Archivio del Tag ‘killer’
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Appello alla Boldrini: fuori quel dossier su Ilaria Alpi
Un grazie alle oltre trentamila persone, molte delle quali lettrici e lettori di questo giornale, che, in un solo giorno, hanno firmato la petizione per reclamare verità e giustizia sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Le ragioni di questa iniziativa sono già state descritte, nel suo blog, dal direttore di “Articolo 21” Stefano Corradino. Tra qualche giorno, il prossimo 20 marzo, saranno passati 20 anni dal giorno della esecuzione di Ilaria e Miran. I due stavano portando a compimento una rigorosa inchiesta sul traffico di rifiuti tossici tra Italia e Somalia e, stando alle ricostruzioni, si erano “pericolosamente” avvicinati alla cupola che gestiva gli affari e alle connessioni tra il ciclo dei rifiuti, la criminalità organizzata, e i protettori politici. Le indagini e la vicenda processuale hanno ripercorso il copione già visto in tanti altri processi simili: depistaggi, amnesie, segreti di stato, veline di regime.A combattere questa battaglia civile sono restati i familiari di Ilaria e di Miran, gli amici di sempre, le ragazze e i ragazzi del Premio Ilaria Alpi, giornalisti e legali coraggiosi che non hanno mai mollato la presa. Tra qualche giorno, in tutta Italia, ci saranno le iniziative per ricordare il 20 marzo di 20 anni fa, una delle più importanti si svolgerà alla Camera dei deputati, alla presenza di Laura Boldrini. Alla vigila di questa ricorrenza il legale della famiglia Alpi, Domenico D’Amati, che ha dedicato la vita a contrastare bavagli, censure, oscurità, ha rivolto un appello alle istituzioni affinché siano desecretati tutti gli atti relativi non solo a questo caso, ma anche al materiale acquisito dalla commissione parlamentare che ha indagato sul ciclo dei rifiuti tossici ed anche sui rapporti tra Italia e Somalia.Questo appello, raccolto da “Articolo 21”, é stato rilanciato dalla piattaforma “Change.org” e ha trovato l’adesione di migliaia di cittadine e di cittadini. La speranza è che, in occasione del ventennale, possa arrivare una risposta positiva che consenta alla Procura della Repubblica di Roma di acquisire documenti utili alla ricerca della verità e della giustizia. Non sappiamo se quelle carte contengano elementi dirompenti, ma abbiamo tutti il dovere di tentare il tentabile, di non fornire altri alibi ai depistatori, di provare ad illuminare quello che hanno voluto oscurare e cancellare. Per queste ragioni vi chiediamo non solo una firma, ma anche un aiuto a far conoscere e a condividere l’appello “Niente segreti sulla morte di Ilaria Alpi e sul traffico di armi e rifiuti”.I giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994. Erano in Somalia per indagare su un traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici illegali. Ed è per questa ragione che sono stati assassinati. Ma a venti anni di distanza siamo ancora in attesa di conoscere tutta la verità su quella vicenda. Questa verità potrebbe essere contenuta nella pila di carta (ottomila documenti) che i servizi di sicurezza militare, l’ex Sismi, oggi Aise, hanno accumulato su fatti che attengono all’esecuzione dei due giornalisti. Carte messe sotto chiave negli archivi della Camera a cui sembra essere stato negato l’accesso dall’Agenzia Aise – come rivela un’inchiesta de “Il Manifesto” firmata dai giornalisti Andrea Palladino e Andrea Tornago – che pare «abbia negato l’autorizzazione a un ufficio di Montecitorio che chiedeva la declassificazione dei documenti riservati acquisiti dalla Commissione parlamentare sui rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella».«E’ fondamentale che queste carte siano rese pubbliche e che ai cittadini sia data la possibilità di sapere», ha affermato sul sito di “Articolo 21” Domenico D’Amati, legale della famiglia Alpi. «C’è molto da fare e speriamo che tutti gli organi dello Stato collaborino. In primo luogo la Camera dei deputati che deve desecretare questi documenti fondamentali sui traffici dei rifiuti tossici». Per questo, facciamo appello al Presidente della Camera Laura Boldrini, di cui conosciamo e apprezziamo la sensibilità umana e civile, affinché si possa consentire l’accesso ai dossier, per squarciare “il muro di gomma” dei poteri che hanno ostacolato la ricerca della verità.(Giuseppe Giulietti, “Niente segreti sulla morte di Ilaria Alpi e sul traffico di armi e rifiuti”, da “Micromega” del 13 marzo 2014).Un grazie alle oltre trentamila persone, molte delle quali lettrici e lettori di questo giornale, che, in un solo giorno, hanno firmato la petizione per reclamare verità e giustizia sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Le ragioni di questa iniziativa sono già state descritte, nel suo blog, dal direttore di “Articolo 21” Stefano Corradino. Tra qualche giorno, il prossimo 20 marzo, saranno passati 20 anni dal giorno della esecuzione di Ilaria e Miran. I due stavano portando a compimento una rigorosa inchiesta sul traffico di rifiuti tossici tra Italia e Somalia e, stando alle ricostruzioni, si erano “pericolosamente” avvicinati alla cupola che gestiva gli affari e alle connessioni tra il ciclo dei rifiuti, la criminalità organizzata, e i protettori politici. Le indagini e la vicenda processuale hanno ripercorso il copione già visto in tanti altri processi simili: depistaggi, amnesie, segreti di Stato, veline di regime.
