Archivio del Tag ‘disinformazione’
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Sgonfiare il malcontento: è la truffa delle larghe intese
Cosa sarebbe successo se in questi due anni di larghe intese ci fosse stato un governo Berlusconi o un governo Bersani? Siamo usciti dal G8, è esploso il debito pubblico, sono state amputate le pensioni, è cresciuta la pressione fiscale, hanno chiuso decine di migliaia di piccole aziende e i disoccupati sono ormai 6 milioni. Se quello che ha fatto Monti l’avesse fatto il Cavaliere, credete che il Pd sarebbe rimasto silente, insieme alla Cgil e i media “amici”, dalla “Repubblica” fino a Fazio e Ballarò? Viceversa, se i pessimi risultati del governo Letta-Brunetta fossero stati frutto di un governo Pd, i media di Berlusconi sarebbero stati così accondiscendenti o avrebbero “gonfiato” la crisi, intervistando licenziati e imprenditori disperati? Nulla di questo è accaduto, dice Massimo Ragnedda, perché – grazie ai governi di unità nazionale, tecnici e non – nessuno ha interesse a cavalcare la protesta, perché Pd e Pdl di fatto hanno le stesse responsabilità. Vero risultato: addormentare il paese, bloccando sul nascere la protesta.«Se il malcontento non ha voce la protesta si sgonfia, o meglio non nasce», scrive Ragnedda su “Tiscali Notizie”. Aumentano la rassegnazione, la sfiducia nei confronti delle istituzioni e della classe politica, così come «la disaffezione, il qualunquismo del “son tutti uguali”». E, naturalmente, l’astensionismo. «Aumentano pertanto i margini di manovra di chi impone, lontano dai riflettori e lontano dalle scelte democratiche, le regole che i governi “devono” seguire». E’ esattamente la strategia della Troika, braccio operativo dei poteri forti. Strategia che si diffonde in tutta Europa, e che «a casa nostra ci viene imposta da Napolitano». E’ lui che «ha fatto cadere Berlusconi nel 2011 per imporci il governo Monti, super-amato dal Fmi e dall’élite finanziaria internazionale», ed è sempre lui che «ha tramato dietro le quinte per scongiurare l’elezione di Rodotà come presidente della Repubblica» per poi imporci Enrico Letta, «uomo della Trilaterale, del gruppo Bildeberg e dell’élite internazionale».Napolitano è tutt’altro che super-partes, accusa Ragnedda: il capo dello Stato è il vero regista dei governi di unità nazionale che servono ai poteri forti. «Governi che scontentano tutti (nessun elettore né di centrodestra né di centrosinistra avrebbe voluto questo governo), ma che sono la felicità della Troika che per imporre le sue scelte impopolari (far pagare la crisi ai poveri) ha bisogno di governi di emergenza nazionale». Governi che, per definizione, arginano al massimo la protesta, «silenziano mediaticamente la crisi e impediscono che qualcuno, per ragioni strumentali, possa dar voce al malcontento che pur aleggia». Le larghe intese servono appunto a questo: “sgonfiare” la rabbia sociale, «perché quando una pessima manovra è imposta (anche) dal partito che sostieni è più facile giustificarla e accettarla. E così, da due anni, gli italiani accettano quasi tutto».Cosa sarebbe successo se in questi due anni di larghe intese ci fosse stato un governo Berlusconi o un governo Bersani? Siamo usciti dal G8, è esploso il debito pubblico, sono state amputate le pensioni, è cresciuta la pressione fiscale, hanno chiuso decine di migliaia di piccole aziende e i disoccupati sono ormai 6 milioni. Se quello che ha fatto Monti l’avesse fatto il Cavaliere, credete che il Pd sarebbe rimasto silente, insieme alla Cgil e i media “amici”, dalla “Repubblica” fino a Fazio e Ballarò? Viceversa, se i pessimi risultati del governo Letta-Brunetta fossero stati frutto di un governo Pd, i media di Berlusconi sarebbero stati così accondiscendenti o avrebbero “gonfiato” la crisi, intervistando licenziati e imprenditori disperati? Nulla di questo è accaduto, dice Massimo Ragnedda, perché – grazie ai governi di unità nazionale, tecnici e non – nessuno ha interesse a cavalcare la protesta, perché Pd e Pdl di fatto hanno le stesse responsabilità. Vero risultato: addormentare il paese, bloccando sul nascere la protesta.
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Hedges: quest’impero di depravati sta per travolgerci
Gli ultimi giorni dell’impero danno gran lavoro e potere agli inetti, agli squilibrati ed agli imbecilli. Questi politici e propagandisti di corte, assunti per essere la faccia pubblica della nave che affonda, mascherano il vero lavoro dell’equipaggio, il quale saccheggia sistematicamente i passeggeri mentre la nave affonda. I mandarini del potere stanno nella timoniera, impartendo ordini ridicoli e osservando in quanto tempo riescono a distruggere i motori. Combattono come bambini al timone di una nave, mentre la barca va a tutta velocità contro un iceberg. Passeggiano in coperta facendo discorsi pomposi. Urlano che la nave Ss America è la migliore mai costruita. Insistono che ha la tecnologia più avanzata e che incarna le più alte virtù. E poi, con una furia improvvisa e inaspettata, andremo giù nelle acque gelide. Gli ultimi giorni dell’impero sono un carnevale di follia. Siamo nel mezzo di noi stessi, spinti dai nostri leader di corte che si intestardiscono sull’economia e l’auto-distruzione. Sumeri e Romani caddero in questo modo, come pure gli Ottomani e l’impero Austro-Ungarico.Uomini e donne dalla sbalorditiva mediocrità e depravazione guidavano le monarchie d’Europa e della Russia alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. E l’America, nel suo stesso declino, ha offerto una parte del suo essere rammollita, stolta e imbecille fino alla totale distruzione. Una nazione che era ancora radicata nella realtà non avrebbe mai glorificato ciarlatani come il senatore Ted Cruz, il portavoce della Casa Bianca John Boehner e l’ex-portavoce Newt Gingrich che hanno corrotto le onde radio. Se avessimo avuto la minima idea di cosa realmente ci sarebbe accaduto ci saremmo rivoltati con furia contro Barack Obama, la cui eredità sarà la capitolazione totale alle esigenze di Wall Street, all’industria del combustibile fossile, al complesso dell’industria militare e allo stato di sicurezza e sorveglianza. Avremmo dovuto manifestare con quei pochi, come Ralph Nader, che hanno denunciato il sistema monetario basato sul gioco d’azzardo, l’interminabile stampa di denaro e ha condannato la distruzione ostinata dell’ecosistema. Dovevamo ammutinarci. Dovevamo far tornare indietro la nave.Le popolazioni dell’impero in caduta sono passive perché spensierate. E’ in atto una narcotizzazione del sogno ad occhi aperti tra coloro che rotolano verso l’oblio. Si rifugiano nella sessualità, nelle cose scadenti e nell’insensatezza, rifugi che al momento sono piacevoli ma di sicura auto-distruzione. Credono ingenuamente che tutto funzionerà. Come specie umana, osserva Margaret Atwood nel suo romanzo distopico “Oryx and Crake”, siamo condannati alla speranza. E assurde promesse di speranza e gloria sono continuamente servite dall’industria dell’intrattenimento, dell’élite politica ed economica, dalla classe dei cortigiani che fingono di essere giornalisti, guru autodidatti come Oprah e sistemi di credo religiosi che assicurano ai seguaci che Dio li proteggerà sempre. E’ una auto-delusione collettiva, un ritirarsi nel pensiero magico.