Archivio del Tag ‘reddito di cittadinanza’
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Galloni ai gialloverdi: come assumere 1 milione di giovani
Incombe una nuova crisi finanziaria, si aggraverà l’emergenza migranti, la Germania inizierà a sfilarsi dall’euro e l’Italia sarà nei guai senza più il “quantitative easing” garantito dalla Bce. Queste, per l’economista Nino Galloni, sono le vere mine sulla strada del governo gialloverde: senza una moneta parallela, fiscale, non sarà possibile andare lontano. La questione Tav in valle di Susa e le nomine Rai? Vengono enfatizzate e dipinte dagli avversari del governo quali prove dei contrasti interni e dei problemi della nuova maggioranza. In realtà, per Galloni, si tratta di tempeste in bicchieri d’acqua e, semmai, di sintonia futura. Certo, tutto può sempre accadere, persino tra qualche mese salti tutto, di fronte alle difficoltà proprie della legge finanziaria. Tuttavia la previsione che Galloni affida a “Scenari Economici” è diversa. «L’attuale cambiamento è importante ed irreversibile, sebbene varie questioni adesso in ballo rilancino la prospettiva di un’alleanza strategica tra Pd e Forza Italia», cosa che, beninteso, «rafforzerebbe quella fra gialli e verdi». Ma, se il governo supererà le tante “tempeste nel bicchiere” e anche la primavera 2019, dovrà affrontare le quattro grandi sfide che accompagneranno l’Europa. La prima? Sarà «la crisi finanziaria globale che seguirà l’allineamento della Bce sulle posizioni più restrittive della Fed e l’aumento dei tassi d’interesse che, col rafforzamento insensato del dollaro, costringeranno Trump ad insistere coi dazi».La crescita del Pil Usa, spiega Galloni, è stata tutta dovuta all’acquisto di merci Usa prima dell’introduzione dei dazi stessi. A questo si aggiungerà «l’aggravarsi e l’estendersi del problema immigrazione dall’Africa occidentale», un disastro che diventerà catastrofico, a medio termine, «se non si interverrà efficacemente sulle carestie locali, di origine climatica». Terzo guaio in arrivo: «Nella seconda parte del 2019 la Germania potrebbe cominciare a sfilarsi dall’euro per guardare di più verso Est». Attenzione: «Senza Qe e con un possibile declassamento del rating – sostiene Galloni – l’Italia si troverebbe in serie difficoltà, a meno di non introdurre valute parallele, minibonds o certificati di credito fiscale». Una strettoia serissima: «La possibilità che sia la Bce a fornire denaro allo Stato contro i titoli che le banche ordinarie non potessero più assorbire – spiega l’economista – è legata al commissariamento del paese», addirittura. Quarta calamità in arrivo, lo squilibrio tra domanda e offerta, nel mercato del lavoro: «Il sistema sta domandando sempre meno lavoro nei comparti redditizi, mentre in quelli dove l’occupazione dovrà crescere (servizi di cura delle persone, dell’ambiente e del patrimonio esistente), i costi – cioè il lavoro necessario – sono superiori al fatturato; quindi, alle condizioni del mercato non sono gestibili».Ecco la grande sfida che abbiamo di fronte, secondo Galloni, vicepresidente del Movimento Rooseelt: si tratta di «coniugare reddito di cittadinanza, riduzione delle tasse, maggiore libertà di azione per le piccole imprese, sicurezza e riqualificazione (ma non ridimensionamento!) dei compiti dello Stato». Finora, spiega, queste cose sono state rappresentate come alternative tra loro; adesso, invece, «bisogna trovare energie e risorse per realizzare qualcosa di nuovo e di assolutamente necessario». Le energie? Loro: i giovani disoccupati, laureati e diplomati. E le risorse? Basterà «l’emissione di un 2-3% di Pil di moneta sovrana non a debito a sola circolazione nazionale, non convertibile». Esempio: «Con l’equivalente di 25 miliardi di euro (pari all’1,5% del Pil) si potrebbe assumere un milione di giovani a 1.500 euro al mese per un anno». Obiettivo necessario, che «getterebbe nuova luce sul tema del reddito di cittadinanza e riqualificherebbe l’equilibrio di bilancio in rapporto alla riduzione della pressione fiscale». La moneta non a debito, infatti, «ha segno algebrico opposto a quello della spesa: e così il cambiamento sarebbe fattibile e possibile».Incombe una nuova crisi finanziaria, si aggraverà l’emergenza migranti, la Germania inizierà a sfilarsi dall’euro e l’Italia sarà nei guai senza più il “quantitative easing” garantito dalla Bce. Queste, per l’economista Nino Galloni, sono le vere mine sulla strada del governo gialloverde: senza una moneta parallela, fiscale, non sarà possibile andare lontano. La questione Tav in valle di Susa e le nomine Rai? Vengono enfatizzate e dipinte dagli avversari del governo quali prove dei contrasti interni e dei problemi della nuova maggioranza. In realtà, per Galloni, si tratta di tempeste in bicchieri d’acqua e, semmai, di sintonia futura. Certo, tutto può sempre accadere, persino tra qualche mese salti tutto, di fronte alle difficoltà proprie della legge finanziaria. Tuttavia la previsione che Galloni affida a “Scenari Economici” è diversa. «L’attuale cambiamento è importante ed irreversibile, sebbene varie questioni adesso in ballo rilancino la prospettiva di un’alleanza strategica tra Pd e Forza Italia», cosa che, beninteso, «rafforzerebbe quella fra gialli e verdi». Ma, se il governo supererà le tante “tempeste nel bicchiere” e anche la primavera 2019, dovrà affrontare le quattro grandi sfide che accompagneranno l’Europa. La prima? Sarà «la crisi finanziaria globale che seguirà l’allineamento della Bce sulle posizioni più restrittive della Fed e l’aumento dei tassi d’interesse che, col rafforzamento insensato del dollaro, costringeranno Trump ad insistere coi dazi».
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Meno Europa e più Italia dietro al feeling tra Conte e Trump
In un certo senso, con il viaggio negli Stati Uniti e l’incontro con il presidente Donald Trump, il premier italiano del governo gialloverde, Giuseppe Conte, esce da un quasi-anonimato politico. «Sinora, in prima battuta hanno giocato i Dioscuri del “contratto”, cioè i vicepresidenti Luigi Di Maio e soprattutto il leghista Matteo Salvini». E anche sui media esteri, aggiunge Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, sono i due vicepresidenti a delineare il profilo dell’unico governo dichiaratamente populista d’Europa. Tra i problemi dei migranti e i tentativi di nuove regole per i contratti di lavoro, con l’obiettivo primario del cambiamento, Salvini e Di Maio hanno tenuto inevitabilmente banco, essendo anche i leader dei due partiti di questa coalizione così “eterogenea”, «non solo per caratterizzazione politica, ma anche per obiettivi e fini a medio termine». Le stesse puntualizzazioni critiche del ministro all’economia, Giovanni Tria, nonché lo spettro del Cigno Nero evocato dal ministro Paolo Savona e la “spalla” offerta dai pentastellati a Salvini nel gestire la crisi dei migranti, con i porti chiusi alle Ong, restano sullo sfondo di un esecutivo bicolore che, se non sembra convincere l’establishment tradizionale italiano, dalla Confindustria ai sindacati fino ai grandi media, gode comunque, secondo i sondaggi, di un consenso superiore al 60% degli italiani.Ed è a questo punto, scrive Da Rold, che Giuseppe Conte, «il premier mediatore e probabilmente anche il garante delle scelte di fondo», va a presentare il nuovo “populismo italiano” davanti al vero capo del neo-sovranismo in salsa populista, il presidente degli Stati Uniti, cioè la potenza economica e militare più forte del mondo. «Non c’è dubbio che la contingenza politica nazionale e internazionale possono favorire il premier italiano in un dialogo con il presidente Usa – aggiunge l’analista del “Sussidiario” – fino a stabilire una sorta di corsia preferenziale per quanto riguarda gli affari europei e quelli mediterranei in particolare». Proprio Conte rivendica con orgoglio di essere il premier di un governo populista, ma si affretta a precisare che la permanenza dell’Italia nella Nato e nell’euro non si discutono. Il ministro Tria sarà “un Cerbero dei conti”, ma non abbandonerà il governo e quindi possono stare tutti tranquilli, anche gli alfieri della vecchia austerity e i nuovi confindustriali scalpitanti. Altro problema, il contesto internazionale: «Il croupier Jean-Claude Juncker, magari dopo una bevuta di bourbon, ha abbracciato Trump davanti alle macchine fotografiche trovando un compromesso sui dazi, per adesso. Ma di fatto Donald Trump, anche se poco lineare, non ha mai risparmiato critiche all’Europa, alla Germania in particolare. Si può mettere qualche cerotto, ma la ferita resta».In più, continua Da Rold, l’Unione Europea appare sempre più come un giocattolo rotto, «che deve essere aggiustato al più presto in qualche modo e con qualche riforma, prima che arrivi un’ondata anti-europeista degli stessi europei alle elezioni del prossimo anno». E’ un fatto: «Né Angela Merkel, né l’ammaccato Emmanuel Macron sembrano in grado di assicurare un rilancio e di tamponare le falle europee: occorre imboccare altre strade e battere altre piste». E qui, secondo Da Rold, può arrivare il paradosso: «L’attuale posizione del governo italiano, illustrata da un moderato come Giuseppe Conte, potrebbe giovare alla mediazione tra Stati Uniti e Unione Europea e potrebbe tracciare una sorta di pista privilegiata nei rapporti tra Usa e Italia, soprattutto per i problemi della stabilizzazione necessaria del Mediterraneo e del Nord Africa». In definitiva, Trump «potrebbe porsi come un mediatore tra i paesi del’Unione Europea che sono spesso in contrasto con la linea di Bruxelles e soprattutto quella di Berlino, e favorire quindi le esigenze anche dell’Italia». Potrebbe essere prezioso, l’aiuto Usa, quando l’Italia dovrà varare in autunno la legge di bilancio destinata, sulla carta, ad attuale le più impegnative promesse elettorali, Flat Tax e reddito di cittadinanza. «Gli italiani restano in attesa. Tocca ai politici del cosiddetto cambiamento giocare le carte utili e necessarie».In un certo senso, con il viaggio negli Stati Uniti e l’incontro con il presidente Donald Trump, il premier italiano del governo gialloverde, Giuseppe Conte, esce da un quasi-anonimato politico. «Sinora, in prima battuta hanno giocato i Dioscuri del “contratto”, cioè i vicepresidenti Luigi Di Maio e soprattutto il leghista Matteo Salvini». E anche sui media esteri, aggiunge Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, sono i due vicepresidenti a delineare il profilo dell’unico governo dichiaratamente populista d’Europa. Tra i problemi dei migranti e i tentativi di nuove regole per i contratti di lavoro, con l’obiettivo primario del cambiamento, Salvini e Di Maio hanno tenuto inevitabilmente banco, essendo anche i leader dei due partiti di questa coalizione così “eterogenea”, «non solo per caratterizzazione politica, ma anche per obiettivi e fini a medio termine». Le stesse puntualizzazioni critiche del ministro all’economia, Giovanni Tria, nonché lo spettro del Cigno Nero evocato dal ministro Paolo Savona e la “spalla” offerta dai pentastellati a Salvini nel gestire la crisi dei migranti, con i porti chiusi alle Ong, restano sullo sfondo di un esecutivo bicolore che, se non sembra convincere l’establishment tradizionale italiano, dalla Confindustria ai sindacati fino ai grandi media, gode comunque, secondo i sondaggi, di un consenso superiore al 60% degli italiani.