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L’euro-oligarchia tortura i greci, senza più cibo né farmaci
Il 20 novembre il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha chiesto che i greci «facciano altri sacrifici» per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Troika. Definire questa una richiesta di sacrifici di sangue non è un’iperbole. Il grosso dei tagli al bilancio greco avviene nel settore sanitario e sociale. Stando al rapporto appena pubblicato dall’Ocse, “Health at a Glance 2013”, la spesa pro capite per la sanità in Grecia è crollata dell’11,1% tra il 2010 ed il 2011, il crollo peggiore in tutti i 34 paesi membri dell’Ocse. È aumentata la mortalità infantile. Come c’era da aspettarsi, il secondo posto va ad un’altra vittima della Troika, l’Irlanda, dove la spesa per la sanità è diminuita del 6,6%. Negli anni successivi la situazione è peggiorata drammaticamente. Ad un incontro dell’Associazione Medica di Atene il 16 novembre, il ministro della sanità greco Andonis Georgiadis è stato accolto da urla di “assassino economico” dalle centinaia di medici e operatori sanitari presenti.Pochi giorni prima Georgiadis, confermando che l’ente sanitario nazionale avrebbe licenziato oltre 1.200 medici, si era preso tutto l’onore di questa decisione. Oltre 6.000 medici sono già emigrati in cerca di un impiego. La stessa settimana Georgiadis ha ammesso che i pazienti di oncologia hanno liste di attesa di un anno per le cure negli ospedali pubblici, inclusi quelli di Atene e Thessaloniki. Al Policlinico di Iraklio, a Creta, devono aspettare fino all’ottobre 2014! Tutto il sistema è stato gettato nel caos quando sono stati chiusi otto ospedali nell’area di Atene. Uno studio condotto dalla Scuola nazionale di sanità pubblica dimostra che un greco su tre ha ridotto il dosaggio dei propri farmaci per farli durare più a lungo. I pazienti cronici hanno ridotto del 30% le visite dal 2011 al 2013, perché non possono più permettersi di pagare il ticket.Questa politica uccide, come dimostra il fatto che negli ultimi 4 anni l’aspettativa di vita è scesa da 81 a 78 anni. E questo non vale solo per gli anziani e gli infermi. L’Unicef riferisce che 600.000 bambini e giovani in Grecia sono malnutriti e vivono al di sotto del livello di povertà, mentre un altro studio ha rilevato che il 60% degli scolari affronta «l’incertezza del cibo» mentre il 23% patisce la fame. Tre famiglie su cinque in aree «socialmente vulnerabili» non sono neanche in grado di offrire ai propri figli una fetta di pane a colazione prima di mandarli a scuola. Decine di migliaia di genitori si sono dovuti rivolgere ad enti per l’infanzia quali “Sos Children’s Villages”, perché non possono più permettersi di nutrirli. Nonostante questi effetti killer, l’intenzione del governo è di ridurre la spesa sociale di un altro 10%. La disoccupazione aumenterà così dal 28 al 34%, con la disoccupazione giovanile arrivata ad un incredibile 64%.(“L’oligarchia euro chiede altri sacrifici di sangue”, intervento pubblicato da “Movisol” e ripreso da “Megachip” il 3 dicembre 2013).Il 20 novembre il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha chiesto che i greci «facciano altri sacrifici» per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Troika. Definire questa una richiesta di sacrifici di sangue non è un’iperbole. Il grosso dei tagli al bilancio greco avviene nel settore sanitario e sociale. Stando al rapporto appena pubblicato dall’Ocse, “Health at a Glance 2013”, la spesa pro capite per la sanità in Grecia è crollata dell’11,1% tra il 2010 ed il 2011, il crollo peggiore in tutti i 34 paesi membri dell’Ocse. È aumentata la mortalità infantile. Come c’era da aspettarsi, il secondo posto va ad un’altra vittima della Troika, l’Irlanda, dove la spesa per la sanità è diminuita del 6,6%. Negli anni successivi la situazione è peggiorata drammaticamente. Ad un incontro dell’Associazione Medica di Atene il 16 novembre, il ministro della sanità greco Andonis Georgiadis è stato accolto da urla di “assassino economico” dalle centinaia di medici e operatori sanitari presenti.