«Il cittadino americano finora è vissuto in un mondo dove la fantasia è più reale della realtà stessa, dove l’immagine ha più dignità dell’originale», scrisse Daniel J. Boorstin nel suo libro “L’immagine: guida agli pseudo-eventi in America”. «Difficilmente affrontiamo il nostro sconcerto, perché la nostra esperienza ambigua è piacevolmente iridescente, e il conforto nella fede della realtà artificiosa è completamente reale. Siamo diventati accessori desiderosi nella grande era delle bufale. Queste sono le bufale che giochiamo a noi stessi». Cultura e alfabetismo, nella fase finale del declino, sono sostituiti da rumori diversivi e stereotipi vuoti. Lo statista romano Cicerone inveiva contro il loro equivalente dell’epoca – l’arena. Cicerone, a causa della sua onestà, fu inseguito e ucciso; le mani e la testa tagliate. La testa mozzata e la mano destra, con la quale aveva scritto le Filippiche, furono inchiodate sul palco dove parlavano al Foro. Mentre l’élite romana gli sputava sulla testa, dicevano allegramente alla folla inferocita che non avrebbe più parlato o scritto di nuovo.Nell’era moderna questa tossica cacofonia insensata, la nostra versione di spettacolo e di combattimenti di gladiatori, di “panem et circenses”, viene pompata ciclicamente ventiquattrore su ventiquattro dalle onde radio. La vita politica si è fusa con il culto della celebrità. L’educazione è principalmente professionale. Gli intellettuali sono scacciati e disprezzati. Gli artisti non possono vivere del proprio lavoro. Poche persone leggono libri. Il pensiero è stato bandito soprattutto nelle università e nei college, dove pedanti, timidi e carrieristi sfornano banalità accademiche. «Anche se la tirannia, che non ha bisogno di consenso, può governare con successo sui popoli stranieri», scrisse Hannah Arendt nel suo libro “Le origini del totalitarismo”, «si può restare al potere solo se si distruggono prima di tutto le istituzioni nazionali del popolo». E le nostre sono state distrutte.Le nostre ossessioni prioritarie sono il piacere sensuale e l’eterna giovinezza. L’imperatore romano Tiberio si ritirò nell’isola di Capri e convertì il suo palazzo al mare in una casa di lussuria sfrenata e violenza. «Gruppi di ragazze e giovani uomini, che erano stati raccattati da ogni parte dell’impero come adepti a pratiche innaturali, conosciute come spintriae, avrebbero copulato prima di lui in gruppi di tre, per eccitare il suo desiderio scemante», scrisse Svetonio ne “I dodici Cesari”. Tiberio addestrava ragazzini, che lui chiamava i suoi pesciolini, a folleggiare con lui in acqua e a fare sesso orale. E dopo aver osservato una tortura prolungata, li avrebbe poi obbligati a buttarsi da una scogliera vicino al suo palazzo. A Tiberio sarebbero seguiti Caligola e Nerone. «A volte, quando viene voltata la pagina», scrisse Louis-Ferdinand Céline in “Da un castello all’altro”, «quando la storia raggruppa insieme tutti i pazzi, apre le sue epiche sale da ballo! Cappelli e capi nel turbine! Mutandine in mare!».Nel suo libro “Il collasso delle società complesse”, l’antropologo Joseph Tainter osserva il collasso delle civiltà, dai Romani ai Maya. Conclude dicendo che si disintegrarono perché alla fine non potevano sostenere le complessità burocratiche che avevano creato. Strati di burocrazia richiedono sempre maggiore sfruttamento, non solo dell’ambiente ma anche delle classi operaie. Diventano calcificati da sistemi che non sono in grado di rispondere ai cambiamenti che avvengono attorno a sé. Come succede nelle nostre università d’élite e nelle scuole aziendali, vengono prodotti in serie informatici gestionali, ai quali insegnano non a pensare, ma a far funzionare ciecamente il sistema. Questi informatici gestionali sanno solo come perpetuare se stessi e il sistema al quale sono al servizio, anche se significa sventrare la nazione e il pianeta. Le nostre élite e i burocrati logorano il pianeta per sostenere un sistema che in passato ha funzionato, senza riconoscere che ora non funziona più.Invece di prendere in considerazione delle riforme che metterebbero a rischio i loro privilegi e il loro potere, le élite si rifugiano nel crepuscolo dell’impero, nelle cinta murate, come nella città perduta o Versailles. Inventano la propria realtà. Continuano a ripetere questi comportamenti a Wall Street e nelle sale del consiglio: gli stessi che insistono che la dipendenza dai combustibili fossili e le speculazioni sosterranno l’impero. Le risorse dello Stato, come fa notare Tainter, alla fine sono sempre più sprecate in progetti insensati e stravaganti e in avventure imperiali. E poi tutto collasserà. Il nostro collasso porterà con sé tutto il pianeta. Ammetto che è più piacevole starsene ipnotizzati davanti alle nostre allucinazioni elettroniche. E’ più facile darci mentalmente un’occhiata. E’ più gratificante assorbire l’edonismo e la malattia del culto di se stessi e del denaro. E’ più confortante chiacchierare del gossip delle celebrità e ignorare o respingere la realtà.Thomas Mann ne “La montagna incantata” e Joseph Roth in “Hotel Savoy” raccontano brillantemente questo peculiare stato mentale. Nell’hotel di Roth i primi tre piani destinati alla lussuria ospitano i ricchi boriosi, i politici immorali, i banchieri e gli imprenditori. I piani superiori sono affollati da gente che lotta per pagare i propri debiti e che sta costantemente svendendo le sue proprietà; gente che in questo modo diventerà povera e verrà scacciata. Non c’è un’ ideologia politica tra la classe dominante deteriorata, nonostante dibattiti inscenati ed elaborati teatri politici. E’, e alla fine lo è sempre stato, una vasta cleptocrazia. Appena prima della Seconda Guerra Mondiale, un amico chiese a Roth, intellettuale ebreo che era fuggito a Parigi dalla Germania nazista: «Perché bevi così tanto?». Roth rispose: «Pensi che riuscirai a scappare? Anche tu sarai spazzato via».(Chris Hedges, “La follia dell’impero”, post pubblicato da “Truthdig” e ripreso da “Come Don Chisciotte” il 24 ottobre 2013. Già corrispondente del “New York Times” per quasi vent’anni, Hedges ha scritto saggi su guerra, imperialismo e nuovo fascismo. Il suo libro più recente: “L’impero dell’illusione: la fine della letteratura e il trionfo dello spettacolo”).Gli ultimi giorni dell’impero danno gran lavoro e potere agli inetti, agli squilibrati ed agli imbecilli. Questi politici e propagandisti di corte, assunti per essere la faccia pubblica della nave che affonda, mascherano il vero lavoro dell’equipaggio, il quale saccheggia sistematicamente i passeggeri mentre la nave affonda. I mandarini del potere stanno nella timoniera, impartendo ordini ridicoli e osservando in quanto tempo riescono a distruggere i motori. Combattono come bambini al timone di una nave, mentre la barca va a tutta velocità contro un iceberg. Passeggiano in coperta facendo discorsi pomposi. Urlano che la nave Ss America è la migliore mai costruita. Insistono che ha la tecnologia più avanzata e che incarna le più alte virtù. E poi, con una furia improvvisa e inaspettata, andremo giù nelle acque gelide. Gli ultimi giorni dell’impero sono un carnevale di follia. Siamo nel mezzo di noi stessi, spinti dai nostri leader di corte che si intestardiscono sull’economia e l’auto-distruzione. Sumeri e Romani caddero in questo modo, come pure gli Ottomani e l’impero Austro-Ungarico.