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Il governo Tria-Draghi-Mattarella spaventa Lega e 5 Stelle
Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente mininistro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.Il problema dei problemi, rileva Del Duca, è che – con l’attuale assetto del bilancio, allineato ai vincoli di Bruxelles – non ci sono abbastanza soldi per finanziare reddito di base, tagli alle tasse e pensioni più dignitose. Secondo l’analista del “Sussidiario”, non sarà facile trovare un equilibrio che consenta a 5 Stelle e Lega di poter dare segnali positivi, almeno parziali, al proprio elettorato. «Nel mirino è il titolare dell’economia, Giovanni Tria, cui spetterà di sicuro l’ingrato compito di trasformarsi nel “signor no” della spesa pubblica». Tanti i segnali già emersi in questa direzione: «Sono soprattutto i grillini ad adombrare un Tria nemico, arcigno guardiano dei conti pubblici, in nome e per conto di Mario Draghi, e con la benedizione del Quirinale». Il ministro, dal cantro suo, ha preparato la trincea per la battaglia che lo aspetta proprio nello scontro di questi giorni sulle nomine: «In cambio del via libera a Francesco Palermo alla guida della Cassa Depositi e Prestiti ha incassato la blindatura del dicastero di via XX Settembre con la nomina di Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro, che si affianca alla permanenza di Daniele Franco alla Ragioneria generale dello Stato».In questa fase, aggiunge Del Duca, la Lega ha svolto con Giancarlo Giorgetti un ruolo sostanzialmente di mediazione, «ma non è che il Carroccio abbia il desiderio di fare esclusivamente il donatore di sangue». Il bilanciamento della nomina di Palermo, scrive Del Duca, potrebbe avvenire sulle Ferrovie, ma anche sulla presidenza della Rai. E non va trascurato il desiderio leghista di poter contare su un vicepresidente del Csm “amico”, come contraltare del ministro della giustizia pentastellato. «La partita delle nomine non è affatto chiusa, quindi, anzi è destinata a durare tutto l’autunno, in parallelo alla discussione della legge di bilancio». Il clima in cui avverrà lo ha descritto con crudezza lo stesso Di Maio: «C’è da lavorare nell’ottica di una legge che deve essere coraggiosa e non che tiri a campare». Il vicepremier grillino ha detto a chiare lettere che questo comporta anche l’avvio della ridiscussione dei parametri economici a livello europeo, anche perché faceva parte del programma sia della Lega che del Movimento 5 Stelle. «La prospettiva è quindi di un autunno caldo sul fronte parlamentare», sottolinea Del Duca: «Ce n’è abbastanza per far crescere il livello di ansia dalle parti del Quirinale».Delle prospettive dei prossimi mesi, aggiunge l’analista, si è parlato nel lungo colloquio (oltre un’ora) che a sorpresa il premier Conte ha avuto con il presidente della Repubblica. E’ a Conte, secondo Del Duca, che Mattarella guarda come «l’unico che può riuscire a tenere insieme le dispendiose richieste dei due partiti di governo e le necessità di tenere i conti pubblici in equilibrio». Il rischio di strappi è concreto, sottolinea il “Sussidiario”, e nel caso della Cassa Depositi e Prestiti ci si è andati vicino. «Giovanni Tria ha rischiato di fare la fine di Renato Ruggiero, ministro tecnico degli esteri del governo Berlusconi, costretto a lasciare per incompatibilità. Lo ha capito lo stesso Giorgetti, proconosole di Matteo Salvini in tutte le trattative sulle nomine: è bene non tirare troppo la corda, perché potrebbe spezzarsi per davvero». In altre parole: «Le dimissioni di Tria, se mai ci si dovesse arrivare, sarebbero un colpo davvero troppo duro da sopportare per il governo». E’ pur vero, però, che l’esecutivo gialloverde morirebbe, politicamente, solo se il “partito di Bruxelles” gli imponesse di ispirare al rigore anche la prossima finanziaria, costringendolo cioè a rinunciare al suo programma dichiaratamente anti-austerity.Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente ministro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.
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Barnard: dimettetevi, per salvare il cambiamento promesso
Non vi lasciano lavorare? E allora dimettetevi: solo così, dopo nuove elezioni, potrete finalmente varare il “governo del cambiamento”, quello vero, che risolleverà l’Italia, sottraendola alla morsa di Bruxelles. E’ scettico, Paolo Barnard, sulla faticosa guerra di trincea nella quale sembrano invischiati Lega e 5 Stelle, letteralmente imbrigliati da un establishment ben deciso a impedire qualsiasi rottura dei vincoli Ue, ben sapendo che proprio il rifiuto del rigore di bilancio è indispensabile per finanziare Flat Tax e reddito di cittadinanza. «Doveva essere il “governo del cambiamento”, e già dopo soli due mesi è diventato il “governo del meglio di niente”», scrive Barnard nel suo blog. «E’ esattamente dal governo Amato del 1992, passando per Prodi, D’Alema, Berlusconi, i ‘tecnici’ e Renzi – aggiunge – che ci fanno vivere i #governidelmegliodiniente, cioè i soliti esecutivi impiccati ad aule parlamentari da mercato-delle-vacche, e dove gli elettori vincenti si contentano della logica “Ok, ma è sempre meglio che avere gli altri”. E sono esecutivi che mai nulla di concreto hanno dato all’Italia, infatti qualcuno provi a citare una sola riforma in positivo degli ultimi 26 anni che sia ricordata nella cultura politica, nel welfare, nel lavoro e nei portafogli italiani come uno spartiacque. Zero, solo una e tragicamente in negativo: la perdita della moneta sovrana lira con l’adesione all’euro».
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Dignità o velleità: moneta di Stato per le riforme gialloverdi
Il Decreto Dignità, incontestabile come affermazione morale, incontra lo sfavore del mondo imprenditoriale e può avere effetti controproducenti sull’occupazione perché fa aumentare il costo del lavoro e i vincoli per gli investitori (ossia, per i capitalisti). Anche il reddito di cittadinanza, già ridotto da tempo a sussidio di disoccupazione, e assieme ad esso la Flat Tax, già spezzata in due aliquote, sembrano rinviati a quei soliti tempi migliori che non si sa quando arriveranno. Così i rivoluzionari progetti economici del nuovo governo minacciano di svaporare contro i vincoli della realtà esterna, e di tradursi in delusione e scontento. Quei progetti sono stati lanciati nella campagna elettorale senza fare i conti con l’oste, e ora possono diventare un boomerang. Vi è una via per evitare questo flop. Il primo passo è far capire alla gente che ciò impedisce la realizzazione di quei progetti, come pure di un ancora più importante piano di investimenti infrastrutturali per il rilancio della produttività e dell’occupazione, sono gli stessi principi imposti come cardini dell’attuale sistema economico-finanziario globale (prima ancora che europeardo).E’ a tali principi che devono essere rivolte, pertanto, la pubblica attenzione, la critica scientifica, la denuncia sociale ed etica, e l’azione politica riformatrice. Primo principio: la funzione, che è politica e sovrana, quindi pubblica, di creare la moneta, cioè il capitale finanziario, è esercitata da soggetti privati, come pure quella di collocarla e di stabilire rating, tassi etc., e ciò viene fatto secondo la loro privata convenienza di profitto, senza responsabilità verso l’interesse generale. Secondo principio: i capitali, le merci e le imprese si spostano più o meno liberamente intorno al mondo, perlopiù senza barriere daziarie o di contingentamento; questo pone i lavoratori dei paesi occidentali in concorrenza con quelli di paesi che applicano condizioni di sfruttamento radicale dei lavoratori anche in fatto di previdenza e di antiinfortunistica; contemporaneamente, l’immigrazione di massa li pone altresì in concorrenza con una mano d’opera pronta a svendersi nel loro stesso paese.Terza caratteristica: i paesi dell’area del dollaro e in ogni caso l’Italia sono sottoposti a un modello economico finanziarizzato, basato a) sulla rincorsa dell’attivo primario del bilancio pubblico, che si scarica sui contribuenti, sui servizi pubblici, sugli investimenti; b) sulla rincorsa dell’attivo della bilancia commerciale (sulla competizione nelle esportazioni), e insieme sulla difesa di un alto rapporto di cambio; e le due cose si scaricano sui salari, imponendone la riduzione per mantenere la competitività in ambito internazionale, con conseguente depressione della domanda interna; inoltre, realizzare avanzi primari significa che lo Stato toglie dall’economia più denaro di quanto ne immette, ossia