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Ma il vero complottismo è quello della verità ufficiale
Per anni, i custodi della verità ufficiale hanno bollato come “fanatico cospirazionista” chi osava sostenere che il leader dei palestinesi Yasser Arafat fosse stato assassinato. Oggi l’autopsia rivela che Arafat è stato quasi certamente avvelenato col polonio-210, la stessa sostanza radioattiva che nel 2006 causò la morte della spia Alexandr Litvinenko. Le stesse persone che deridevano i “complottisti” pronti ad accusare Israele per la morte di Arafat non ebbero invece esitazioni sul caso Litvinenko: giustiziato da Putin, conclusero, ovviamente senza uno straccio di prova. Questi due casi, osserva Neil Clark, dimostrano che ci sono teorie del complotto “ufficialmente approvate”, e teorie del complotto che non godono di un simile beneplacito: etichettare qualcuno come “complottista”, da parte dei difensori delle verità ufficiali dell’Occidente, non ha niente a che vedere con la presenza di prove reali. «Definire qualcuno un “complottista” è la loro modalità operativa standard per dichiarare che una certa persona deve essere isolata». E’ il modo migliore soffocare il dibattito e spegnere il dissenso, alla faccia della libertà d’opinione.Non c’è maggior complottista dell’élite occidentale, scrive Clark in un intervento su “Rt” ripreso da “Megachip”. Obiettivo: ingannare l’opinione pubblica, che tende a fidarsi della narrazione dominante dell’establishment. Negli ultimi vent’anni, sono proprio i custodi della verità ufficiale ad aver barato in modo sistematico, e con conseguenze sanguinose come il mezzo milione di morti inflitto all’Iraq, attaccato nel 2003 con l’alibi – inventato – delle armi di distruzione di massa di Saddam. Dieci anni dopo, ecco la replica in Siria: gli stessi “guardiani della verità” hanno accusato Assad di aver bombardato la popolazione della capitale con gas tossici, a due passi dagli ispettori Onu appena arrivati in città. Prove? Inesistenti. E anche “inutili”, dopotutto, se il bersaglio sta dalla parte “sbagliata”: i media mainstream abboccano (o obbediscono, a seconda delle interpretazioni) e il gioco è fatto: l’indiziato diventa colpevole, di fronte al tribunale mediatico occidentale. E’ un gioco al massacro che si ripete identico: contro Hugo Chávez in Venezuela e contro Mahmoud Ahmadinejad in Iran, accusati entrambi di aver truccato i risultati elettorali. E le prove? Le ha pretese a gran voce un commentatore come Stephen Hildon, ma nessuno gli ha ancora risposto.«Quando il paese in discussione è un “nemico ufficiale”, non servono prove per fare delle affermazioni contro di esso», scrive Clark. «Non serve nemmeno che le affermazioni siano logiche». Esempio: se Bush e Blair avessero sinceramente ritenuto che l’Iraq possedesse armi nucleari, come avrebbero potuto attaccarlo in modo così imprudente? Il medesimo senso comune «ci dice anche che sarebbe stata pura follia, da parte del governo siriano, lanciare un esteso attacco chimico nei pressi di Damasco proprio mentre gli ispettori dell’Onu si trovavano in città, e mentre i falchi a favore del conflitto in Occidente non aspettavano che un qualunque pretesto per lanciare un attacco militare nel paese. E tuttavia ci si aspetta ancora che noi ci si beva queste teorie, nonostante la mancanza di prove ed il fatto che siano del tutto prive di senso». Al contrario, se il paese sotto osservazione è un paese occidentale o un alleato dell’Occidente come Israele, chiunque lo critichi viene immediatamente isolato come “complottista”, anche se si basa su fatti accertati e rispondenti a una logica ragionevole. «Se state cercando di trovare delle strampalate teorie del complotto – conclude Clark – l’esperienza degli ultimi vent’anni ci dice che il posto migliore in cui trovarle non è sul web o sui media “alternativi”, ma nelle voci (e nelle penne) degli stessi guardiani della verità ufficiale».Per anni, i custodi della verità ufficiale hanno bollato come “fanatico cospirazionista” chi osava sostenere che il leader dei palestinesi Yasser Arafat