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Chiudete la Bocconi e mandateli a lavorare nei campi
Fuori dall’euro. E’ talmente semplice, banale, immediato che occorrono centinaia di grafici per cercare di dimostrare il contrario. Le economie di paesi legati ad altre valute (tutte “fiat” quindi virtuali e inesistenti di fatto) sono floride (e non parlo solo dei cosiddetti Brics) perché non seguono il dollaro, la Fed e la sua cupola. Non cito economisti di prestigio, perché non credo nell’economia come scienza. L’economia è uno strumento di inganno e truffa. Period. Ma ce ne sono eccome. E l’andamento schizofrenico del prezzo dell’oro la dice lunga su come a breve si tornerà al cambio contro oro e ai tentativi di non farlo capire. L’Italia ha la quarta riserva aurea del mondo. In tale scenario avrebbe la quarta più solida moneta del mondo.Certamente, dopo che collaborazionisti come Andreatta, Ciampi, Prodi, Berlusconi, D’Alema, Monti, Letta e i dipendenti del Potere-che-è (si legga comitato dei Trecento e la sua emanazione Bilderberg), ottemperando al piano della P2 (il quale a sua volta somiglia tanto ai famigerati Protocolli di Sion, falsi o veri che siano, ma sempre del 1921) hanno smantellato pezzo per pezzo ogni capacità produttiva locale con la scusa della globalità, dell’Europa, del “mercato”. Ecco. Mercato. Una parola in bocca ad ognuno di noi, una panacea per spiegare qualsiasi losco meccanismo abilmente pilotato dalle cento corporation che governano il mondo. Unito a qualche informazioncina che la Nsa forniva al “mercato” stesso (o a una parte di esso) e a qualche appalto confezionato ad hoc provocando guerre e malumori locali, tutto ciò è il “mercato”. Ovvero quel che si crede essere un luogo di libertà dove prevalgono le eccellenze e invece è solo un’arena dove si portano in pasto ai leoni (i soliti da secoli) le vittime sacrificali che non appartengono agli interessi dell’élite.E stiamo ancora pubblicando grafici? Mi ricordano le “grida manzoniane”, le leggi complesse e articolate che servono per metterlo in tasca alla logica comune (la fotografia dell’Italia attuale). Non importa cosa dicono i grafici. Ciò che importa è la nostra coscienza e la capacità di riacquisire un criterio di giudizio personale che vada in culo ai tecnici ed ai cosiddetti “professori”, a stipendio delle multinazionali e delle mafie economiche. Chiudete la Bocconi. Mandateli a lavorare nei campi e così avranno un quadro efficace dell’andamento dell’economia: dal produttore al consumatore. Io c’ero con la lira e ci sono con l’euro. Rispetto ai tempi del terrorismo e del rischio atomico, dei blocchi contrapposti, oggi abbiamo una risorsa in più che è l’economia asiatica. E nonostante questo, che allora non c’era, viviamo come servi impoveriti e senza alcuna speranza reale e futuribile di miglioramento. Se non basta questo a capire che l’euro è una truffa del regime massonico mondiale cosa altro ci vuole? Una mazza da baseball nei denti?(Danilo Verticelli, “Commento all’articolo del Telegraph: La velata minaccia di Mediobanca su un’uscita italiana dall’euro”, dal blog “Voci dall’estero” del 20 ottobre 2013).Fuori dall’euro. E’ talmente semplice, banale, immediato che occorrono centinaia di grafici per cercare di dimostrare il contrario. Le economie di paesi legati ad altre valute (tutte “fiat” quindi virtuali e inesistenti di fatto) sono floride (e non parlo solo dei cosiddetti Brics) perché non seguono il dollaro, la Fed e la sua cupola. Non cito economisti di prestigio, perché non credo nell’economia come scienza. L’economia è uno strumento di inganno e truffa. Period. Ma ce ne sono eccome. E l’andamento schizofrenico del prezzo dell’oro la dice lunga su come a breve si tornerà al cambio contro oro e ai tentativi di non farlo capire. L’Italia ha la quarta riserva aurea del mondo. In tale scenario avrebbe la quarta più solida moneta del mondo.
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Il chip Nato che spia gli scolari e fa schiantare le auto
Michael Hastings, giornalista investigativo pluripremiato, è morto tra le fiamme il 18 giugno 2013 a Los Angeles mentre guidava una Mercedes del 2013. La notte prima aveva chiesto a un’amica, Jordana Thigpen, di prestargli la sua Volvo, poiché credeva che la sua Mercedes C250 fosse stata manomessa. Secondo la vedova, Elise Jordon, Michael aveva cominciato a indagare la “nuova guerra alla stampa” del direttore della Cia, John Brennan. Facendo eco allo scandalo Watergate, Hastings ha sostenuto che la Cia, con o senza autorizzazione, abbia iniziato a usare sofisticate tecniche militari di guerra psicologica contro giornalisti e politici. Anche per l’ex coordinatore dell’antiterrorismo Usa, Richard Clarke, un incidente stradale come quello costato la vita a Michael Hastings sarebbe “coerente con un attacco informatico all’auto”. Come per gli infarti, dice Tony Gosling, si ritiene ormai che questi “incidenti” ai freni delle vetture siano i preferiti dal crimine organizzato e dai servizi di intelligence, dal momento che sono così facili da spacciare per fatali guasti tecnici.«Il nostro sistema giudiziario, la polizia e i nostri giornalisti investigativi – sostiene Gosling in un post su “Rt”, ripreso da “Come Don Chisciotte” – non sono capaci di capire la tecnologia complessa», in continua evoluzione, «per non parlare della raccolta di prove sufficienti a decidere se questi eventi disastrosi siano incidenti o omicidi». La strana morte di Hastings? Un monito: le nostre libertà stanno andando in frantumi. Succede, dice Gosling, perché «in Occidente la tecnocrazia sta lentamente rimpiazzando la democrazia». Da quando «i mercati finanziari e gli oscuri gnomi di Zurigo hanno cominciato a scegliere i nostri leader politici», i super-tecnocrati, «strozzini e simpatizzanti della Goldman Sachs, la piovra che sta venendo fuori quale vero potere del mondo occidentale», utilizzano anche compagnie poco note, che però «detengono brevetti di valore» e, come prestigiatori, «producono e immettono sul mercato nuovi sfavillanti dispositivi scientifici».Tecnologia che in mano pubblica sarebbe liberatoria, mentre in mano ai “predoni” può fare disastri. E senza che ce ne rendiamo conto: «Quando i nostri deputati, giornalisti e avvocati memorizzano i dati della loro rubrica telefonica usando un servizio di sincronizzazione, o fanno un backup di documenti su “The Cloud”, non hanno nessuna idea di dove vada a finire il loro prezioso lavoro. Condividono i loro dati senza pensarci troppo con aziende che potrebbero tranquillamente copiarli, rivenderli a terzi o perfino corromperli prima di farglieli riavere». I super-tecnocrati della “rivoluzione digitale”, continua Gosling, hanno precisi progetti per i prossimi decenni: «Rubano terreno ai governi eletti usando la “riservatezza commerciale” per tenere all’oscuro la stampa, i politici e il pubblico». E oggi, cioè nell’era della sorveglianza di massa, con l’opinione pubblica narcotizzata dal mainstream, «possono acquistare le informazioni per sapere ciò che i politici eletti stanno per fare, o perfino quello che hanno intenzione di fare, e investire così vaste risorse in contromosse».Tecnologia invisibile per controllare tutti. E anche per uccidere, per esempio chi è al volante della propria auto? A confermare indirettamente i pesanti sospetti sulla fine di Michael Hastings è la rivista “Autoweek Magazine”, che si domanda: «Chi è al controllo della tua auto? Governo e privati adesso possono controllarla a distanza». I computer di bordo sono penetrabili da hacker? E se il dispositivo si inchioda, causando un’accelerazione involontaria e un incidente mortale? «Più una tecnologia è poco visibile – aggiunge Gosling – e più è alta la probabilità che rimanga non regolamentata». Non solo: a utilizzarla saranno soprattutto giovani, portati ad accettarla «senza porsi troppe domande, in quanto “cool”». Tra le tecnologie segrete meno comprese e praticamente non regolamentate c’è l’insidioso chip Rfid, “Radio Frequency Identifcation”, che rileva i movimenti tramite le frequenze radio. «Si tratta di piccoli “trasponder” wireless a circuito stampato, usati perlopiù per tracciare i movimenti in magazzino, sebbene siano in aumento per quanto riguarda il pagamento tramite carte di credito “contactless”, senza contatto». Questi chip, continua Gosling, sono elettricamente attivi per anni, alcuni anche per tempi indefiniti.Dal settembre 2013, gli scolari inglesi sono schedati in modo digitale: il governo britannico ha eseguito la scansioni dell’iride oculare, del riconoscimento facciale, dell’impronta del dito e del palmo – in una parola, la “biometria” degli alunni. Solo che sta crescendo il numero di minori che rifiutano di sottoporsi alla schedatura, introdotta per automatizzare i sistemi di ingresso alle mense e alle biblioteche. Nel caso la “biometria” venisse abbandonata, assicura Gosling, è già pronta la tecnologia Rfid: «Dal 2010 al febbraio 2013, il West Cheshire College vicino Liverpool ha dato a tutti i suoi studenti dei cartellini da indossare con dei chip compatibili, 433 Mhz». Certo, quei cartellini «permettono agli studenti di usufruire dei servizi». Ma i sensori disseminati in tutta la scuola «consentono di tracciare i movimenti degli studenti nel campus, come dei puntini da seguire sullo schermo». Attenzione: quando un giornale nel febbraio 2013 chiese chiarimenti al preside, il fornitore dei chip li fece sparire dalla scuola, eliminando ogni traccia di sensori e cartellini.Quei sensori, forniti da un’azienda che si chiama Zebra, offrivano la possibilità di monitorare i ragazzi non solo da parte delle autorità scolastiche, ma anche dai militari: l’origine Nato della tecnologia, e quindi la necessità di proteggerne la segretezza, secondo “Rt” spiega la rapidità della “sparizione delle prove” dal college inglese usato come area-test. La Nato, racconta Gosling, dispone di un sistema Rfid riservato, chiamato “In Transit Visibility Network”, con sensori 433 Mhz sparsi in tutto il nord America e l’Europa occidentale. Una mappatura che serve a «tenere d’occhio le munizioni, i serbatoi e altri armamenti quando si spostano da un posto all’altro». Fin qui, tutto bene. A patto però che, a finire “microchippate” a nostra insaputa, già al momento della fabbricazione, non siano anche le nostre auto, insieme ai nostri telefoni, le carte di credito e magari anche «i nostri figli, quando durante il giorno vanno in giro innocentemente».Anziché proteggerci, conclude Gosling, la Nato e i tecnocrati dell’industria militare «stanno trasformando ogni singolo essere umano in un sospetto criminale». E questo, senza l’autorizzazione di nessun giudice. Più che una “rivoluzione digitale”, «la loro idea è quella di una gabbia digitale: mai gli incubi malati dei peggiori tiranni sono stati così vicini all’essersi realizzati». Il mondo civile ora deve assolutamente «bloccare i veicoli computerizzati e questa tecnologia Rfid, e renderla soggetta al consenso del singolo e dei genitori, così come ha fatto la Gran Bretagna con la “biometria”». Meglio agire in fretta, «prima che le nostre scuole e le nostre strade diventino prigioni digitali e i nostri figli siano seguiti dai militari ovunque vadano».Michael Hastings, giornalista investigativo pluripremiato, è morto tra le fiamme il 18 giugno 2013 a Los Angeles mentre guidava una Mercedes del 2013. La notte prima aveva chiesto a un’amica, Jordana Thigpen, di prestargli la sua Volvo, poiché credeva che la sua Mercedes C250 fosse stata manomessa. Secondo la vedova, Elise Jordon, Michael aveva cominciato a indagare la “nuova guerra alla stampa” del direttore della Cia, John Brennan. Facendo eco allo scandalo Watergate, Hastings ha sostenuto che la Cia, con o senza autorizzazione, abbia iniziato a usare sofisticate tecniche militari di guerra psicologica contro giornalisti e politici. Anche per l’ex coordinatore dell’antiterrorismo Usa, Richard Clarke, un incidente stradale come quello costato la vita a Michael Hastings sarebbe “coerente con un attacco informatico all’auto”. Come per gli infarti, dice Tony Gosling, si ritiene ormai che questi “incidenti” ai freni delle vetture siano i preferiti dal crimine organizzato e dai servizi di intelligence, dal momento che sono così facili da spacciare per fatali guasti tecnici.
