagli alla spesa: tutto oscurato dagli scontri con la polizia. In piazza, preoccupa il “tifo” per i violenti: una tentazione che nasce dall’orrendo spettacolo che viene dal palazzo, dalla frustrazione per una giornata di protesta senza sbocco né gestione, dal vuoto di politica che oggi misuriamo.
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Annozero, rissa: gli studenti non condannano la violenza
Quei poliziotti asserragliati a difesa del Palazzo e tempestati di lanci di pietre? «Erano lì per difendere l’indegna compravendita dei voti che si stava svolgendo alla Camera il 14 dicembre». Questa la posizione della delegazione studentesca ospite di “Annozero”: due giorni dopo i gravi disordini di Roma, gli studenti invitati alla trasmissione di Michele Santoro non prendono le distanze dal ricorso alla violenza che ha poi provocato la reazione della polizia antisommossa. Scontro al calor bianco in studio col ministro Ignazio La Russa, che zittisce uno studente chiamandolo «vigliacco», e l’ex pm Antonio Di Pietro, pronto a dare del «fascista» al ministro della difesa.
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La polizia: la crisi è sociale, non spetta a noi risolverla
Gli agenti antisommossa chiamati a tappare le falle che si aprono ormai quasi ogni giorno nella società, a causa della latitanza della politica in un momento così difficile. Lo afferma il capo della polizia, Antonio Manganelli, intervistato da “L’Unità”: «Le tensioni nel paese sono in forte crescita e in questo quadro di instabilità politica ed economica le forze dell’ordine sono chiamate ad un improprio ruolo di supplenza». Testualmente: paese instabile e polizia impropriamente supplente. «Per quanta stima si possa avere della persona di Manganelli – scrive la direttrice Concita De Gregorio – non è mai un bel momento, per usare un eufemismo, quello in cui la polizia è costretta a fare da supplente alla politica».
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Macché regia occulta, apriamo gli occhi sulla rivolta
Per favore, lasciamo perdere le ciance sui Black Bloc, gli infiltrati e la teoria della regia occulta incaricata di criminalizzare la protesta. Più che di dietrologia, abbiamo bisogno di aprire gli occhi: la ribellione degli studenti è autentica e la loro rabbia è un fenomeno di massa, non un trucco da professionisti della violenza, magari manipolati dalla questura. Parola del professor Franco Piperno, leader di “Potere Operaio” e oggi docente all’Università della Calabria. Protagonista della storica contestazione studentesca del ’68, Piperno oggi non ha dubbi: gli studenti in rivolta denunciano «la menzogna collettiva che passa attraverso giornali e tv», che si guardano bene dal raccontare «la reale condizione degli italiani», a cominciare dai più giovani.
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Bufera sul Kosovo: traffico d’organi, 470 scomparsi
Predatori di organi, espiantati dal corpo di prigionieri serbi. L’accusa coinvolge l’attuale premier kosovaro Hashim Thaci, già leader dell’Uck, ora sospettato di essere un gangster travestito da politico. All’indomani delle prime elezioni legislative del Kosovo indipendente, divenuto area-rifugio per cartelli criminali, una bomba a orolgeria si infrange sulla già contestatissima vittoria del riconfermato Thaci, accusato dal dossier che il deputato svizzero Dick Marty presentarà al Consiglio d’Europa sul presunto traffico di organi a danno di quasi 500 prigionieri di guerra. Nell’estate 1999, terminato il conflitto serbo-kosovaro, l’Uck avrebbe fatto sparire prigionieri in una località segreta nel nord dell’Albania espiantandone gli organi, dopo averli sottoposti a «trattamenti inumani e degradanti».
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Roma brucia: la rabbia di una generazione abbandonata
Brucia piazza del Popolo, bruciano le strade di Roma, brucia la rabbia di decine di migliaia di studenti quando alle 13,41 viene annunciato il voto di fiducia a Berlusconi. Hai voglia di dire che tanto quello lì ha perso politicamente: i simboli sono importanti. E quella maledetta legge Gelmini fermata dalla rivolta delle scuole e delle università ora torna in campo. I tre voti che salvano il governo cancellano definitivamente la fiducia della piazza nella politica, cancellano il futuro di una generazione. E ne condannano un’altra alla precarietà. La stessa rabbia degli operai metalmeccanici arrivati da Padova o da Pomigliano che vedono il modello sociale di Marchionne puntare contro di loro come come i blindati della Polizia e della Finanza. Vedono tornare il panzer Sacconi lanciato a bomba contro lo Statuto dei lavoratori.
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Destra e sinistra? Ma no: prostituzione e bande di potere
«Quando voi entrate nell’aula dei rappresentanti a Washington, restate colpiti dall’aspetto volgare di questa assemblea. Invano vi cerchereste un uomo celebre, quasi tutti i suoi membri sono oscuri personaggi il cui nome non vi dice nulla. Si tratta generalmente di avvocati di provincia, di commercianti o anche di uomini appartenenti alle infime classi». Così nel 1835 descriveva la democrazia rappresentativa Alexis de Tocqueville che pur di questo sistema è considerato uno dei padri. Ma forse al nostro Parlamento si adatta di più un’altra pagina di Tocqueville, in cui parla di «un’accozzaglia di avventurieri o di speculatori» e aggiunge: «Si resta assai stupiti nel vedere a quali mani sia affidato il potere pubblico e ci si domanda per quale forza indipendente dalla legge e dagli uomini lo Stato possa prosperare».
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Organizzare il coraggio: l’amara lezione di Pino Màsciari
Aveva un lavoro, una casa, la sua terra. A nemmeno trent’anni era già un imprenditore affermato, nel ramo edilizio. Fatturati alle stelle, più di 200 dipendenti, un avvenire florido. Poi, l’inizio della maledizione: il racket del “pizzo”. «Ho sempre dato lavoro a tutti, fatto lavorare anche altre aziende nei miei cantieri. Ma il pizzo, no». Non solo non l’ha pagato, ma ai “picciotti” ha risposto a muso duro: «Io vi denuncio, vi mando in galera». Piccolo dettaglio geografico: tutto questo è avvenuto in Calabria. I “picciotti” erano affiliati alla ‘ndrangheta, e l’imprenditore da quel giorno ha praticamente smesso di vivere. Non è stato ucciso: è stato fatto scomparire. Non dalla mafia calabrese, ma dallo Stato. “Testimone d’ingiustizia”, lo ha ribattezzato lo storico Nicola Tranfaglia.