che abbassa il livello di liquidità, quindi di solvibilità. Con queste premesse, è ovvio che non si possano fare i provvedimenti fiscali e gli investimenti necessari e utili, nel medio termine, per la crescita, perché i vincoli di bilancio e il rating (condizioni di finanziabilità dei governi, fissate sul brevissimo termine) non lo permettono.Ovvio è altresì che il capitale finanziario e gli imprenditori validi si dirigano verso imprese e paesi in cui la loro rimunerazione è maggiore perché sono i più efficienti nella produzione, oppure perché consentono uno sfruttamento più radicale dei lavoratori e la libera esternalizzazione sulla società e sull’ambiente delle componenti nocive del processo produttivo (infortuni, inquinamento…); sicché, se per legge lo Stato, in nome della dignità e della stabilità del lavoro, introduce vincoli o tutele che rendano meno interessante per il capitale investire in quelle industrie e in quel paese, il capitale defluirà da quelle Industrie da quel paese lasciando disoccupazione. Perciò se si vuole tutelare effettivamente sia la dignità del lavoro che i livelli occupazionali, che l’ambiente, è indispensabile cambiare i tre suddetti principi, incominciando con il recupero da parte degli Stati della sovranità monetaria per assicurare loro il rifornimento di moneta (la capacità di pagare sempre il proprio debito e di finanziare il proprio bilancio facendo gli investimenti necessari alla crescita e di pagare il debito pubblico), sottraendoli al ricatto monetario dei banchieri speculatori privati internazionali e ai golpe mediante spread.Bisognerà inoltre creare barriere protezionistiche contro la concorrenza sleale in modo che i lavoratori del proprio paese non si trovano esposti alla concorrenza di lavoratori sottoposti a condizioni schiavistiche in paesi in cui il capitale riesce a scaricare completamente sulla popolazione generale e sull’ambiente le proprie esternalità. In terzo luogo, bisognerà cambiare il modello generale dell’economia sopra descritto, mirato sui surplus commerciali, anche perché la rincorsa di tale surplus è in se stessa illogica dato che la somma dei saldi delle bilance commerciali è ovviamente zero. Come primo passo per recuperare la sovranità monetaria, e ridare liquidità al sistema. Qualora non si arrivi direttamente alla fine dell’Eurosistema o a una sua radicale e benefica riforma, suggerisco al governo l’introduzione di un mezzo monetario nazionale interno, una sorta di seconda moneta – ma non denominata come moneta – emesso magari da una rete di banche appositamente costituite, che lo creano prestandolo (come avviene con le normali banche di credito) ma lo accreditano non su un conto proprio, bensì su un conto dello Stato, e poi lo prendono a prestito dallo Stato a modico interesse per prestarlo ai clienti applicando un interesse maggiore.Quella sopra da me delineata è una campagna innanzitutto culturale, di informazione e comunicazione generale – e nella capacità di comunicazione abbiamo due eccellenze: una in Salvini e un’altra, in generale, nelle Stelle. In secondo luogo, deve diventare una campagna europea e possibilmente non solo europea, e a questo fine ben si presta l’iniziativa salviniana della Lega delle Leghe. Se non si riesce a informare-comunicare all’opinione pubblica e a internazionalizzare questa campagna, i suddetti progetti economici verranno soffocati e resi velleitari dalle stesse dimensioni della dottrina economica mainstream – e Mattarella, con Tria, traghetterà l’Italia attraverso una brevissima stagione “populista” per consegnarci nelle mani di Macron-Rothschild, di Soros e della Merkel o di chi per lei.(Marco Della Luna, “Dignità e velleità, come salvare le riforme politico-fiscali del governo”, dal blog di Della Luna del 6 luglio 2018).Il Decreto Dignità, incontestabile come affermazione morale, incontra lo sfavore del mondo imprenditoriale e può avere effetti controproducenti sull’occupazione perché fa aumentare il costo del lavoro e i vincoli per gli investitori (ossia, per i capitalisti). Anche il reddito di cittadinanza, già ridotto da tempo a sussidio di disoccupazione, e assieme ad esso la Flat Tax, già spezzata in due aliquote, sembrano rinviati a quei soliti tempi migliori che non si sa quando arriveranno. Così i rivoluzionari progetti economici del nuovo governo minacciano di svaporare contro i vincoli della realtà esterna, e di tradursi in delusione e scontento. Quei progetti sono stati lanciati nella campagna elettorale senza fare i conti con l’oste, e ora possono diventare un boomerang. Vi è una via per evitare questo flop. Il primo passo è far capire alla gente che ciò impedisce la realizzazione di quei progetti, come pure di un ancora più importante piano di investimenti infrastrutturali per il rilancio della produttività e dell’occupazione, sono gli stessi principi imposti come cardini dell’attuale sistema economico-finanziario globale (prima ancora che europeardo).
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Mattarella, blitz contro Salvini sui migranti. Cade il governo?
Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.Le eventuali dimissioni del “governo del cambiamento”, che farebbero felici tutti i nemici dell’Italia – da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Francoforte – sarebbero ovviamente una tragedia per l’opposizione post-renziana, ormai tenuta in vita solo dal tifo anti-Salvini orchestrato dai media mainstream e da eterne comparse come Laura Boldrini a Roberto Saviano. L’attacco concentrico contro la Lega, vero perno dell’ipotesi sovranista europea sorretta a distanza dalla presidenza Trump, ha assunto tratti spettacolari: ai puntuali sgambetti di Mattarella si somma l’iniziale attacco della finanza neoliberista franco-tedesca sotto forma di spread, seguito dalla clamorosa gita turistica di Macron, invitato a Roma da Papa Bergoglio come super-ospite, dopo che il presidente francese, uomo Rothschild ed esponente della supermassoneria reazionaria, si era esercitato a insultare l’Italia e gli italiani. Macron, che dà lezioni all’Italia sui diritti umani, ha ordinato il pestaggio dei migranti al confine di Ventimiglia e fatto intervenire la gendarmeria transalpina a Bardonecchia, violando gli accordi di frontiera tra i due paesi.Dulcis in fundo, il macigno che la magistratura ha caricato sulle spalle di Salvini, costretto a rispondere – in solido – di 49 milioni “fantasma”, teoricamente scomparsi dalle casse del partito durante la gestione Bossi e ora messi in conto alla Lega salviniana, con provvedimento esecutivo, senza neppure attendere il secondo grado di giudizio. Una sentenza, quella sui presunti fondi scomparsi, che equivale a privare la Lega della possibilità di fare politica, esercitando il mandato democratico ottenuto dagli elettori il 4 marzo. Variegate forze – dalla Bce alla Banca d’Italia, dall’Ubi (l’unione della banche italiane) fino a Confindustria – stanno combattendo all’arma bianca contro la possibilità che il governo gialloverde possa durare. Pericolosi, ovviamente, i distinguo di alcuni grillini di peso: il ministro della difesa Elisabetta Trenta contesta a Salvini le modalità del blocco dei porti, mentre il presidente della Camera, Roberto Fico, invoca il valore dell’accoglienza “senza se e senza ma”, bocciando di fatto la politica del governo sull’immigrazione.Nelle ultime settimane, intanto, emerge finalmente l’altra verità sul traffico di migranti promosso dalle Ong sostenute dalla rete Open Society di George Soros: non si tratterebbe di un “esodo della disperazione”, ma di un trasferimento di massa programmato. Decine di migliaia di africani (non i più poveri, solo quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti) verrebbero incoraggiati a lasciare i loro paesi con il miraggio di un welfare assistenziale generoso, in Italia e nel resto d’Europa. Naturalmente il problema-Africa è devastante, nelle sue proporzioni: Salvini lo utilizza ruvidamente in chiave anti-Ue, mentre i “vedovi” della sinistra di potere lo cavalcano, disperatamente, solo in funzione anti-Salvini. Spuntando – con l’aiuto del Quirinale – l’arma principale dell’Italia contro i diktat di Bruxelles, la corda potrebbe spezzarsi: Salvini sa che la maggioranza degli italiani è con lui, nuove elezioni potrebbero trasformarsi in plebliscito. Resta però da capire come la vede il convitato di pietra del governo Conte: cioè Donald Trump, che sembra puntare proprio sul governo gialloverde per “smontare” l’euro-orrore capitanato dalla Germania merkelizzata.Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.