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Achtung Grillo, i nemici dell’Europa e quelli dell’Italia
Nell’Europa che ha in testa l’establishment, sintetizza Claudio Messora, «l’Italia diventa la Calabria e Helsinki la Lombardia». Ma per Eugenio Scalfari il problema non è questo, bensì Beppe Grillo: se vince, sostiene il fondatore di “Repubblica”, l’Italia «va a rotoli». Perché, ora dove sta andando? «In Grecia, a nuoto», per dirla con Giulietto Chiesa. Ma il mainstream tiene duro: in televisione, il solo Gianluigi Paragone dà fiato all’alternativa, ospitando economisti democratici e “guastatori” come Paolo Barnard, mentre la stessa Milena Gabanelli, su “Report”, continua a imputare alla sola “casta” italiana le colpe della crisi, senza “vedere” il disegno che da Bruxelles sta piegando il paese. La stessa grande paura accomuna tutti gli operatori che presidiano la comunicazione: guai se alle prossime elezioni europee – maggio 2014 – dovesse svegliarsi l’Europa, quella vera, incarnata dai popoli che si stanno ribellando alla crisi imposta dall’élite finanziaria globalizzatrice.A dare l’allarme è lo stesso Enrico Letta, uomo Bilderberg: «Se i populisti in Europa superassero una percentuale del 25% questo sarebbe molto preoccupante», dichiara il premier a “La Stampa”. «Il rischio che il Cinque Stelle risulti il primo partito alle europee è molto forte: non possiamo limitarci ad essere timidi con Grillo». Timore condiviso da un euro-oligarca come il tedesco Martin Schulz, secondo cui «la possibilità che nel prossimo Europarlamento ci sia tra un quarto e un quinto di deputati euroscettici o populisti è ormai più che probabile». Mai nessuno che si pronunci sulle cause del terremoto elettorale in arrivo. Eppure, aggiunge lo stesso Messora, basta ascoltare quello che Mario Monti (Bilderberg, Trilaterale, Goldman Sachs) ha appena detto alla Cnn: «Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale. Quindi, ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa, un’espansione della domanda». Mai stato così chiaro, Monti. «Come si distrugge la domanda interna? Alzi le tasse e svaluti i salari», dice Messora, «così la gente non ha più soldi e compra di meno».Ma non basta: lo Stato potrebbe sempre alzare la spesa a deficit, cioè investire sui cittadini, mediante politiche sociali (reddito di cittadinanza) o creando lavoro. «E allora cosa facciamo? Semplice: inventiamo il pareggio di bilancio e lo mettiamo addirittura nella Costituzione, così da rendere impossibile qualunque ripensamento. Era l’equazione che ci avrebbe matematicamente reso più poveri: se costringi la somma delle entrate e delle uscite di uno Stato ad annullarsi a vicenda, allora se punti sulle esportazioni devi per forza massacrare i portafogli». E’ quello che ha fatto Monti. Più “domanda attraverso l’Europa” significa «diventare un centro di produzione a basso costo per i ricchi paesi del nord (Germania in testa), una specie di Cina europea, così da non essere costretti a comprare dai trafficanti di diritti di Pechino, per togliere il mercato all’oriente spregiudicato». A quel punto, la strada è obbligata: tagliare i costi di produzione. «E siccome le materie prime le paghiamo sempre uguale, bisogna pagare di meno gli stipendi e diminuire i diritti (vi dice niente la battaglia per la modifica dell’articolo 18?)».E come li costringi, i lavoratori, ad accettare uno standard di vita meno dignitoso? Ci si arriva per gradi: «Li getti nella crisi più nera, svendi tutto il patrimonio di economia nazionale e permetti ai nuovi padroni di delocalizzare all’estero. Gli togli le case con Equitalia. Costringi le fabbriche a chiudere: meno offerta di lavoro uguale più domanda, cioè milioni di persone senza reddito disposte a qualunque cosa pur di avere un tozzo di pane». Il paradiso dei tedeschi, affamati di aziende da comprare in saldo e di lavoro a basso costo per il loro export. «Venire a fare shopping in Italia è come andare all’outlet nel periodo dei saldi». Per Messora, non è irrilevante il risvolto geopolitico: un’Europa germanizzata può «limitare lo strapotere commerciale dei Brics, e magari togliere potere a quella Cina che detiene la maggior parte del debito americano».Funziona così: «Prendi un paese massacrato dal debito pubblico, ricattabile, ma anche industrializzato, dunque con le possibilità e le competenze produttive per soddisfare la tua domanda, e lo trasformi in una miniera a basso costo. Un piano iniziato negli anni ’80, ai tempi di Kohl e Mitterrand». Per Messora, non è altro che «un disegno criminoso, deciso sulla testa dei popoli, senza consultarli». Una strategia complessiva che fonda tutte le sue possibilità sull’onnipotenza di una élite che domina incontrastata, attraverso il controllo della meta-finanza europea la costruzione di un’unica, enorme, sovra-nazione «dove il controllo democratico è inesistente (e dove i think-tank sostituiscono i parlamenti)». A questo progetto oligarchico, «i socialismi europei hanno venduto l’anima». Certo, resta ancora «un’opinione pubblica da condizionare, da convincere che non esistono altre strade». E allora, bisogna «monitorare le comunicazioni nei paesi euroscettici, per identificare i temi più rilevanti e per assoldare una squadra di piccoli Goebbels in grado di reagire prontamente e fare una propaganda mirata», accusando di “populismo” chi contrasta l’oligarchia dominante.E’ il tema della crociata alle porte: «Bisogna combattere i “populismi”, cioè chiunque insista nel coltivare la convinzione che le élite non abbiano un mandato divino a governare sul cielo e sulla terra (né le loro soluzioni siano le migliori a prescindere), ma la sovranità appartenga al popolo». E’ quello che fa l’anziano Scalfari, tra una cena e l’altra con Napolitano e Draghi: l’importante è demonizzare Grillo, evitando accuratamente di spiegare le ragioni del suo successo, cioè il fallimento catastrofico della resa italiana agli euro-diktat. Nella sua replica, Grillo sfotte Scalfari: mi ha paragonato, dice, agli invasori marziani evocati da Orson Welles nel 1938. «Alla bufala di Welles credettero sei milioni di persone, a Scalfari non crede neppure più De Benedetti», scrive Grillo. «E’ il tempo della panchina lunga, caro Eugenio, magari al Pincio. Tu, l’Ingegnere e Napolitano a ricordare i vecchi tempi. Quando gli elettori, il cosiddetto popolo così tanto disprezzato non contava nulla. Bei tempi quelli, ma non torneranno più». Da Palazzo Chigi, Enrico Letta strepita: «Fermiamo i nemici dell’Europa». A partire dalle prossime europee, milioni di cittadini cercheranno invece di fermare, innanzitutto, i nemici dell’Italia.Nell’Europa che ha in testa l’establishment, sintetizza Claudio Messora, «l’Italia diventa la Calabria e Helsinki la Lombardia». Ma per Eugenio Scalfari il problema non è questo, bensì Beppe Grillo: se vince, sostiene il fondatore di “Repubblica”, l’Italia «va a rotoli». Perché, ora dove sta andando? «In Grecia, a nuoto», per dirla con Giulietto Chiesa. Ma il mainstream tiene duro: in televisione, il solo Gianluigi Paragone dà fiato all’alternativa, ospitando economisti democratici e “guastatori” come Paolo Barnard, mentre la stessa Milena Gabanelli, su “Report”, continua a imputare alla sola “casta” italiana le colpe della crisi, senza “vedere” il disegno che da Bruxelles sta piegando il paese. La stessa grande paura accomuna tutti gli operatori che presidiano la comunicazione: guai se alle prossime elezioni europee – maggio 2014 – dovesse svegliarsi l’Europa, quella vera, incarnata dai popoli che si stanno ribellando alla crisi imposta dall’élite finanziaria globalizzatrice.