fosse stato assassinato. Oggi l’autopsia rivela che Arafat è stato quasi certamente avvelenato col polonio-210, la stessa sostanza radioattiva che nel 2006 causò la morte della spia Alexandr Litvinenko. Le stesse persone che deridevano i “complottisti” pronti ad accusare Israele per la morte di Arafat non ebbero invece esitazioni sul caso Litvinenko: giustiziato da Putin, conclusero, ovviamente senza uno straccio di prova. Questi due casi, osserva Neil Clark, dimostrano che ci sono teorie del complotto “ufficialmente approvate”, e teorie del complotto che non godono di un simile beneplacito: etichettare qualcuno come “complottista”, da parte dei difensori delle verità ufficiali dell’Occidente, non ha niente a che vedere con la presenza di prove reali. «Definire qualcuno un “complottista” è la loro modalità operativa standard per dichiarare che una certa persona deve essere isolata». E’ il modo migliore soffocare il dibattito e spegnere il dissenso, alla faccia della libertà d’opinione.
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Krugman: complotto contro Hollande, che sfida la Troika
Un piano per stroncare Hollande, che avrebbe osato tener testa alla Troika. Il killer incaricato: l’agenzia di rating “Standard & Poor’s”, pronta a declassare la Francia nonostante abbia i bilanci in ordine. Certo, il presidente socialista non si è spinto fino al punto da denunciare Bruxelles, contestando il Fiscal Compact e il meccanismo oligarchico del tritacarne europeo (tagli per tutti, tranne che per i super-ricchi). Ma a irritare gli eurocrati è bastato che Parigi scegliesse di “interpretare” il rigore in modo meno feroce, puntando a proteggere i francesi. Lo rivela un peso massimo dell’economia mondiale, Paul Krugman, sceso in campo dalle pagine del “New York Times” in favore del capo dell’Eliseo: proprio mentre i sondaggi bocciano Hollande e lanciano Marine Le Pen, che minaccia l’uscita dall’euro e addirittura dall’Ue, il Premio Nobel vicino ad Obama sostiene che il livello di intolleranza della Troika è tale da mettere al bando, ricorrendo addirittura a un complotto, l’unico governante europeo che abbia osato anche solo negoziare l’adozione dell’austerity.Per Krugman, il declassamento della solvibilità francese è una «manovra politica destabilizzante»: Wall Street punisce Hollande per aver “osato” salvaguardare il welfare francese. «E’ la prima volta che un economista di punta americano, nonché consulente della Casa Bianca, professore e maestro di colei che andrà a guidare la Federal Reserve Usa, sbugiarda i rating americani denunciandone l’uso politico», scrive Sergio Di Cori Modigliani nel suo blog. Per il “maestro” di Janet Yellen, erede di Benanke alla Fed, «la Repubblica di Francia e monsieur Hollande sono vittime di un complotto del mondo della finanza e delle oligarchie politiche europee perché la Francia è l’unica nazione d’Europa che sta diminuendo il proprio disavanzo pubblico, sta migliorando i propri conti, è perfettamente in linea con i parametri europei, ma ha un difetto grave che nessuno gli perdona: ha salvato, sta salvando e intende salvare lo Stato Sociale della sua nazione».Black out totale, in Italia, sulle enormi ripercussioni dello scontro: da noi, scrive Di Cori Modigliani, si è sorvolato sull’incontro tra Hollande e la Troika nel corso del quale il presidente francese ha chiesto (e ottenuto) il permesso di sforare il tetto del 3% della spesa pubblica «fino alla cifra che riterremo opportuna per gli interessi della Francia», rimandando il pareggio di bilancio al 2015. «L’ha fatto Hollande, lo potevano fare Mario Monti ed Enrico Letta: sarebbe stato sufficiente convocare la Troika, un mese fa – invece che farsi convocare – pretendere di rimandare la scadenza europea al 2015 avvalendosi del precedente francese e sostenere “o ci date una deroga e ci consentite quindi di investire 100 miliardi di euro per pagare i debiti alle piccole e medie imprese immediatamente oppure noi usciamo dall’euro domattina”». Per il blogger, «la Troika si sarebbe arresa». Ma, ovviamente, sarebbero stati necessari «attributi