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Sos Disruption: entro 15 anni sparirà un mestiere su due
Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».Le nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence stanno cambiando davvero tutto: sarà la fine del mondo, così come l’abbiamo conosciuto. E nessuno, a quanto pare, se ne sta accorgendo. Parlano i numeri, già drammatici secondo tutte le proiezioni ufficiali: a livello globale, da 1 a 2 miliardi di lavoratori perderanno il posto entro il 2030, la maggioranza in Occidente. A farne le spese saranno impiegati contabili e amministrativi, aziende manifatturiere e manodopera produttiva, insieme a costruzioni ed estrazioni minerarie, ma anche avvocatura e giudici, lavori di installazione e manutenzione, operatori di gru e trattoristi, meccanici e riparatori. Spariranno posti di lavoro nelle arti e nel design, nell’intrattenimento, nello sport e nei media, insieme a molte mansioni nel settore turistico. In compenso, dalla rivoluzione tecnologica usciranno rafforzati business e finanza, manager, informatica e matematica, architettura e ingegneria, ma anche rappresentanti, camerieri, specialisti in istruzione e formazione, pensatori creativi e manager per la Disruption – nonché farmacisti, infermieri e operatori socio-sanitari.«Entro il 2030 si stima che fino a 375 milioni di posti di lavoro, globalmente, dovranno essere “reskilled”, cioè riqualificati», scrive Barnard nel suo blog. Ad esempio: nel settore manifatturiero, dicono gli esperti, cadranno mansioni nelle mani dell’Artificial Intelligence e della robotica, ma il lavoratore potrà essere re-impiegato in fasi diverse del lavoro, aumentando la produttività: gli servirà però un “reskilling”. Alibaba, colosso cinese dell’e-commerce, ha calcolato che i suoi robot da magazzino risparmiano a ogni magazziniere almeno 50.000 mosse fisiche al giorno, riducendone molto lo stress fisico ma soprattutto liberandogli tempo per aumentarne la produttività ma senza prolungare l’orario di lavoro. Naturalmente, scrive Barnard, Alibaba i suoi dipendenti li ha “reskilled”. Quindi, «l’impresa del “reskilling” di milioni di italiani non è un optional, è l’aria da respirare, e ogni singolo analista al mondo oggi lo dice chiaro: i governi giocano qui il ruolo principale con un intervento generoso nei bilanci». Ma una nazione con vincoli di budget «al limite del sadismo sociale», per citare l’economista Giulio Sapelli, come diavolo farà a riqualificare sul lavoro due o tre milioni di persone?Oltretutto, il “reskilling” è ormai un ordine di scuderia a tappe forzate: «Lasciar languire nella terra di nessuno i lavoratori in transito significa perderli per strada, con danni economici enormi». Si domanda Barnard: «Come farà l’Italia, soffocata nei bilanci dall’Eurozona, quando tutti gli esperti mondiali invocano chiaramente interventi di governo?». Già ora la Disruption, nelle parole di 20.000 imprenditori europei di tutti i settori, «sta imponendo un aumento vertiginoso nella richiesta di alcune professioni, che si prestano per assorbire sia una quota di futuri licenziati (“reskilled”), che i giovani post-laurea». La rivoluzione in arrivo, dice Barnard, avrà bisogno di nuovissime figure professionali, come i rappresentanti di ultima generazione: «Occorrono disperatamente venditori che siano formati prima di tutto a spiegare quei prodotti, poi a venderli a privati e governi, ma anche per raggiungere nuove fasce di clienti». Poi gli analisti dei dati: «Non occorre un dottorato per questa mansione, ma di certo un buon “reskilling” anche in assenza di laurea». Le aziende, aggiunge Barnard, oggi sanno che Big Data è la scoperta “nucleare” del commercio di prodotti e servizi: bisogna quindi «saper analizzare e trarre conclusioni intelligenti dall’immane massa di dati che la Disruption mette a disposizione».«Il successo si gioca qui, nel terzo millennio: la richiesta di analisti dei dati è destinata a esplodere fra pochissimi anni». Per i laureati brillanti «c’è già ora spazio per ricoprire un ruolo dirigente richiestissimo nei maggiori settori di commercio e servizi, cioè il Manager della Disruption: è colui che si specializza nel guidare l’azienda (piccola, media, grande) ma anche il settore pubblico, nella tempesta di cambiamenti che l’era digitale porta ogni minuto». In generale, proprio grazie alla Disruption, entro il 2030 sono previste globalmente 130 milioni di nuove assunzioni in sanità generale e assistenza agli anziani, nonché 50 milioni nelle tecnologie e altri 20 milioni nel settore energetico. Le professioni del tutto nuove che si prevede nascano grazie alla Disruption, spiega Barnard, sono «gli specialisti intra-umani, cioè intelligenza emotiva, capacità di persuasione, gestori delle emozioni umane nel sociale, e i creatori di motivazione; i pensatori creativi in ogni settore, sia scientifico che industriale che amministrativo, poiché essere super-specializzati ma ottuse ‘scatole di dati’ non innova nulla in azienda». E ancora: serviranno «gli ottimizzatori delle energie rinnovabili e gli operatori nella lotta al cambiamento climatico».Ogni singolo esperto in “occupazione & Disruption”, aggiunge Barnard, “grida” sempre la medesima cosa, che la Consultancy McKinsey & Co. ha espresso nel dicembre 2017 con una frase lapidaria: «La moltiplicazione dei lavori potrebbe più che compensare le perdite a causa dell’automazione. Ma nulla accadrà per magia – richiederà che i governi e il business sappiano creare le opportunità». E qui esplode il problema-Italia: chi si farà carico della formazione permanente imposta dalla Disruption, dati gli attuali limiti drammatici imposti alla spesa pubblica? La scuola, scrive Barnard, deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte delle competenze insegnate oggi saranno obsolete per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni, in media. Con un ritardo di questo genere, nelle scuole e università, cosa farà l’Italia? Ha qualche idea in proposito, il governo gialloverde? Il Miur, ministero dell’istruzione, università e ricerca, ammette di essere in emergenza: i dati Ocse dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea (molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano).Sempre per l’Ocse, i docenti italiani sono in assoluto i meno preparati, in Europa, all’era digitale. Ancora: nel Digital Economy Index, l’Italia languisce al 25mo posto su 28 paesi, ha lacune dappertutto. E nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo, di questo:«Il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento», confessa il Miur, che denuncia «azioni spesso non incisive e non complessive». Aggiunge Barnard: «Sapere è lavoro, ma un buon lavoro – oggi, nella Disruption – significa sapere molto. E con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli». Nessuna area italiana è inclusa tra gli “Innovator leaders” europei. Solo il Piemonte figura tra gli “Strong innovators”, mentre il resto della penisola è in terza posizione, tra i “Moderate innovators”, mentre la Sardegna è relegata tra i “Modest innovators” come Croazia, l’Estremadura, l’Est Europa più povero e arretrato. Una mappa impetosa: «L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Disruption, e infatti siamo “gialli”, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli».Generalmente, aggiunge Barnard, un paese moderno ospita oltre 900 mestieri. E dato che «una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani», è impossibile essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: a dettare legge sarà la tecnologia dell’intelligenza artificiale di Machine Learning, «perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far “pensare” i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati». Giusto per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione del Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento un’intelligenza artificiale a sostituire qualcosa o qualcuno, la Mit Initiative sull’economia digitale «afferma che il mestiere in assoluto più “blidato” contro la Disruption è il… massaggiatore». All’altro estremo, invece, figurano «le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate», ovvero «gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale».Se è scontato che fra i “colletti blu” (diplomati, ma senza laurea) tanto dovrà cambiare, «molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei “colletti bianchi”, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’Artrificial Intelligence)». Parla da solo il caso americano: nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia Usa, ricorda Barnard, le disparità di redditi fra “colletti blu” (licenza liceale) e “colletti bianchi” (lauree) schizzò in alto, perché i secondi – grazie alla formazione digitale universitaria – poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura, il fenomeno ha raggiunto un tale livello di gravità che fra i “colletti blu” in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del 2014 firmato da Anne Case insieme ad Angus Deaton, Premio Nobel per l’Economia. «Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il welfare quasi non esiste», ammette Barnard. In compenso, l’Europa si sta auto-sabotando con i tagli sanguinosi al suo welfare.«I criminosi limiti di spesa pubblica che l’Ue impone agli Stati membri – dice Barnard – escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro paese un’apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption». In altre parole: «Finché Eurozona sarà – insiste il giornalista, rivolto ai lettori – il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia)». Dunque il messaggio per genitori e ragazzi è chiarissimo: «La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti». Per mettere al riparo i nostri figli, e i giovani già oggi al lavoro, secondo Barnard c’è una sola arma concreta: per i giovanissimi una formazione scolastica e universitaria più aggiornata possibile, che li presenti al mondo del lavoro come appetibili, e per i già impiegati l’impegno di Stato e aziende nella riqualificazione “a vita”. Il rischio fatale, per l’Italia del lavoro, è di rimanere tragicamente indietro: «Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli». Nel 2016 il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini: «Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi».Attenzione: qualcosa di analogo a quanto sta per accadere (e di cui nessuno parla) è già avvenuto, nella storia. Per dare un’idea della dimensione planetaria del problema, Barnard cita lo scozzese James Watt: «Nel 1775 diede vita alla più dirompente Disruption della storia con l’invenzione della macchina a vapore». Fece morire di colpo i vecchi mestieri, ma al tempo stesso fece esplodere lo sviluppo sociale umano, il che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati, scrive Barnard, le condizioni di vita del popolo comune «rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici». Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post-Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. «E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla in confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Ma l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà».Oggi, sottolinea Barnard, la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence «sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo, tutto si gioca su come cambierà il lavoro: non chissà quando, ma entro il 2030». Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind (azienda che sta al centro della galassia “Ai”), ha detto: «Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza, poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi». Macchine intelligenti, al posto di esseri umani. Ed enorme disparità tra chi resterà al passo e chi sarà tagliato fuori. Lo confermano gli studi delle maggiori “Consultancies” del mondo: Pwc Uk, Deloitte, McKinsey, Accenture. Tutti d’accordo, insieme agli accademici: almeno nella prima fase, la Disruption fondata sull’intelligenza artificiale (robotica, nuove tecnologie), falcerà milioni di posti di lavoro. Ma la stessa Disruption, spiega Barnard, offre possibilità di recupero nella riqualificazione, nell’aumento di richiesta per certe professioni e nel fatto che nasceranno lavori che oggi non esistono.Tutto dipende da due fattori decisivi: la velocità dei governi nel legiferare misure per cavalcare la Disruption, favorendo la nascita dei nuovi lavori, e l’intelligenza dei datori di lavoro «nel capire che l’epoca dell’egoismo del profitto è morta, gli porterà solo fallimenti certi». Il futuro digitale «impone intelligenza», il che significa «coordinamento fra aziende, e fra di esse e lo Stato». Di fatto, avverte Barnard, con la Disruption «oggi saltano le politiche di creazione di lavoro, in Occidente, che i nostri padri e noi abbiamo conosciuto finora». Problema: «I contemporanei di un fenomeno epocale di cambiamento faticano sempre a svegliarsi di fronte al nuovo, e questo si traduce in drammi». Per dire: «Quanti italiani oggi leggono i giornali al mattino cercando ansiosamente notizie sulle politiche del lavoro del ministro Di Maio per la Disruption? Nessuno. Eppure la leadership mondiale non ha più dubbi sul fatto che essa ribalterà, come mai prima nella storia, proprio l’occupazione di numeri impressionanti nel globo». Certo, i politici «hanno il vincolo del breve mandato e l’ossessione cieca del voto-subito entro il mandato, per cui non s’impegneranno mai in politiche e dibattiti che all’italiano medio sembrano fantascienza». Idem per i media: «Sanno che la Disruption è una news che oggi si può vendere agli italiani solo al 300esimo posto dopo la casta, la corruzione, il politici-ladri, gli immigrati, le polemiche Tv, e trattano il tema principalmente come folklore da futuristi. Risultato: non un singolo organo di stampa italiano sta davvero informando su come sarà stravolta l’economia, la politica e la fabbrica sociale di ogni paese moderno per mano della Disruption».E così si compie un circolo vizioso devastante per l’Italia, destinata ad arrancare come fanalino di coda «mentre Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sud-Est Asiatico e ovviamente gli Usa si saranno già spartiti l’immensa torta del lavoro e del Pil da Disruption». Risultato: «I giovani italiani nel precariato, in preda alla disoccupazione e ancora disperatamente dipendenti da quel rivolo che gli rimane del risparmio di nonni e genitori degli anni 70’-90’», prigionieri di un paese sempre più confinato tra i “Pigs” con Portogallo, Grecia e Spagna – non più Piigs, annota Barnard, «perché invece l’Irlanda sta capendo e cavalcando la Disruption, è ha già preso il volo da quell’acronimo infame». Ma non è destino degli dèi che debba davvero andare così, aggiunge il giornalista: a sta a noi capire la Disruption per sapere come inciderà sul Pil e sull’occupazione. Ma non c’è tempo da perdere: «La velocità di sviluppo delle nuove tecnologie per il lavoro è talmente forsennata che è già stato calcolato che diversi “skills” – così si chiamano le competenze centrali per la Disruption – che vengono insegnati agli studenti oggi, tempo che gli studenti si presenteranno ai colloqui di lavoro in aziende saranno già obsoleti».In parole semplici: «Mentre tu studi intensamente un’applicazione di Machine Learning per l’edilizia, Machine Learning ne ha scovata una migliore, tu ti presenti al colloquio di lavoro e il datore se ne fa poco, di te». Scrive il Mit di Boston: le tecnologie cambiano i modelli di business e molto spesso questi si traducono in uno sconvolgimento simultaneo del set di “skills” che le aziende richiedono, e questo già oggi crea difficoltà nell’assumere personale. Velocità: «Sarà un problema enorme proprio sul mercato del lavoro dei giovani, e altrettanto enorme per eventuali programmi di apprendistato, che rischiano di diventare degli autogoal con sprechi di finanziamenti enormi», osserva Barnard. Attenzione, però: le stesse tecnologie di Big Data possono dare al governo «un inimmaginabile potere di efficiente governanace». La stessa “cloud” potrà essere usata da tutto il sistema produttivo italiano di beni e servizi in un dialogo diretto, in tempo reale, col ministero dell’istruzione. Pubblico e privato potrebbero scambiarsi informazioni istantanee su «come sta cambiando la natura degli “skills” dentro le aziende, gli ospedali e le varie istituzioni». Lo stesso Miur, come sollecitano gli esperti internazionali, «dovrà avere l’elasticità e la prontezza di riflessi di trasmettere immediatamente a scuola e università il messaggio dei datori di lavoro», per armonizzare domanda e offerta in base ai nuovi parametri in costante evoluzione.Fantascienza? Non ci sono alternative, par di capire. «Questo è il tipo di ambizioso progetto che un paese oggi deve essere in grado d’intraprendere se davvero è serio sulla difesa del lavoro», sostiene Barnard, auspucando «un salto innovativo, in linea con gli attori vincenti nella Disruption». Scrive McKinsey Global: «I governi devono totalmente riconsiderare i modelli scolastici odierni. La questione è urgente, e devono mostrare una leadership di grande coraggio nel riscrivere i curricula. E’ un’elasticità che da decenni il mondo del lavoro attende». Oggi, infatti, il “reskilling” è sulla bocca di tutti gli operatori economici. Per Barnard, a salvare il sistema-Italia sarà un “reskilling” (o “upskilling”) dei lavoratori, da condurre a vita, per ogni settore del Pil italiano. «Dovrà essere intelligente, il che significa innanzi tutto che va fatto in partnership con il settore privato dell’Italia, il quale deve saper dimostrare una “vision” ben oltre la sua tradizionale e provinciale parcellizzazione». Soprattutto, le tecnologie di Big Data «dovranno essere usate da governo e datori di lavoro per “better forecasting data and planning metrics”, cioè saper prevedere le svolte e pianificare con largo anticipo la richiesta dei talenti, su cui poi appunto lanciare in tutto il paese programmi di “reskilling” (o di “upskilling”) con chirurgica precisione».Dunque, secondo Barnard, l’Italia è alla storica sfida dell’occupazione nell’era della Disruption. «Il potere globale di quest’ultima è senza limiti, ma gli Stati possono governarla per tutelare l’impiego nella colossale tempesta dei cambiamenti». In questo sforzo, aggiunge, il governo deve comprendere un aspetto cruciale che distingue le tecnologie della Disruption: si dividono infatti in due rami, quelle di tipo Enabling e quelle di tipo Replacing. «La Disruption porterà sia una richiesta di lavori già esistenti riformulati in nuove versioni, che nuove professioni che oggi non esistono». In questo caso, nella versione Enabling, aprirà vasti bacini di posti di lavoro ma, al tempo stesso, spazzerà via schiere di mestieri perché le macchine “pensanti” li rimpiazzeranno (Replacing, appunto). Ne consegue una scelta politica di orizzonte: «E’ totalmente futile ed economicamente distruttivo continuare a spendere sia fondi pubblici che fondi privati (delle famiglie) per formare giovani, o per incoraggiare lavori, destinati alla categoria dove le tecnologie saranno di tipo Replacing, poiché significa destinare esseri umani a un suicidio lavorativo certo».Per Barnard, l’Italia dovrà quindi «investire massicciamente nell’adozione del maggior numero di tecnologie Enabling per ovvi motivi di creazione di lavoro», ma dovrà anche «essere scaltra nell’incoraggiare quelle che si adattano meglio alla struttura sociale, alla conformazione territoriale e produttiva del nostro paese». Un esempio concreto? «Siamo uno dei popoli più longevi del mondo, perciò la cura extra-ospedaliera dei nostri anziani arricchita dalle nuove tecnologie Enabling del settore è garanzia di creazione d’innumerevoli mansioni a ogni livello di complessità (settore del Personal Care). Sono mansioni che saranno utili a nuovi impieghi sia per i cittadini meno “skilled” che per gli specialisti. La medesima strategia va applicata alla nostra struttura architettonica, geografica, energetica, sempre per generare ampio impiego». Al problema della Disruption, in questi mesi, Barnard ha dedicato il massimo impegno, lavorando in solitudine, convinto che l’umanità sia ormai di fronte «al più dirompente cambiamento occupazionale dal 1775 a oggi», dai tempi della macchina a vapore. «Continuo a ripeterlo: le soluzioni a problemi sistemici devono essere sistemiche, il resto sono truffe vendute da politici cinici a un pubblico stupido, i cui figli poi piangeranno per generazioni».Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».
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Magaldi: Renzi riposi in pace, il progressista oggi è Salvini
«I progressisti devono capire la gente: il mondo va verso situazioni molto dure e le persone chiedono, giustamente, protezione. Invece, sino ad oggi, il Pd ha trattato le persone che hanno paura come se fossero imbecilli». Viva la sincerità, anche se fuori tempo massimo. Suonano comunque lucide, finalmente, le parole dell’ex manager Ferrari e poi ministro post-renziano Carlo Calenda, nipote di Luigi Comencini, approdato al Pd dopo l’esordio politico prima con Montezemolo e poi con Monti. «Dobbiamo dar vita ad un progetto con nuove parole», dice Calenda a “Otto e mezzo”: «Ma pretendere questo dal Pd – ammette – non è possibile». Tra le macerie elettorali dell’ex centrosinistra, forse anche Calenda pensa al “partito che serve all’Italia”, su cui il Movimento Roosevelt si confronterà il 14 luglio a Roma con politologi e sociologi. Tra gli invitati anche il sindaco milanese Beppe Sala e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. A Matteo Renzi, che in un tweet dopo il disastro dei ballottaggi alle amministrative prova a gettare la croce sul povero Martina («con tutto il rispetto, nel Pd manca una leadership: per questo mi riprendo la guida del partito»), Zingaretti risponde a stretto giro: troppo tardi, «un ciclo storico si è chiuso». Tradotto: abbiamo sbagliato tutto, Renzi in primis. Primo errore, capitale: il Pd ha preso per cretini gli italiani spaventati dalla crisi. «Salvini invece li ha saputi ascoltare», dice Calenda, «e questo è il suo grande merito». Infatti, per Gioele Magaldi, il vero progressista sulla scena, oggi, è proprio il leader della Lega.
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Massoni al governo e corruzione a Roma, Di Maio dov’era?
Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è rimpito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».Nel bestseller “Massoni”, il presidente del Movimento Roosevelt ha rivelato l’identità supermassonica del vero potere, nell’Europa di oggi dominata da figure oligarchiche. Di fede liberalsocialista, Magaldi non rinnega il suo giudizio favorevole sui 5 Stelle: pur acerbi, hanno avuto il merito di rompere la recita italiana della finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, coalizioni di fatto sottomesse (entrambe) ai diktat dell’élite finanziaria neoliberista. Nettamente lusinghiere anche le parole che Magaldi spende per il governo Conte: è alle prese con una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla cruciale trincea italiana. Ma ad una condizione: che i pentastellati la facciano finita, una volta per tutte, con la loro narrativa – inutilmente retorica – che scambia “l’onestà” per la buona politica. Salvo, appunto, inciampare nel caso imbarazzante di Lanzalone, finito nell’inchiesta sul nuovo stadio: «Non possiamo far finta di non vedere che quel signore, che oggi tutti individuano come un capro espiatorio, è stato catalpultato dall’Acea al Comune di Roma proprio da quel Di Maio che oggi propone di riformarla, l’autorità nazionale anti-corruzione». Catapultato, fra l’altro, negli uffici dell’innocente Raggi, «innocente nel senso antico con cui si parlava dei bambini: sembra infatti una bambina che gestisce una cosa più grande di lei, a cui i “grandi” del Movimento spediscono questo e quello».Attenzione: «E’ stata legittima la vittoria di Raggi, dopo il cattivo governo di centrodestra e centrosinistra, così come è giusto oggi dare una chance alla possibilità epocale di governare il paese, da parte della Lega e dei 5 Stelle». E il super-consulente grillino? «Uno risponde politicamente, non giuridicamente (e forse nemmeno moralmente) delle proprie scelte sbagliate. E la capacità di un politico – dice Magaldi, pensando a Di Maio – è anche nello scegliere persone giuste. Ma le persone scelte per Roma sono tra le più sbagliate». Magaldi vorrebbe un dibattito serio, tra i pentastellati alla guida della capitale: hanno bocciato le Olimpiadi perché sarebbero state “sentina di corruzione”, poi hanno voluto ridimensionare lo stadio della Roma perché bisognava stare attenti alle tangenti. «Poi invece si scopre che il più pulito ha la rogna, nell’amministrazione Raggi». Un consiglio? «Di Maio si liberi delle sue ipocrisie, perché rischiano di compromettere le belle possibilità di rendere un servizio a questo paese e alle amministrazioni locali governate dai 5 Stelle». Basta, davvero, con la retorica demagogica: «La corruzione e l’onestà sono categorie che appartengono al dominio giuridico della magistratura». Fanno anche parte di un ethos privato, «mentre in politica non basta essere onesti e gridare “onestà” per saper amministrare e saper scegliere i collaboratori».Il guaio del caso Roma? L’immobilismo, per la paura di finire in mezzo a una Tangentopoli. «Non si può mettere al primo posto la falsa preservazione dalla corruzione – insiste Magaldi – perché la corruzione si introduce comunque, nelle piccole come nelle grandi cose. Forse, se avessimo fatto le Olimpiadi a Roma – aggiunge – la corruzione sarebbe stata tale e quale, ma almeno avremmo avuto un’occasione di rigenerare tante strutture sportive obsolete». Niente sconti, al Campidoglio: «A me pare che tra buche, radici che spuntano ovunque e strutture fatiscenti, Roma stia morendo, nonostante le retoriche pentastellate. E’ una città tra le più belle al mondo, e avrebbe bisogno di un altro spirito, solare e gioviale». Di Maio? «Faccia un mea culpa, anche solo davanti a uno specchio, dicendo: forse la devo smettere di fare l’ipocrita sulla massoneria, di fare l’ipocrita sul tema della corruzione, e di scaricare sugli altri responsabilità che sono anche mie. E lo invito a lavorare sempre meglio, come ministro dello sviluppo economico, dicastero dove peraltro – aggiunge Magaldi – sono arrivati sottosegretari di tutto rispetto». Per esempio Michele Geraci, che ha insegnato economia in Cina: era uno dei famosi “cervelli in fuga”, ma è tornato. «Sa meglio di altri come sviluppare rapporti con quel mondo complesso che è la Cina. E ha senpre sostenuto la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax, quasi precostituendo l’incontro politico tra Lega e 5 Stelle».Geraci, ma non solo: «Qui si prendono sottosegretari come Armando Siri, come Luciano Barra Caracciolo. Si prenderanno fior di tecnici nei gabinetti e nelle direzioni generali ministeriali, tecnici anche di area “rooseveltiana”: checché ne dica la pletora degli sconfitti (dalla storia e dal popolo italiano) il governo Conte è dotato di ottime competenze». E attenzione: molti dei suoi esponenti sono massoni progressisti, o comunque «dialogano proficuamente con i circuiti massonici progressisti». E’ un fatto, assicura Magaldi: «Questo è un governo ad alta densità massonica progressista». Di più: se c’è un esecutivo vicino alla massoneria democratica, è proprio questo. «Guardando agli ultimi governi italiani, forse nessuno ha avuto una così alta densità massonica», insiste Magaldi: «Ed è un governo di prim’ordine, che ha delle competenze straordinarie. Quindi, Di Maio e gli altri ne siano all’altezza, mettendo da parte ipocrisie e superficialità nello scegliere i collaboratori, magari in base all’appartenenza alla “famiglia” politica intesa come clan». E’ chirurgico, Magaldi, nella critica ai 5 Stelle: «Temo molto questa ipocrisia, e spero che la loro maturazione politica elimini proprio questo aspetto, che forse è il più insidioso e anche il più autodistruttivo. E’ bene che il Movimento 5 Stelle impari a essere laico. C’è la magistratura, ci sono degli indagati – e non è detto che, se uno viene arrestato, sia colpevole».Il costruttore Parnasi, accostato a Salvini? «Non ho nessuna simpatia per lui», premette Magaldi: «Ho notizia di gente che ha dovuto citarlo a giudizio perché non ha pagato professionisti che avevano lavorato per lui. Rincorso in tribunale, ha dovuto poi contrattare risarcimenti». Ma, di nuovo, è meglio evitare di essere ipocriti: «Tutti qui paiono cadere dalla Luna, ma chiunque conosca la realtà romana sa che Parnasi non se la passava benissimo», dice Magaldi. «E’ un signore che ha fatto cose dubbie, perché non pagare i collaboratori è sgradevole. Però è anche vero che questo “poveraccio”, come tanti altri imprenditori, si trova di fronte a una macchina burocratica elefantiaca». Succede spesso, in Italia: «Magari ti impegni in un progetto per anni, e prima di essere pagato dal committente pubblico devi anticipare denari, ottenere fidi, passare per le forche caudine della burocrazia – e questo è valso anche per Parnasi». Bisognerà vedere, alla fine, se quella che magari è definita corruzione poi non sia «il tentativo di ottenere, in modo privilegiato, quello che un imprenditore dovrebbe ottenere più facilmente per via ordinaria».E comunque, laicamente, Magaldi preferisce sempre attendere che qualcuno venga giudicato «non in primo, ma in terzo grado». Queste, continua Magaldi, sono vere e proprie lezioni: per i 5 Stelle, con il loro mito della “purezza”, ma anche per la Lega, «che con Salvini è cambiata, d’accordo», ma nel suo Dna e nella sua storia conserva pur sempre «il famoso cappio, agitato in Parlamento», eloquente simbolo di «atteggiamenti forcaioli tuttora presenti in alcuni segmenti della base». Lo Stato di diritto tutela tutti: «Parnasi è innocente fino a prova contraria, al di là degli arresti: spesso la gente in Italia è stata arrestata indebitamente, e nessuno l’ha risarcita in modo adeguato». Parnasi e Lanzalone, dunque, «meritano il beneficio del dubbio, come i loro stessi referenti politici». Prudenza: «Bisogna attendere, perché spesso la macchina della giustizia si muove con una sincronia strana, e il fango che si getta addosso a delle persone per presunti reati e crimini poi si scopre essere inconsistente sul piano giuridico». Magaldi confida nell’esperienza di Conte, come giurista, per arrivare a una robusta sburocratizzazione complessiva del sistema-Italia: «Abbiamo bisogno che gli imprenditori non siano mai indotti a corrompere per poter fare normalmente il proprio lavoro».Al tempo stesso – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, rivolto ai 5 Stelle – abbiamo bisogno che i funzionari pubblici siano pagati adeguatamente: «Se cadessero nella rete della corruzione, a quel punto, sarebbero ancora più spregevoli. Ma è impossibile approvare il pauperismo al ribasso promosso dai pentastellati, in base al quale si vorrebbero abbassare gli emolumenti: perché mai costringere a uno stipendio da fame una persona onesta che affronti gli incerti della politica, magari dopo aver abbandonato la sua professione?». Meglio osservare con realismo la situazione italiana: «Proprio per la remunerazione irrisoria delle cariche, molte persone capaci non vanno a fare l’amministratore pubblico, con tutti i rischi che questo comporta, rispetto alle immense responsabilità dell’ufficio». Ne prenda atto un grillino come Alessandro Di Battista, oggi più moderato nei toni, dopo esser stato per anni tra i più accaniti sostenitori della moralità pubblica esibita come bandiera. Tagli degli stipendi e abolizione dei vitalizi? Errore ottico, dice Magaldi: chi ha tagliato lo Stato, mortificando la politica, l’ha fatto per costruire l’attuale sistema basato sulla privatizzazione universale.«La visione neoliberista, di cui noi tutti siamo vittime in questi decenni – spiega Magaldi – vuole che i dirigenti pubblici abbiano dei tetti sempre più al ribasso, nella remunerazione, anche se hanno responsabilità pesantissime e il rischio di essere indagati per un nonnulla, vista anche la complessità elefantiaca delle burocrazie e degli atti giuridici che devono compiere». Tutti addosso al politico che sbaglia, fingendo di non vedere cosa accade nel cosiddetto “mercato”, dove non ci sono più regole che tengano. «Ormai il settore privato è il regno della giungla», sottolinea Magadi: «Si è divaricata la forbice tra il salario dell’operaio o lo stipendio dell’impiegato e la paga del grande manager, che magari fa parte di una cricca di briganti che si spartiscono le poltrone delle grandi società transnazionali, come nel famigerato caso dei manager che hanno spolpato Telecom». L’antidoto? Evitare di cadere nella trappola retorica sapientemente costruita dalla manipolazione del massimo potere. Meglio dunque ribaltare «la teologia dogmatica neoliberista, in base alla quale nel privato tutto è possibile, mentre il pubblico dev’essere controllato, vessato, aggredito e delegittimato».Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è riempito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».