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Fukushima, la bonifica nucleare è in mano alla mafia
Grandi cantieri, grandi affari. Tutto il mondo è paese, incluso il Giappone. Nessuna sorpresa, dunque, se spunta anche a Tokyo il convitato di pietra di molte grandi opere: la mafia. Peccato che l’opera in questione sia la bonifica di Fukushima: in ballo non ci sono treni veloci, ma la sicurezza del pianeta. Contratti complessi e carenza di lavoratori disponibili: per questo s’è fatta avanti la Yakuza, conferma la “Reuters”. Prima il disastro atomico causato da terremoto e tsunami, poi le menzogne di governo e media per coprire gli errori della Tepco e la reale entità del dramma: le autorità giapponesi non hanno ancora fatto i conti seriamente con l’apocalisse, emergenza sanitaria e contaminazione dell’acqua, dei terreni agricoli e del cibo. «E’ una guerra nucleare senza una guerra», dice lo scrittore Haruki Murakami: stavolta «nessuno ha sganciato una bomba su di noi», i giapponesi hanno fatto tutto da soli: «Abbiamo impostato il palco, abbiamo commesso il fatto con le nostre mani, stiamo distruggendo le nostre terre e stiamo distruggendo la nostra vita». Con la collaborazione di una potente forza occulta: la mafia.«Il coordinamento della decontaminazione di Fukushima, operazione multimiliardaria, si basa sulla criminalità organizzata del Giappone», che è «attivamente coinvolta nel reclutamento del personale “specializzato” per compiti pericolosi», accusa il professor Michel Chossudovsky dell’istituto canadese “Global Research”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Le pratiche di lavoro Yakuza a Fukushima – spiega Chossudovsky – si basano su un sistema corrotto di subappalto, che non favorisce l’assunzione di personale specializzato competente». Qualcosa che ricorda da vicino gli strani appalti a cascata nei quali si infiltrano le cosche, in Europa e in particolare in Italia, gonfiando i prezzi e spremendo come limoni le aziende che poi i lavori devono farli davvero. «Si crea un ambiente di frode e incompetenza, che nel caso di Fukushima potrebbe avere conseguenze devastanti», visto che ne va della sicurezza di tutti. In compenso, la manovalanza mafiosa è conveniente: «Il subappalto con la criminalità organizzata è un mezzo per grandi aziende coinvolte nella bonifica per ridurre in modo significativo il costo del lavoro».Alla criminalità organizzata giapponese, continua Chossudovsky, è affidata anche la delicatissima rimozione delle barre di combustibile dal reattore 4: il minimo errore potrebbe causare conseguenze apocalittiche, a livello mondiale, desertificando il Giappone e investendo di radioattività tutto l’oriente, dalla Cina all’Australia. In ballo, la rimozione con una gru di 1.300 barre di combustibile nucleare: in caso di incidente (anche solo il contatto fra due barre) si calcola che si produrrebbe un’onda radioattiva pari a 14.000 bombe di Hiroshima. Operazione che, a quanto pare, sarà effettuata da aziende non proprio pulite: la “Reuters” documenta il ruolo della Yakuza e il suo «rapporto insidioso» con la Tepco e i ministeri della salute, del lavoro e del welfare. Solo nella prefettura di Fukushima, conferma la polizia nipponica, operano almeno 50 clan, con oltre mille affiliati. Gli investigatori sono al lavoro per tentare di sradicare la criminalità organizzata dal progetto di bonifica nucleare. In una rara azione penale, il boss Yoshinori Arai è stato appena condannato per aver intascato 60.000 dollari facendo la cresta sui salari degli operai, ridotti di un terzo.Il mafioso, continua Chossudovsky, è stato condannato per la fornitura di lavoratori per un sito gestito da Obayashi, uno dei maggiori imprenditori del Giappone, a Date, una città a nord-ovest della centrale di Fukushima, investita dalle radiazioni dopo il disastro. Per un funzionario della polizia, il caso Arai è solo «la vetta dell’iceberg», perché l’intera bonifica di Fukushima puzza di mafia. «Un portavoce di Obayashi ha detto che la società “non ha notato” che uno dei suoi subappaltatori stava prendendo lavoratori da un criminale», ma l’azienda si impegna ora a collaborare con la polizia. Peccato che la testa dell’organizzazione sia a Tokyo: ad aprile, racconta “Global Research”, il governo ha selezionato ben tre società implicate nell’invio illegale di lavoratori a Fukushima: «Una di queste, una società basata a Nagasaki denominata Yamato Engineering, ha inviato 510 lavoratori per collocare un tubo alla centrale nucleare in violazione delle leggi sul lavoro». Tutto questo, per «migliorare le pratiche di business» a scapito della sicurezza. Già nel 2009, aggiunge Chossudovsky, alla Yamato Engineering erano stati «vietati i progetti di opere pubbliche», a causa di una sentenza che definiva l’azienda «effettivamente sotto il controllo della criminalità organizzata».Nelle città attorno a Fukushima sono al lavoro migliaia di operai. Tubi industriali, ruspe, dosimetri per misurare le radiazioni. Tutto questo per pulire case e strade, scavare terreno vegetale ed eliminare alberi contaminati, per consentire il ritorno degli sfollati. Centinaia le imprese coinvolte: di queste, secondo il ministero del lavoro, quasi il 70% avrebbe infranto le normative. «A marzo, l’ufficio del ministero a Fukushima aveva ricevuto 567 denunce, relative alle condizioni di lavoro per la decontaminazione: ha emesso 10 avvisi, ma nessuna impresa è stata penalizzata». Una delle aziende denunciate, la Denko Keibi, prima del disastro forniva le guardie di sicurezza privata per i cantieri. «Di fronte alla incessante disinformazione dei media relative ai pericoli di radiazione nucleare globale – conclude Chossudovsky – l’obiettivo di “Global Research” è quello di rompere il vuoto dei media e di sensibilizzare l’opinione pubblica, indicando le complicità dei governi, dei media e dell’industria nucleare».Grandi cantieri, grandi affari. Tutto il mondo è paese, incluso il Giappone. Nessuna sorpresa, dunque, se spunta anche a Tokyo il convitato di pietra di molte grandi opere: la mafia. Peccato che l’opera in questione sia la bonifica di Fukushima: in ballo non ci sono treni veloci, ma la sicurezza del pianeta. Contratti complessi e carenza di lavoratori disponibili: per questo s’è fatta avanti la Yakuza, conferma la “Reuters”. Prima il disastro atomico causato da terremoto e tsunami, poi le menzogne di governo e media per coprire gli errori della Tepco e la reale entità del dramma: le autorità giapponesi non hanno ancora fatto i conti seriamente con l’apocalisse, emergenza sanitaria e contaminazione dell’acqua, dei terreni agricoli e del cibo. «E’ una guerra nucleare senza una guerra», dice lo scrittore Haruki Murakami: stavolta «nessuno ha sganciato una bomba su di noi», i giapponesi hanno fatto tutto da soli: «Abbiamo impostato il palco, abbiamo commesso il fatto con le nostre mani, stiamo distruggendo le nostre terre e stiamo distruggendo la nostra vita». Con la collaborazione di una potente forza occulta: la mafia.