solidi, non quelli di plastica di cui è fornita la nostra classe dirigente», in realtà perfettamente organica (Bilderberg, Goldman Sachs) al “cerchio magico” del super-potere mondiale.In un incontro pubblico all’università di New York, lo stesso Krugman ha rivelato con dovizia di particolari i retroscena del «tragico incontro» che, circa due mesi fa, François Hollande ha avuto con Herman Van Rompuy e Olli Rehn, due sbiaditi politici europei (Belgio, Finlandia) trasformati in “serial killer politici” dal potere non-democratico di Bruxelles. La Francia aveva appena presentato i propri conti alla famigerata Commissione Europea: erano tutti a posto e in linea con le richieste. Ma sia Van Rompuy che Olli Rehn, rispettivamente presidente del Consiglio d’Europa e super-commissario all’economia Ue, contestarono le misure “per come erano state fatte”. Perché Hollande, dice Modigliani, «aveva alzato le tasse ai super-ricchi e quelle sulle rendite finanziarie, aveva dimezzato i costi della politica, aveva aggredito (decurtandoli) gli stipendi dei grossi manager pubblici». E il risparmio così ottenuto, «invece di investirlo per rifinanziare le proprie banche lo aveva dirottato nell’istruzione pubblica, nella ricerca scientifica, nella salvaguardia e cura del patrimonio artistico nazionale, avviando un piano di recupero del territorio e di sostegno per la disoccupazione intellettuale, quest’ultima (per la Francia) una priorità assoluta di cui occuparsi». Attenzione alla perversa sottigliezza della Troika: «Non vennero contestati i conti, che erano a posto, ma venne contestato il principio sulle modalità usate per ottenere il beneplacito della Commissione Europea».Per la Troika «non era accettabile l’idea che lo stato sociale venisse salvaguardato, addirittura implementato». Quindi, non c’entra lo stato di salute del bilancio: quello che davvero importa è che i conti siano a posto «solo e soltanto se contemporaneamente aumenta la disoccupazione e le risorse non vengono investite nei campi dell’istruzione pubblica, della sanità pubblica, della ricerca scientifica». In Italia il Movimento 5 Stelle spiega come e dove trovare in soldi per i 600 euro mensili del “reddito di cittadinanza”? Una proposta sicuramente indigesta, per figuri come Rehn e Van Rompuy: ecco perché Letta & colleghi non la prendono nemmeno in considerazione. «La vera guerra in corso – conclude Modigliani – è tra gli oligarchi del privilegio e la cittadinanza che lavora: il mondo ormai si divide tra chi fa la guerra contro i poveri e chi fa la guerra contro la povertà». Hollande sa che i francesi non accetterebbero di veder cancellato il proprio welfare? E allora la Troika lo fa “bastonare” dalle agenzie di rating. Ora lo difende Krugman, ben sapendo che in panchina si sta già scaldando madame Le Pen: in viste delle europee, il Front National annuncia che, di questo passo, per rimettere piede in Francia, personaggi come Rehn e Van Rompuy dovranno esibire i loro documenti alla polizia di frontiera.Un piano per stroncare Hollande, che avrebbe osato tener testa alla Troika. Il killer incaricato: l’agenzia di rating “Standard & Poor’s”, pronta a declassare la Francia nonostante abbia i bilanci in ordine. Certo, il presidente socialista non si è spinto fino al punto da denunciare Bruxelles, contestando il Fiscal Compact e il meccanismo oligarchico del tritacarne europeo (tagli per tutti, tranne che per i super-ricchi). Ma a irritare gli eurocrati è bastato che Parigi scegliesse di “interpretare” il rigore in modo meno feroce, puntando a proteggere i francesi. Lo rivela un peso massimo dell’economia mondiale, Paul Krugman, sceso in campo dalle pagine del “New York Times” in favore del capo dell’Eliseo: proprio mentre i sondaggi bocciano Hollande e lanciano Marine Le Pen, che minaccia l’uscita dall’euro e addirittura dall’Ue, il Premio Nobel vicino ad Obama sostiene che il livello di intolleranza della Troika è tale da mettere al bando, ricorrendo addirittura a un complotto, l’unico governante europeo che abbia osato anche solo negoziare l’adozione dell’austerity.