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Sapelli: patriottismo laburista anti-Merkel, con l’aiuto Usa
«E’ bene dire sin da subito che l’unica speranza di sopravvivenza che questo governo possiede è quella di impugnare sin dall’inizio la bandiera di ciò che potremmo chiamare un “patriottismo laburista”». Parola di Giulio Sapelli, autorevole economista di formazione keynesiana. L’idea? Adottare la “mossa del cavallo” per agire sui due fronti, interno e internazionale, «provocando quella dissonanza cognitiva che ti fa vincere ogni partita di scacchi e quindi anche ogni battaglia politica». Per Sapelli, che affida la sua analisi al “Sussidiario”, il nuovo governo «sin da subito deve iniziare la negoziazione dei trattati europei». La Francia, del resto, si è già fatta avanti con la telefonata di Macron a Conte. «Una mossa anti-tedesca», anche se non bisogna farsi illusioni, dato che Parigi «ha mire annessionistiche sull’Italia in campo economico, come dimostra la storia recente e recentissima». Ma il governo Conte, sostiene Sapelli, ha un alleato prezioso contro l’austerity teutonica dell’ordoliberalismo: «Gli Usa prima di tutto, non lo si dimentichi mai. L’Alleanza atlantica è l’architrave della politica italiana e deve rimanerlo, agendo con intelligenza, come sempre storicamente si è fatto».Sapelli spera che – facendo leva sull’alleato americano, l’Italia possa comunque conservare «una sorta di limitata autonomia nei rapporti con la Russia al di là delle attuali, transitorie posizioni americane». Questo permetterebbe a Roma di reinterpretare la politica estera italiana già espressa durante la guerra fredda, «anche nei momenti più bui come la Guerra del Vietnam e il conflitto tra Israele e le organizzazioni palestinesi, e come si sta oggi verificando con la posizione degli Usa su Gerusalemme». Tradotto: l’Italia come attore mediterraneo, in grado di attutire i colpi e mediare tra le diverse posizioni. Nonostante le apparenze, osserva Sapelli, il momento potrebbe essere propizio: infatti, «non vi è mai stato un punto di flessione così acuto nelle relazioni tra Usa e Germania» come quello che si sta verificando in questi mesi, «a partire dal “diesel gate” per finire con il confronto sui dazi e e sul commercio estero in corso a livello mondiale». Per l’economista, «l’Italia può e deve dire la sua con due esponenti di spicco come Savona e Moavero Milanesi proprio sui temi che interessano in primo luogo i tedeschi e i francesi». In altre parole, «Roma deve parlare a voce chiara e distinta con la cancelliera Merkel e la figura oggi più importante della politica tedesca: il ministro degli interni Horst Seehofer, capo storico della Csu».La posta in palio è altissima: «Rinegoziare il Fiscal Compact, che non è nei trattati ma nei regolamenti». Per Sapelli «è possibile e si deve farlo subito, iniziando con contatti continui con Germania e Francia». Le ragioni, spiega, sono evidenti: «Nessun punto del programma “socialdemocratico” del governo Conte può reggersi con i vincoli di bilancio eurocratici esistenti, che debbono essere superati per creare crescita». L’elenco è pesante: eliminazione della legge Fornero, reddito di cittadinanza imperniato sull’agenzia del lavoro per far incontrare domanda e offerta e sulla qualificazione dei precari e dei disoccupati con offerte di lavoro non rifiutabili, riformulazione del carico fiscale con Flat Tax per le imprese e mantenimento della progressività dell’imposta sui redditi da lavoro. Sarà una lotta contro il tempo, sfoderando l’arte della mediazione: «La crescita può essere garantita, come ha affermato da sempre Pierluigi Ciocca, solo da una ripresa degli investimenti pubblici e privati, dall’edilizia alle nuove tecnologie. Non bisogna aver paura del progresso tecnico: è solo da esso che verrà l’occupazione sana, fondata sull’aumento dello stock di capitale e sulla ripresa della domanda interna, non dall’helicopter money e da vergognosi sgravi fiscali a pioggia». Inutile, aggiunge Sapelli, confidare solo nell’export, che alla lunga «ci uccide, noi e l’Europa».E’ questo, ribadisce l’economista, l’asse di intervento che ci consentirebbe di sopportare un aumento del debito «come hanno fatto sempre Francia, Germania e Spagna nei momenti di flessione del ciclo, senza preoccupare l’oligopolio finanziario internazionale», il quale peraltro «ha già ha dimostrato di apprezzare positivamente più la stabilità politica dell’austerity, che è ormai vista come un peste anche dalle cuspidi finanziarie che sanno che la deflazione è la morte dei profitti». Così, conclude Sapelli, «si potrà costruire una rete di alleanze per superare il Trattato di Dublino e instaurare una politica dell’accoglienza dei migranti fondata sempre sulla misericordia ma nel contempo sull’assunzione, anzi, la riassunzione da parte dello Stato (e nello Stato) delle politiche di sostenibilità migratoria». E’ questo l’atteggiamento che Sapelli chiama “patriottismo laburista”. Buono e giusto: «Può unire e non dividere le due anime del governo, ferme restando le differenze strutturali nella meccanica dei partiti e dei movimenti».«E’ bene dire sin da subito che l’unica speranza di sopravvivenza che questo governo possiede è quella di impugnare sin dall’inizio la bandiera di ciò che potremmo chiamare un “patriottismo laburista”». Parola di Giulio Sapelli, autorevole economista di formazione keynesiana. L’idea? Adottare la “mossa del cavallo” per agire sui due fronti, interno e internazionale, «provocando quella dissonanza cognitiva che ti fa vincere ogni partita di scacchi e quindi anche ogni battaglia politica». Per Sapelli, che affida la sua analisi al “Sussidiario”, il nuovo governo «sin da subito deve iniziare la negoziazione dei trattati europei». La Francia, del resto, si è già fatta avanti con la telefonata di Macron a Conte. «Una mossa anti-tedesca», anche se non bisogna farsi illusioni, dato che Parigi «ha mire annessionistiche sull’Italia in campo economico, come dimostra la storia recente e recentissima». Ma il governo Conte, sostiene Sapelli, ha un alleato prezioso contro l’austerity teutonica dell’ordoliberalismo: «Gli Usa prima di tutto, non lo si dimentichi mai. L’Alleanza atlantica è l’architrave della politica italiana e deve rimanerlo, agendo con intelligenza, come sempre storicamente si è fatto».
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Sorpresa: non sono più i nostri nemici a gestire lo spread
Colpo di scena: non sono più i soliti “signor no” europei, da Mario Draghi ad Angela Merkel, a pilotare lo spread, fino a ieri usato come clava contro l’Italia. «Visto? Lo spread cala, da quando si è insediato il governo Conte», sottolinea a “Colors Radio” Gioele Magaldi, il primo a svelare il retroscena massonico che ha opposto Sergio Mattarella a Paolo Savona. «E’ in atto un duro confronto in seno alla massoneria sovranazionale: da una parte l’ala conservatrice, che sostiene l’establishment europeo, e dall’altra i circuiti massonici progressisti, scesi in campo per difendere il governo “gialloverde”». Tema: interpretare l’Italia come banco di prova per la fine del rigore euro-tedesco, con i suoi terminali italiani. Ieri Monti e Napolitano, poi i pallidi Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, vicinissimo a Draghi, e ovviamente allo stesso Mattarella, arrivato al punto di interdire a Savona l’accesso al ministero dell’economia, dopo aver spedito Conte in udienza da Visco. Poi però è accaduto qualcosa che Berlino, Bruxelles e Francoforte non potevano prevedere: il loro braccio di ferro sullo spread è crollato subito, mentre Trump calava sulla Germania la mazzata dei dazi sull’acciaio. Il “golpe bianco” è durato solo 48 ore: giusto il tempo di capire che, forse, qualcosa – in Europa – è cambiato una volta per tutte: la “cricca del rigore” non potrà più ricattare e intimidire intere nazioni, in spregio al voto popolare?Ci attendono settimane piene di incognite, ammette Magaldi, perché il vero scontro – sul piano internazionale – è appena cominciato. Certo, oggi fa impressione vedere la cancelliera di ferro che scende a più miti consigli e si affretta, fuori tempo massimo, a riconoscere che l’Italia è stata completamente abbandonata di fronte all’emergenza-migranti che ha gonfiato la Lega di Salvini. Già esponente della superloggia sovranazionale progressista Thomas Paine, attraverso il Grande Oriente Democratico lo stesso Magaldi, presidente del Movimento Rooasevelt, è in prima linea nell’ambiente culturale massonico-progressista che vede nell’Italia il possibile punto di svolta della lunghissima crisi europea. «Sarà proprio dal nostro paese che partirà una riscossa democratica su scala continentale», profetizzava già nel 2014, presentando il saggio “Massoni” (Chiarelettere) che svela l’identità supermassonica del vero potere europeo, negli ultimi trent’anni in mano a cripto-massoni oligarchici, reazionari e neo-aristicratici (gli inventori del rigore spacciato per normalità fisiologica, dopo aver svuotato la democrazia confiscando sovranità a colpi di diktat).E’ il ben noto scenario dell’orrore organizzato dall’Ue e da Berlino: bilanci strozzati dai vicoli di spesa, e quindi crisi, disoccupazione, tasse, risparmi in fumo, giovani in fuga. Uno scempio deciso dagli eurocrati, veri e propri nemici dell’unità europea: grazie a loro, infatti, è esploso l’euroscetticismo ormai maggioritario. Che fare? Ovvio: estendere la spesa, dopo aver contrattato con Bruxelles l’intero sistema Ue. Impossibile mettere in campo il programma “gialloverde” (Flat Tax, reddito di cittadinanza pensioni dignitose) senza prima “sbullonare” l’ordoliberismo teutonico, oggi messo sotto attacco direttamente dagli Usa, scesi in campo accanto all’Italia. Magaldi tifa per il governo Conte, ma con giudizio: «Guai se aumenta l’Iva, perché sarebbe una misura pericolosamente recessiva. E guai se arretra, sul terreno dei diritti civili». Naturalmente, i media mainstream “vedovi” del Pd sono saltati addosso al ministro leghista Lorenzo Fontana, protagonista di un’infelice uscita sulle unioni civili. «Apprezzo però la tempistività con cui è intervenuto Salvini, chiarendo che Fontana parlava a titolo personale: le sue idee non rientrano nel programma di governo».L’ottimismo di Magaldi non è incondizionato: «Ci sono ottime premesse, insieme alla garanzia che Paolo Savona – l’uomo che Mattarella non voleva – costituirà una sapiente cabina di regia per gestire con Bruxelles la rinegoziazione dei trattati europei. Però bisogna stare a vedere che cosa realmente questo governo riuscirà a fare». E a chi si interroga sull’affidabilità dei 5 Stelle, Magaldi risponde con lo sguardo del politologo: «In tandem con Salvini, i pentastellati hanno avuto il merito storico di rompere la finzione dello scontro apparente tra centrodestra e centrosinistra, che in vent’anni hanno solo finto di combattersi, sottoscrivendo in realtà tutte le politiche di rigore imposte, via Ue, da un’oligarchia privatistica: quella che oggi, finalmente, guarda con preoccupazione alla svolta democratica italiana». A quanto pare, il futuro potrebbe rimettersi a correre, archiviando il mancato riformatore Berlusconi e il suo sodale Renzi, ultimo yesman del potere eurocratico. Sta cambiando tutto? Per il 14 luglio – data non casuale – Magaldi annuncia l’avvio di grandi manovre per la creazione di un nuovo soggetto politico liberalsocialista, che si metta in marcia – da posizioni keynesiane – per supportare il “cambio di paradigma”, oggi affidato alla compagine giudata da Conte. Obiettivo: demolire, per sempre, la grande menzogna neoliberista del rigore “virtuoso”, inventata dall’élite per derubare i popoli.Colpo di scena: non sono più i soliti “signor no” europei, da Mario Draghi ad Angela Merkel, a pilotare lo spread, fino a ieri usato come clava contro l’Italia. «Visto? Lo spread cala, da quando si è insediato il governo Conte», sottolinea a “Colors Radio” Gioele Magaldi, il primo a svelare il retroscena massonico che ha opposto Sergio Mattarella a Paolo Savona. «E’ in atto un duro confronto in seno alla massoneria sovranazionale: da una parte l’ala conservatrice, che sostiene l’establishment europeo, e dall’altra i circuiti massonici progressisti, scesi in campo per difendere il governo “gialloverde”». Tema: interpretare l’Italia come banco di prova per la fine del rigore euro-tedesco, con i suoi terminali italiani. Ieri Monti e Napolitano, poi i pallidi Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, vicinissimo a Draghi, e ovviamente allo stesso Mattarella, arrivato al punto di interdire a Savona l’accesso al ministero dell’economia, dopo aver spedito Conte in udienza da Visco. Poi però è accaduto qualcosa che Berlino, Bruxelles e Francoforte non potevano prevedere: il loro braccio di ferro sullo spread è crollato subito, mentre Trump calava sulla Germania la mazzata dei dazi sull’acciaio. Il “golpe bianco” è durato solo 48 ore: giusto il tempo di capire che, forse, qualcosa – in Europa – è cambiato una volta per tutte: la “cricca del rigore” non potrà più ricattare e intimidire intere nazioni, in spregio al voto popolare?