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Gli italiani, il cavaliere e la morte: vince la menzogna
Terroristi? Evidentemente, «se ne sentiva il bisogno». Così, giusto per “nobilitare” – per contrasto – un establishment ben poco virtuoso, con troppi peccati da farsi perdonare. Gli italiani, il Cavaliere e la morte: non l’uomo di Arcore, ovviamente, ma la figura equestre ritratta da Albrecht Dürer, cui si ispira Leonardo Sciascia per un romanzo della fine degli anni ’80 che sembra scritto ieri, anzi oggi. Il protagonista, un dolente poliziotto – schivo e taciturno, condannato (come lo scrittore stesso) da un tumore di quelli che non lasciano scampo – intuisce fin dalle prime battute che la strana rivendicazione seguita all’omicidio di un potente, l’avvocato Sandoz, non proviene affatto da chissà quale organizzazione eversiva. Strana sigla, i “figli dell’ottantanove”. Domanda: «Sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell’ottantanove?».Le pagine de “Il cavaliere e la morte” sembrano parlare direttamente ai giorni nostri, così affollati di pacchi-bomba e buste con proiettili recapitate a uomini di potere. Nel romanzo, la cellula terroristica «non esiste, ma la si vuole far esistere», sicuri che una nuova bandiera rivoluzionaria potrà «sedurre le menti deboli, gli annoiati, i vocati alle cause perse e al sacrificio», nonché ovviamente «i violenti che vogliono dar nobiltà ai loro istinti». Inevitabilmente, l’indagine incrocia il buco nero dei servizi segreti: è da un antico contatto personale che l’investigatore deduce le tessere mancanti per risalire al vero movente dell’omicidio e quindi comprendere meglio il metodo adottato, quello del depistaggio finto-terroristico. Due piccioni con una fava: l’eliminazione di un fastidioso competitore e la “creazione” di una comoda sigla eversiva, utilissima per firmare altri omicidi, diffondere paura, giustificare la repressione e criminalizzare l’opposizione.E’ lo schema, ferreo e implacabile, della famigerata strategia della tensione: «Occorre che ci sia il diavolo perché l’acqua santa sia santa». Sciascia disegna la sua storia verso un finale comunque inatteso e spiazzante, con una lingua personalissima e una capacità introspettiva nella quale raramente il noir contemporaneo osa addentrarsi. Il suo poliziotto è un uomo colto, che pensa – con Ungaretti – che “la morte si sconta vivendo”, e si aggira in un paesaggio in cui le citazioni letterarie (da Tolstoj a Pirandello, da Proust a Gadda) abitano con rassegnazione una latitudine dimessa, in cui persino il diavolo è «talmente stanco», ormai, «da lasciar tutto agli uomini», che sanno «fare meglio di lui», rubandogli il mestiere. A vincere è l’arte sopraffina della menzogna, che sforna capri espiatori con la complicità di figure grottesche eppure tragicamente autentiche: come il “grande giornalista” ben deciso a scrivere, come sempre, il contrario della verità.(Il libro: Leonardo Sciascia, “Il cavaliere e la morte”, Adelphi, 91 pagine, 8 euro).Terroristi? Evidentemente, «se ne sentiva il bisogno». Così, giusto per “nobilitare” – per contrasto – un establishment ben poco virtuoso, con troppi peccati da farsi perdonare. Gli italiani, il Cavaliere e la morte: non l’uomo di Arcore, ovviamente, ma la figura equestre ritratta da Albrecht Dürer, cui si ispira Leonardo Sciascia per un romanzo della fine degli anni ’80 che sembra scritto ieri, anzi oggi. Il protagonista, un dolente poliziotto – schivo e taciturno, condannato (come lo scrittore stesso) da un tumore di quelli che non lasciano scampo – intuisce fin dalle prime battute che la strana rivendicazione seguita all’omicidio di un potente, l’avvocato Sandoz, non proviene affatto da chissà quale organizzazione eversiva. Strana sigla, i “figli dell’ottantanove”. Domanda: «Sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell’ottantanove?».
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Non cittadini di Google, ma sudditi dei ricattatori Nsa
«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».L’arma del ricatto: ti controllo, so chi hai parlato, quando, e di cosa. Se l’agenda del grande alleato riparlasse di guerra, sarebbe più difficile opporsi. «Vale per Enrico Letta, vale per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, come sappiamo. Vale per Hollande, il burattino di Francia. Vale per l’ex presidente messicano Felipe Calderon e per l’attuale presidente messicano, Enrique Peña Nieto. Vale probabilmente anche per il Papa», aggiunge Chiesa, in un video-editoriale su “Megachip”. «Forse non vale per Xi-Jingping, il presidente cinese, e per il presidente russo Vladimir Putin, i quali – non essendo alleati degli Stati Uniti – hanno probabilmente pensato di tutelarsi, cioè di innalzare le misure difensive». Come scrive persino il “New York Times”, la questione non è certo quella della privacy dell’uomo della strada: «Il programma di sorveglianza ha investito la politica, il business, la diplomazia, le banche». Per prima cosa, spiano con molta attenzione le mosse dei partner. «Begli alleati, che abbiamo». Controllare il cellulare della Merkel: per proteggerla dai terroristi, come dice Obama? No: «Per ricattarla, all’occorrenza, nel caso decidesse di fare qualcosa che “non deve” decidere di fare».Non sugge nessuno: «Se Enrico Letta va a prostrarsi a Washington, pensate che lo faccia perché è un fedele seguace del dio dollaro? Forse, anche. Ma soprattutto: teme la punizione, se sgarrasse». Dunque: «Possiamo fidarci di un alleato di questo genere? Cioè di un’America che ci spia facendo i propri interessi, contro di noi?». Per questo, Chiesa insiste nel chiedere l’uscita dalla Nato: «Non è una questione ideologica, ma pratica: voglio salvare la pelle, la mia e quella dei nostri figli. E se questi signori decidono che per i loro interessi occorre fare la guerra, diranno ai loro servi – i nostri governanti – di portarci in guerra. E se non capiamo questo, noi in guerra ci andremo ancora, finché non ci lasceremo la pelle». Date un’occhiata al grande problema americano: la finanza. «Il loro debito in realtà è il nostro: tocca a noi pagarlo, attraverso la subordinazione dell’euro». Eppure, c’è ancora chi pensa che stiamo entrando nell’era della libertà digitale, in cui potremo decidere tutto premendo un pulsante sul computer e votare insieme ai cinesi e agli indiani su come si gestisce il mondo. «Non siate ingenui, il controllo di queste macchine non ce l’avete voi. Non facciamoci illusioni: non diventeremo cittadini di Google, ma della Nsa».«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».