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Cecchini killer di feti? Ron Paul: altra ripugnante bufala
Cecchini-killer, così feroci da prendere di mira le gestanti per colpire il feto nel loro grembo. Oltre l’orrore. L’ennesimo crimine del regime di Assad, denunciato dal “Times” di Londra: quei cecchini, probabilmente cinesi o provenienti dall’Azerbaijan, si “giocavano” i nascituri, per ottenere il premio in palio: sigarette. La fonte? Un medico britannico, David Nott, reduce da alcune settimane in Siria come volontario. Agghiacciante, se fosse vero. Dubbi? No, certezze: non c’è nessuna prova a supporto di questa storia allucinante. E lo stesso dottor Nott ha ammesso che quelli sull’identità dei cecchini, che avrebbero colpito 7-8 donne, erano soltanto “pettegolezzi”. Per l’istituto di Ron Paul, ginecologo ed ex deputato statunitense, è uno scandalo: come fa il “Times” di Rupert Murdoch a spacciare per vere simili storie? Dov’è finito quello che un tempo si chiamava giornalismo?Dietro al “Times”, scrive l’Istituto Ron Paul in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, si è allineata l’intera stampa britannica, a cominciare dal “Daily Mail”. Le prove di un gioco così macabro e diabolico? Nessuna: solo voci orecchiate. E chi dice che i killer fossero tiratori scelti del regime? «Sappiamo che gli insorti fanno uso regolare di cecchini», infatti hanno appena ucciso il generale Jameh Jameh, un alto funzionario dell’intelligence di Damasco. «Sappiamo anche che i cecchini ribelli sono rintanati nelle grotte sopra il villaggio cristiano di Maaloula, dove terrorizzano la popolazione e prendono di mira abitualmente gli stessi giornalisti». Accanto all’articolo del “Times”, l’immagine di una radiografia raccapricciante: in evidenza un feto nel grembo materno, con un proiettile di grosso calibro nel cranio. Strano: il proiettile «sembra essere passato attraverso il corpo della madre fino al cranio del feto». Ha penetrato il tessuto molle e, «in modo perfettamente drammatico», si è fermato nel lobo frontale del cervello «senza danni visibili al cranio del bambino». Già: «Perché nessun danno al cranio? Perché nessun punto visibile di entrata?».Inoltre, aggiunge Ron Paul, ci viene detto che i medici stanno operando in condizioni disperate, senza mezzi sanitari. «Perché un medico in una tale situazione di crisi avrebbe avuto il tempo e le risorse per fare i raggi x di un bambino già morto? Ha senso tutto questo?». Domanda: da dove viene quella radiografia? E’ stata fornita ai media britannici da una Ong come “Syria Relief”, che assicura che il referto proviene effettivamente dalla Siria ma, nel suo sito web, è «incredibilmente reticente nel fornire informazioni circa l’organizzazione, i suoi fondatori, i suoi funzionari, i suoi amministratori e i suoi finanziatori». Quanto al dottor Nott, aggiunge l’istituto di Ron Paul, «è interessante notare che, una volta, era medico dell’ex primo ministro britannico e profittatore di guerra Tony Blair». Il “Times” e gli altri? «Come Goebbels, nella loro trasparente propaganda a favore della guerra». Come quando raccontarono la storia – falsa – dei “bambini strappati dalle incubatrici” dai soldati di Saddam nel Kuwait occupato. Attenti ai cecchini, dunque: quelli appostati in Siria, e quelli annidati nelle redazioni del mainstream.Cecchini-killer, così feroci da prendere di mira le gestanti per colpire il feto nel loro grembo. Oltre l’orrore. L’ennesimo crimine del regime di Assad, denunciato dal “Times” di Londra: quei cecchini, probabilmente cinesi o provenienti dall’Azerbaijan, si “giocavano” i nascituri, per ottenere il premio in palio: sigarette. La fonte? Un medico britannico, David Nott, reduce da alcune settimane in Siria come volontario. Agghiacciante, se fosse vero. Dubbi? No, certezze: non c’è nessuna prova a supporto di questa storia allucinante. E lo stesso dottor Nott ha ammesso che quelli sull’identità dei cecchini, che avrebbero colpito 7-8 donne, erano soltanto “pettegolezzi”. Per l’istituto di Ron Paul, ginecologo ed ex deputato statunitense, è uno scandalo: come fa il “Times” di Rupert Murdoch a spacciare per vere simili storie? Dov’è finito quello che un tempo si chiamava giornalismo?