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Cecchini killer di feti? Ron Paul: altra ripugnante bufala
Cecchini-killer, così feroci da prendere di mira le gestanti per colpire il feto nel loro grembo. Oltre l’orrore. L’ennesimo crimine del regime di Assad, denunciato dal “Times” di Londra: quei cecchini, probabilmente cinesi o provenienti dall’Azerbaijan, si “giocavano” i nascituri, per ottenere il premio in palio: sigarette. La fonte? Un medico britannico, David Nott, reduce da alcune settimane in Siria come volontario. Agghiacciante, se fosse vero. Dubbi? No, certezze: non c’è nessuna prova a supporto di questa storia allucinante. E lo stesso dottor Nott ha ammesso che quelli sull’identità dei cecchini, che avrebbero colpito 7-8 donne, erano soltanto “pettegolezzi”. Per l’istituto di Ron Paul, ginecologo ed ex deputato statunitense, è uno scandalo: come fa il “Times” di Rupert Murdoch a spacciare per vere simili storie? Dov’è finito quello che un tempo si chiamava giornalismo?Dietro al “Times”, scrive l’Istituto Ron Paul in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, si è allineata l’intera stampa britannica, a cominciare dal “Daily Mail”. Le prove di un gioco così macabro e diabolico? Nessuna: solo voci orecchiate. E chi dice che i killer fossero tiratori scelti del regime? «Sappiamo che gli insorti fanno uso regolare di cecchini», infatti hanno appena ucciso il generale Jameh Jameh, un alto funzionario dell’intelligence di Damasco. «Sappiamo anche che i cecchini ribelli sono rintanati nelle grotte sopra il villaggio cristiano di Maaloula, dove terrorizzano la popolazione e prendono di mira abitualmente gli stessi giornalisti». Accanto all’articolo del “Times”, l’immagine di una radiografia raccapricciante: in evidenza un feto nel grembo materno, con un proiettile di grosso calibro nel cranio. Strano: il proiettile «sembra essere passato attraverso il corpo della madre fino al cranio del feto». Ha penetrato il tessuto molle e, «in modo perfettamente drammatico», si è fermato nel lobo frontale del cervello «senza danni visibili al cranio del bambino». Già: «Perché nessun danno al cranio? Perché nessun punto visibile di entrata?».Inoltre, aggiunge Ron Paul, ci viene detto che i medici stanno operando in condizioni disperate, senza mezzi sanitari. «Perché un medico in una tale situazione di crisi avrebbe avuto il tempo e le risorse per fare i raggi x di un bambino già morto? Ha senso tutto questo?». Domanda: da dove viene quella radiografia? E’ stata fornita ai media britannici da una Ong come “Syria Relief”, che assicura che il referto proviene effettivamente dalla Siria ma, nel suo sito web, è «incredibilmente reticente nel fornire informazioni circa l’organizzazione, i suoi fondatori, i suoi funzionari, i suoi amministratori e i suoi finanziatori». Quanto al dottor Nott, aggiunge l’istituto di Ron Paul, «è interessante notare che, una volta, era medico dell’ex primo ministro britannico e profittatore di guerra Tony Blair». Il “Times” e gli altri? «Come Goebbels, nella loro trasparente propaganda a favore della guerra». Come quando raccontarono la storia – falsa – dei “bambini strappati dalle incubatrici” dai soldati di Saddam nel Kuwait occupato. Attenti ai cecchini, dunque: quelli appostati in Siria, e quelli annidati nelle redazioni del mainstream.Cecchini-killer, così feroci da prendere di mira le gestanti per colpire il feto nel loro grembo. Oltre l’orrore. L’ennesimo crimine del regime di Assad, denunciato dal “Times” di Londra: quei cecchini, probabilmente cinesi o provenienti dall’Azerbaijan, si “giocavano” i nascituri, per ottenere il premio in palio: sigarette. La fonte? Un medico britannico, David Nott, reduce da alcune settimane in Siria come volontario. Agghiacciante, se fosse vero. Dubbi? No, certezze: non c’è nessuna prova a supporto di questa storia allucinante. E lo stesso dottor Nott ha ammesso che quelli sull’identità dei cecchini, che avrebbero colpito 7-8 donne, erano soltanto “pettegolezzi”. Per l’istituto di Ron Paul, ginecologo ed ex deputato statunitense, è uno scandalo: come fa il “Times” di Rupert Murdoch a spacciare per vere simili storie? Dov’è finito quello che un tempo si chiamava giornalismo?
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Verità cercasi, prima che la montagna ci frani addosso
La montagna è una fatica di cui non si vede mai la vetta, è Giorgia Meloni che nella trasmissione di Santoro denuncia i 90 miliardi di euro che grazie al governo Letta il gioco d’azzardo legalizzato ha sottratto al fisco, sono i No-Tav che in quello stesso studio aggiungono sul conto anche i 24 miliardi iniziali (solo previsti, mai stanziati perché inesistenti) per la grande opera più ridicola, costosa e inutile d’Europa, di cui i politici in trasmissione ammettono di sapere poco o nulla, nonostante sia diventata un caso nazionale per via delle gravi accuse di eversione piovute sulla protesta. La montagna sono le due ore di trasmissione che scorrono prima di “scoprire” che il famoso cantiere di Chiomonte, epicentro dello scontro, non è certo quello del futuro tunnel ferroviario: si sta solo scavando una mini-galleria di servizio, archiviabile alla svelta se solo si volesse farla finita, una volta per tutte, con la leggenda del treno veloce – non più per i passeggeri ma per le merci, che notoriamente viaggiano a bassa velocità.Merci letteralmente scomparse dalla tratta, dove peraltro Italia e Francia sono già perfettamente collegate dalla ferrovia Torino-Modane che attraversa la valle di Susa, appena ammodernata con 400 milioni di euro per consentire ai treni di caricare anche i Tir e i grandi container navali. La montagna è la fatica che occorre, ogni volta, per spiegare che i container navali sbarcati a Genova ormai evitano il Piemonte e la Francia e corrono verso Rotterdam attraverso i valichi del nord. Mentre per i Tir – lungi dal caricarli sui treni – si sta scavando il secondo traforo autostradale del Fréjus, sempre in valle di Susa, cioè nel territorio a cui, per buon peso, si vorrebbe infliggere anche l’Armageddon di vent’anni di cantieri Tav, coi paesi devastati e la popolazione minacciata da pericoli per la salute (cancro, causa polveri con amianto e uranio) ammessi dagli stessi tecnici della grande opera, che riconoscono che i lavori potrebbero anche aprire serie incognite idrogeologiche.Un’impresa folle, sempre più improbabile e irreale per tutti – docenti universitari compresi – tranne che per i decisori politici, i parlamentari a corto di informazioni che però vanno in televisione e scrutano i No-Tav come animali strani, un po’ naif, forse affetti dalla sindrome Nimby, evidentemente non credibili, persino quando ricordano palesi verità ormai incresciosamente ufficiali come quelle provenienti dalla Francia: al netto delle rituali cortesie diplomatiche con l’Italia, Parigi ha infatti stabilito definitivamente che il capitolo Torino-Lione verrà riaperto, eventualmente, solo a partire dal remotissimo 2030. La montagna è impervia: ci sono voluti anni prima che Santoro, paladino di tante cause civili, si decidesse a spedire il fido Ruotolo nella valle in rivolta: accadde nel 2012, quando il contadino anarchico Luca Abbà precipitò (folgorato) dal traliccio su cui si era inerpicato per protesta, tallonato da un poliziotto. Rivisto un anno dopo, sempre grazie a Ruotolo, Luca Abbà non denuncia gli oscuri attentati incendiari che hanno colpito le imprese collegate al cantiere, ne prende nota e rivendica in linea di principio il diritto di ricorrere anche al sabotaggio come strumento legittimo di lotta.E’ esattamente questo atteggiamento, diffuso in larghi settori del movimento “ribelle”, che spinge il procuratore Caselli a chiarire che – dal punto di vista della legge – non sono ammissibili infrazioni alla legalità, specie se violente come l’intimidazione o il lancio di sassi e petardi contro operai e agenti. Per contro, lo stesso Ruotolo mette a fuoco le aziende colpite dagli incendi: alcune hanno alle spalle vicissitudini giudiziarie, qualcuna è stata addirittura sfiorata da indagini dei Ros sul rapporto opaco tra politica, affari e ‘ndrangheta. Anche questo fa parte della montagna grigia, in una serata in cui Beppe Grillo tuona da Trento contro il presidente Napolitano, che il giorno dopo il blitz al Senato per disinnescare l’antifurto della Costituzione, l’articolo 138, a tarda ora ha convocato al Quirinale i partiti delle larghe intese per “invitarli” a cestinare finalmente l’impresentabile legge elettorale, tanto vituperata quanto cara ai privatizzatori della democrazia.La montagna è questa deriva infinita, nella quale gli italiani – valsusini e non – hanno ormai la certezza di non contare più niente, e di non sapere neppure più bene come arrivare alla fine del mese. La soluzione, dice Giorgia Meloni, non può essere che la partecipazione democratica: rifiutare il vittimismo passivo e scendere in campo direttamente per cambiare le cose, nonostante l’insormontabile muraglia del patriziato economico, dell’oligarchia finanziaria, della lebbra partitocratica. E anche della catastrofe nazionale dell’informazione: su questo versante, almeno, Santoro e Travaglio hanno accorciato le distanze, recuperando terreno prezioso. Certo, c’è voluta la manifestazione di Roma. Tutti i civili appelli all’ascolto, rivolti dalla valle di Susa alle maggiori istituzioni, erano sempre caduti nel vuoto – lettera morta anche per giornali e televisioni. La montagna è ancora lì. Si chiama Troika, rigore, Fiscal Compact, pareggio di bilancio, tetto del deficit al 3% del Pil. Politici sintonizzati? Zero: non pervenuti. Aspettano che la montagna ci frani addosso?La montagna è una fatica di cui non si vede mai la vetta, è Giorgia Meloni che nella trasmissione di Santoro denuncia i 90 miliardi di euro che grazie al governo Letta il gioco d’azzardo legalizzato ha sottratto al fisco, sono i No-Tav che in quello stesso studio aggiungono sul conto anche i 24 miliardi iniziali (solo previsti, mai stanziati perché inesistenti) per la grande opera più ridicola, costosa e inutile d’Europa, di cui i politici in trasmissione ammettono di sapere poco o nulla, nonostante sia diventata un caso nazionale per via delle gravi accuse di eversione piovute sulla protesta. La montagna sono le due ore di trasmissione che scorrono prima di “scoprire” che il famoso cantiere di Chiomonte, epicentro dello scontro, non è certo quello del futuro tunnel ferroviario: si sta solo scavando una mini-galleria di servizio, archiviabile alla svelta se solo si volesse farla finita, una volta per tutte, con la leggenda del treno veloce – non più per i passeggeri ma per le merci, che notoriamente viaggiano a bassa velocità.