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In guerra con Cappuccetto Rosso, nel nome dell’America
“The impossible, made possibile”: come nella pubblicità, o nelle fiabe. Tipo quella che racconta, il 31 agosto 2013, l’amabile narratore Vittorio Zucconi, una delle voci più influenti del mainstream italiano da quando sono scomparsi dalla scena i grandi giornalisti come Bocca, Biagi, Montanelli, Zavoli. Dai microfoni di “Radio Capital”, l’emittente del Gruppo Espresso, prima delle ultime elezioni – fino all’ultimo giorno – Zucconi condusse una campagna senza quartiere contro Grillo, fidando nella vittoria di Bersani. Poi, già l’indomani – numeri alla mano – “scoprì” all’istante la legittimità democratica dei 5 Stelle, premendo sui “cari amici” di fede grillina perché si decidessero ad allearsi col magnifico Pd. E’ precisamente da quest’alta cattedra di indipendenza giornalistica che proviene la lezione destinata ai lettori di “Repubblica” alla vigilia dell’“inevitabile” conflitto tra America e resto del mondo, stavolta in territorio siriano. Per il novelliere Zucconi – e qui sta la fiaba di giornata – gli Usa sarebbero nientemeno che una specie di Croce Rossa, periodicamente coinvolta suo malgrado in ordinari orrori, causa l’evidente incorreggibilità dei comuni mortali che abitano il pianeta, al di qua dell’Atlantico.
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Siria, come regalare il Medio Oriente a sauditi e terroristi
E’ il 1990 quando la giovane kuwaitiana Nayirah racconta di aver aver visto i soldati iracheni «strappare i bambini dalle incubatrici per lasciarli morire sul pavimento». Indignazione mondiale, rafforzata dalla conferma di Amnesty International. Quanto basta a George Bush per scatenare la prima guerra contro Saddam. Poi, a cose fatte, si scopre che quella testimonianza era falsa, inventata di sana pianta: i soldati iracheni non avevano mai allungato le mani sui neonati. Peggio: la giovane “testimone” Nayirah al-Sabah era in realtà la figlia dell’ambasciatore kuwaitiano, e aveva «recitato un pezzo preparato dalla società di comunicazione Hill & Knowlton, ingaggiata dall’emirato per favorire la liberazione del paese». Ancor più celebre, ricorda il condirettore di “Geopolitica”, Daniele Scalea, è il caso delle “armi di distruzione di massa” attribuite all’Iraq, cioè il casus belli la seconda Guerra del Golfo, nel 2003. Un copione che ricorda quello di oggi a Damasco: gli ispettori Onu che non trovano prove di responsabilità e Washington che punta sull’uso unilaterale della forza.
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Così Obama disonora la memoria di Martin Luther King
Le differenze tra Martin Luther King e Barack Obama non potrebbero essere più evidenti: «L’unica cosa che hanno in comune è il colore della pelle», sentenzia Tony Cartalucci, anche se «i canali d’informazione occidentali sono riusciti a tracciare delle linee di congiunzione tra queste due figure diametralmente opposte». Con la sua apparizione al Memoriale di Lincoln, secondo l’Associated Press l’attuale presidente Usa «era certo di rappresentare la realizzazione del sogno di centinaia di migliaia di persone che manifestarono lì nel lontano 1963», perché Obama «incarna il sogno e la lotta di King». Solo perché è nero, obietta Cartalucci, «o perché interpreta davvero quegli ideali di giustizia, uguaglianza e pace per cui Martin Luther King Jr. si è battuto durante tutta la sua vita e per i quali è morto?». Risposta: «Non esiste modo peggiore di offendere la memoria di Martin Luther King di quello di paragonarlo al presidente Obama, servo di un meccanismo che produce le più gravi disuguaglianze e ingiustizie sulla Terra, alimentato proprio da quegli “interessi corporativi” tanto avversati da King in tutta la sua vita e a causa dei quali probabilmente fu ucciso».