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Gaffe, bugie e arroganza: la Merkel smaschera Obama
Gaffe, arroganza e menzogne: così perfino Angela Merkel finisce per “smascherare” un’America in cui l’opinione pubblica è distratta dal «pessimo debutto della nuova sanità obamiana», i mass media “dormono al volante” e Barack Obama «è lento a reagire all’ultima puntata del Datagate», lo scandalo sullo spionaggio globale rivelato da Edward Snowden, ex consulente Cia e Nsa oggi riparato a Mosca. Il capo della Casa Bianca, spiega Federico Rampini, è stato «colto di sorpresa dalla durezza di Angela Merkel», ovvero dalla brusca telefonata “voluta da Berlino” per protestare vibratamente contro lo spionaggio del cellulare della cancelliera. «L’impreparazione della Casa Bianca e dell’America intera di fronte allo sdegno degli alleati – osserva Rampini – traspare nei bizantinismi adottati per placare e minimizzare: false smentite e bugie dalle gambe corte tradiscono imbarazzo e pigrizia, sottovalutazione o arroganza».Obama risponde alla Merkel che «l’America non spia e non spierà la cancelliera tedesca», ma si guarda bene dall’usare il verbo al passato: dunque, scrive Rampini su “Repubblica”, non esclude che lo spionaggio sia accaduto in passato. Trucchi semantici come quelli usati dal capo dell’intelligence, James Clapper: di fronte alle rivelazioni di “Le Monde” sui 70 milioni di telefonate francesi sorvegliate dalla National Security Agency in un solo mese, Clapper smentisce che siano state “intercettate”. Ma lo spionaggio nell’èra di Big Data, per controllare quantità così smisurate di comunicazioni, cattura a tappeto i “meta-dati”, registrando chi ha chiamato chi, da dove, quando. «L’intercettazione dei contenuti scatta semmai ex post, se gli algoritmi che analizzano i meta-dati segnalano qualcosa di sospetto». Questo, aggiunge Rampini, è il succo dei due maggiori programmi di spionaggio, “Prism” e “Swift”.Del resto, lo stesso Clapper non smentisce le intercettazioni alle ambasciate francesi a Washington e all’Onu, indebolendo la linea difensiva di Obama, secondo cui la Nsa avrebbe «salvato vite umane, sventato attentati terroristici anche ai danni dei nostri alleati». No, protesta Rampini: «Lo spionaggio delle ambasciate all’Onu serviva per le manovre della diplomazia Usa ai tempi delle sanzioni contro l’Iran». La tempesta con Berlino, ricorda il giornalista di “Repubblica”, era stata anticipata da un primo screzio il 19 giugno, quando Obama si preparava a replicare lo storico discorso di Kennedy. Poche ore prima, in una gelida conferenza stampa, la Merkel aveva avanzato le prime proteste per iniziali rivelazioni sullo spionaggio della Nsa ai danni degli alleati Usa. Già allora, Obama rispose che quelle intercettazioni erano «servite a prevenire attacchi terroristici, anche qui sul territorio tedesco». Spiegazione, osserva Rampini, accettata in un primo momento sia dai media, sia dall’opinione pubblica «assuefatta al Grande Fratello post-11 Settembre».Analoga indifferenza, dal mainstream americano, anche dopo la telefonata di protesta della Merkel del 23 ottobre. E le proteste del presidente francese Hollande per lo spionaggio? «Quattro righe nei notiziari esteri del “New York Times”, un colonnino sul “Wall Street Journal” che precisa: “Il governo francese vuole già ridimensionare, non ci saranno conseguenze”». In questo clima, «autoreferenziale e distratto», Obama è colto in contropiede dalla cancelliera e dalla sua minaccia di “gravissimi danni” nelle relazioni bilaterali Germania-Usa. «Difficile, stavolta, rispondere alla Merkel che il suo cellulare fu spiato per prevenire attacchi terroristici», annota Rampini. Per di più, «l’incidente con Berlino giunge al termine di un crescendo di disastri». Dilma Roussef, presidente del Brasile, «non si è accontentata di cancellare una visita di Stato»: è andata all’Onu per proclamare la sua indignazione all’assemblea generale. E il Messico, alleato di ferro degli Stati Uniti, «è in subbuglio per lo spionaggio sul suo ex-presidente». L’intera America latina sprofonda in un clima “anti-yankee” che non si ricordava da decenni. «Valeva la pena pagare un prezzo così alto, pur di lasciare le briglie sciolte al Grande Fratello della Nsa?».È questo, dice Rampini, il dibattito assente negli Stati Uniti, tra la classe dirigente e sui media. È vero, Obama aveva promesso una riforma dell’intelligence con nuove tutele per la privacy, come conferma anche oggi alla Merkel. «Ammesso che questa riforma avanzi, la sua lentezza tradisce la sottovalutazione del danno inflitto nel mondo intero al “soft power” americano», scrive il giornalista di “Repubblica”. «Visti da Washington, gli europei sono sempre un’Armata Brancaleone che reagisce in ordine sparso». Hollande, Letta, Merkel: «Ciascuno parla per sé, con sfumature diverse,». Una posizione unitaria dell’Europa? Forse è ormai imminente. Nonostante la tradizionale debolezza politico-diplomatica di Bruxelles, «dall’Europa si sente crescere la voglia di rappresaglie: contro la cooperazione anti-terrorismo tra le due sponde dell’Atlantico, o contro il patto per la liberalizzazione degli scambi e degli investimenti». Risultato: «Per un’America obamiana che partiva da una popolarità a livelli record, la caduta dovrebbe essere inquietante». Sintetizza da Parigi il presidente della commissione parlamentare affari legislativi: «Gli Stati Uniti non sanno avere alleati, per loro il mondo si divide tra nemici e vassalli».Gaffe, arroganza e menzogne: così perfino Angela Merkel finisce per “smascherare” un’America in cui l’opinione pubblica è distratta dal «pessimo debutto della nuova sanità obamiana», i mass media “dormono al volante” e Barack Obama «è lento a reagire all’ultima puntata del Datagate», lo scandalo sullo spionaggio globale rivelato da Edward Snowden, ex consulente Cia e Nsa oggi riparato a Mosca. Il capo della Casa Bianca, spiega Federico Rampini, è stato «colto di sorpresa dalla durezza di Angela Merkel», ovvero dalla brusca telefonata “voluta da Berlino” per protestare vibratamente contro lo spionaggio del cellulare della cancelliera. «L’impreparazione della Casa Bianca e dell’America intera di fronte allo sdegno degli alleati – osserva Rampini – traspare nei bizantinismi adottati per placare e minimizzare: false smentite e bugie dalle gambe corte tradiscono imbarazzo e pigrizia, sottovalutazione o arroganza».
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Maradona, gli evasori e i pagliacci (tra sdegno e fiction)
Maradona, il calcio e le tasse: quando il senso civico «finisce nelle mani dei pagliacci». Che sarebbero, nell’ordine: l’ex grande giocatore argentino e il tele-intrattenitore più coccolato d’Italia, Fabio Fazio. Con la “complicità” indiretta di un grande eretico della televisione italiana, Gianni Minà, “colpevole” di aver contribuito a mitizzare il Pibe de Oro, facendone una sorta di eroe da presentare in prima serata – tra la Littizzetto e l’anonimo Raffaele Fitto – nel bel mezzo del Grande Nulla italiano. E’ il grigio campo di gioco nel quale il mainstream di regime cincischia a bordo campo, proprio come il Dieguito dei bei tempi, pur di non parlare della crisi che sta scotennando il paese. Perfetto, nella grande finzione, anche il sapiente dosaggio emotivo del vicedirettore della “Stampa”, Massimo Gramellini, bravissimo nel dispensare ai telespettatori il suo Libro Cuore