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La danza della pace di quei soldati sull’orlo della guerra
Ma gli americani che fanno? Quello che hanno sempre fatto: la guerra. «Ora dovremo dare una bella spazzolata alla Siria», diceva tempo fa un giovanotto, a cena ai tavoli di una pizzeria, in una città del nord. Indossava una tuta col tricolore e la scritta “Italia”. Era l’inizio del 2012: al film delle armi chimiche mancava ancora un anno e mezzo. Eppure, era come se il giovanotto lo conoscesse già: «Dovremo colpire la Siria – ripeteva, con aria grave – perché poi, lo sappiamo, ci aspetta lo scontro vero, quello con l’Iran». I commensali annuivano, attoniti, fingendo di capire: strana fiaba nera, ambientata in una geografia teoricamente prossima, mediterranea, eppure così remota e oscura, infestata di pericoli e di nemici incomprensibili. L’unico ambasciatore intellegibile, tra i misteri di quelle latitudini infide, era appunto il giovanotto con addosso la tuta militare – il solo volto amico momentaneamente a portata di mano. Con in tasca un messaggio chiarissimo e indiscutibile: guerra. Ma perché? Perché sì. Semplice: guerra contro il perfido dittatore Assad, come necessaria premessa per poi dare una lezione ai fanatici barbuti di Teheran.
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Libro-choc: c’era George Bush dietro all’omicidio Kennedy
A mezzo secolo dal fatale attentato di Dallas del 22 novembre 1963 si scopre che, oltre ai nomi già noti – Lyndon Johnson, Allen Dulles e Edgar Hoover – c’era un politico di prima grandezza dietro al complotto per assassinare John Fitzgerald Kennedy. Si tratta nientemeno che di George Bush padre, secondo la clamorosa ricostruzione offerta da un libro che uscirà negli Usa in ottobre, firmato dall’ex stratega repubblicano Roger Stone, già braccio destro di Richard Nixon, a sua volta coinvolto per la “copertura” del piano. Secondo Stone, fu Nixon – quand’era ancora un semplice deputato al Congresso – ad assoldare Jack Ruby, cioè Jacob Leon Rubinstein, l’uomo che poi assassinò il “capro espiatorio” Lee Harvey Oswald poche ore dopo il suo arresto-lampo. Ma – questa è la novità clamorosa – dietro le quinte c’era la regia occulta del futuro presidente Bush, padre di George W., poi capo della Cia prima di ascendere alla Casa Bianca. All’epoca fu spedito a Dallas come leader dei repubblicani del Texas e garante della potentissima lobby dei petrolieri texani, direttamente minacciata dai Kennedy. Un incrocio pericoloso – tenuto nascosto per decenni – fatto di depistaggi, omissioni, intimidazioni, menzogne e omicidi per eliminare testimoni scomodi.
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“Rf” si prenderà anche il nostro oro: e lo farà di nascosto
Lo faranno di nascosto, tu non saprai nulla, e per noi italiani, oltre che per molti altri, saranno ancor più miserie sociali, tagli a tutti i servizi, fallimenti di aziende come piovesse, disoccupazioni record, con i coglioni mediatici che in prima serata si chiederanno… “perché questa crisi non passa?”. Ecco cosa sta per accadere: il 70% del debito pubblico italiano di più di 2 mila miliardi di euro sarà trasferito a un fondo europeo comune, chiamato Redemption Fund (di seguito Rf), dove saranno convogliate anche tutte le eccedenze di debito pubblico degli altri Stati dell’Eurozona. Cioè: siccome il Trattato di Maastricht stabilisce che il debito pubblico degli Stati non deve essere superiore al 60% del Pil, tutto ciò che eccede questo limite nei debiti pubblici dei 17 paesi dell’euro sarà trasferito in questo Redemption Fund. Ok? Saranno quindi cifre immense di trilioni e trilioni di euro, che diverranno a quel punto di proprietà del Rf.
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Noi, oppressi dal debito: gli schiavi di Roma stavano meglio
Da una parte l’umanità e dall’altra il denaro – che ha vinto la sua guerra millenaria, e ora impone la sua legge dura e spietata. Se Roma evitava almeno di spillare tasse agli schiavi, a spremere anche loro provvide il feudalesimo, cioè la condizione storica alla quale stiamo tornando, come “profetizzato” in tempi non sospetti da Giuliano Amato. Di questo passo, con l’eclissi storica della sovranità, non ci saranno più diritti di nessun tipo: cittadini e popoli saranno semplicemente ridotti a chiedere l’elemosina, pronti anche a combattere le guerre di clan organizzate dei nuovi imperi. Analisi storica suggestiva, firmata dall’economista greco Dimitris Kazakis: che, attraverso fonti eterodosse – da Tacito a Engels, fino a Hitler – “spiega” che il dramma nel quale stiamo sprofondando, in primis come Eurozona, è paragonabile soltanto al più spaventoso cataclisma della storia dell’Occidente, ovvero la caduta dell’Impero Romano.