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Telegraph: l’Ue non si illuda, la sfida italiana comincia oggi
Prepariamoci: al di là dei sorrisi e dello strano “ottimismo dei mercati”, la vera battaglia comincia solo adesso. Da una parte il governo “gialloverde”, costretto ad allentare l’austerity Ue per attuare il suo programma, e dall’altra il Quirinale, probabilissimo “custode” dello staus quo fondato sul rigore euro-tedesco. Lo sostiene sul “Telegraph” l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, eminente analista politico-finanziario e attento osservatore della crisi italiana, vera propria cartina di tornasole dello stato di coma politico ed economico dell’Unione Europea. Il nuovo ministro dell’ecomomia, Giovanni Tria, «è un sostenitore della reflazione fiscale e dello stampare moneta per salvare gli Stati europei con un alto debito, fatto che lo porterà su una rotta di collisione con le élite politiche di Bruxelles e della Germania», afferma Pritchard. «Dopo settimane di politica che si potrebbe definire di rischio calcolato, il radicale M5S e i nazionalisti della Lega sono riusciti in gran parte a imporre la loro scelta euroscettica all’establishment politico italiano». Il professor Tria? «E’ un critico moderato ma tenace del Fiscal Compact, imposto dall’Eurozona e dall’apparato dell’Emu per accentuare l’austerità e deflazionare il debito». La sue idee in economia «potrebbero rivelarsi altrettanto minacciose, per Berlino e il regime politico dell’euro, di quelle del precedente candidato bloccato dal veto presidenziale, Paolo Savona», anche se Tria «non parla apertamente di “Piano B” per lasciare l’euro né definisce l’Unione Monetaria una “gabbia tedesca”».Mentre sostiene che «non ha senso» uscire dall’euro, Giovanni Tria dice anche che è insensato insistere con la moneta unica se i leader dell’Ue si rifiutano di renderla praticabile, scrive Evans-Pritchard in un articolo tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il vero rischio per l’unione monetaria «è l’implosione, piuttosto che l’uscita». Per ora i mercati finanziari stanno reagendo in modo euforico all’accordo in extremis fra i partiti “ribelli” e il presidente Sergio Mattarella, finito nella bufera per il veto su Savona. L’accordo raggiunto (su pressione Usa, a quanto pare) evita la prospettiva di una protesta politica di massa «contro un “governo tecnico” che nessuno ha eletto, seguito da un voto in tempi rapidi che avrebbe probabilmente portato alla vittoria schiacciante dei due gruppi “ribelli” e alla distruzione totale del centro politico italiano». Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, avverte che discesa dello spread potrebbe essere una falso indizio: Codogno «teme una lunga guerra di trincea tra il governo “ribelle” e il presidente Mattarella, sull’Europa e sulla disciplina fiscale». A sua volta, per Silvia Ardagna (Goldman Sachs) l’esuberanza del mercato è «fuori luogo». La Ardagna pensa che «i lunghi mesi di confronto sulle regole di spesa riapriranno la questione dell’Italexit e del futuro dell’euro».Le proposte della coalizione guidata da Conte, ricorda Evans-Pritchard, ammontano ad un allentamento di bilancio pari al 6% del Pil. E quindi «sono fondamentalmente incompatibili con l’attuale architettura monetaria, d’ispirazione tedesca». Il “contratto” di governo comprende infatti Flat Tax e reddito di cittadinanza, nonché un costoso rinnovo della riforma Fornero delle pensioni e l’inversione dell’aumento dell’Iva. Se ne occuperà in primis proprio Giovanni Tria, «da sempre un fustigatore del mercantilismo tedesco». Il nuovo ministro dell’economia, spiega Evans-Pritchard, sostiene che Berlino abbia effettivamente usato l’Unione Monetaria per garantirsi un vantaggio competitivo strutturale, che ha portato a un permanente e illegale avanzo di conto corrente [bilancio delle partite correnti] pari all’8,5% del Pil, a scapito dei partner dell’Eurozona. Il meccanismo di autocorrezione è bloccato, e gli Stati debitori del Sud Europa sono intrappolati in un circolo vizioso. Il presunto rimedio della svalutazione interna per recuperare redditività porta a una distorsione di tipo restrittivo [decrescita] per l’Eurozona nel suo complesso e ha una fatale contraddizione: soffoca il Pil nominale di quelle economie che sono già in difficoltà e distorce ulteriormente la traiettoria del debito. Alla lunga, è sicuramente autodistruttivo.Nel saggio “Ripensare il tabù della monetizzazione dei disavanzi per salvare l’euro”, il professor Tria scrive che il tentativo di ripristinare la sostenibilità del debito attraverso l’austerità è fallito: «L’unica via d’uscita è un forte stimolo fiscale per aumentare la domanda e colmare il divario di produttività, accompagnato da condizionati e temporanei finanziamenti monetari a livello europeo». Negli ambienti delle banche centrali, osserva Evans-Pritchard, questa politica è conosciuta come “helicopter money”, ed è un anatema per la Bundesbank e per la cultura ordoliberista tedesca. «Il saggio attinge pesantemente al lavoro del britannico Adair Turner, un campione a livello globale del finanziamento monetario e controllato dei deficit, per i paesi caduti in una trappola di liquidità». Che il professor Tria e l’alleanza Lega-M5S stiano attivamente spingendo per l’Italexit – o “Libertalia”, come alcuni preferiscono dire – è una discussione finanche oziosa, scrive l’analuista inglese. «Entrambi accettano che in Italia un referendum sull’euro sia incostituzionale. Ma, avendo ben studiato ogni aspetto del fiasco in Grecia, sono passati a tattiche più sottili. Stanno preparando delle soluzioni per minare l’Unione Monetaria dall’interno, se l’Ue rifiutasse di accettare il fatto compiuto dei loro piani di bilancio». Il che sarebbe «un ricatto», secondo Clemens Fuest, direttore dell’istituto tedesco Ifo.Il piano Lega-M5S per la creazione di una valuta parallela, i Minibot, è ancora nel “contratto” per il governo. «La proto-lira può essere attivata in qualsiasi momento come mezzo di autodifesa qualora la Bce aumentasse la posta, limitando la liquidità del sistema bancario italiano o ricorrendo al pretesto delle garanzie collaterali per fermare il roll-over [rinnovo] dei titoli obbligazionari italiani». Il momento in cui il governo Conte emetterà questa valuta parallela «sarà quello della fine dell’euro», avverte il professor Costas Lapavitsas dell’università di Londra. Gli ottimisti pro-Europa hanno interpretato il consenso sui ministri da parte di Mattarella come un passo indietro della Lega e dei 5 Stelle, «ma potrebbe anche essere visto come una dissimulata marcia indietro dello stesso presidente, un residuo non eletto della “vecchia casta”, che stava operando in una zona grigia della sua autorità costituzionale», scrive Evans-Pritchard. «Si era ben presto reso conto, dalle reazioni viscerali che aveva causato, che stava giocando con il fuoco. Prima mettendo il veto al professor Savona e poi cercando d’imporre un regime tecnocratico privo del sostegno del Parlamento, impegnato in politiche espressamente rifiutate a marzo dalla grande maggioranza degli elettori italiani. Come ha detto Savona in una e-mail che è trapelata, il presidente non capiva che la nazione era “in ribellione”. Ma ora senz’altro l’ha capito».Per l’analista inglese, resta comunque «una strana ingenuità, fra gli insider dell’Ue e gli investitori stranieri, sull’identità politica dei ribelli Lega-Grillini». Pensano che Giancarlo Giorgetti sia un lealista pro-euro? Lo scorso settembre, in televisione, spiegava perché l’Italia dovrebbe abbandonare la moneta unica, «per evitare di essere ridotta a un deindustrializzato guscio vuoto». Lo stesso Di Maio, a dicembre, aveva accusato l’austerità imposta dalla Merkel per la chiusura di 573 aziende al giorno nel Sud. «Se non ci liberiamo dell’euro il Mezzogiorno italiano, diventerà una terra desolata e spopolata». Secondo Evans-Pritchard, «è un’ipotesi molto coraggiosa scommettere che l’alleanza Lega-grillini possa cambiare, come ha fatto Syriza in Grecia, abbandonando le sue fondamentali promesse elettorali per mantenere l’Italia nell’euro. L’Ue dovrebbe poterli incontrare a metà strada, se vuole evitare il disastro, accettando la fine del Fiscal Compact. Ma se lo fa – aggiunge il notista del “Telegraph” – rischia di perdere il consenso politico tedesco per il progetto dell’euro». Un gruppo di 154 economisti tedeschi avverte che la scivolata dell’Eurozona verso una “unione del debito” sta minando i poteri di bilancio del Bundestag e costituisce una crescente minaccia per la democrazia tedesca. L’Istituto Ifo vuole un meccanismo legale per permettere ad un qualsiasi paese di lasciare l’euro: e il presupposto è che la stessa Germania possa averne bisogno. «Se l’Ue consente agli italiani di fare ciò che vogliono sulla spesa, i tedeschi non lo accetteranno», prevede Lapavitsas: «L’euro morirebbe comunque, ma in un modo diverso. Sarebbe solo una morte più lenta».Prepariamoci: al di là dei sorrisi e dello strano “ottimismo dei mercati”, la vera battaglia comincia solo adesso. Da una parte il governo “gialloverde”, costretto ad allentare l’austerity Ue per attuare il suo programma, e dall’altra il Quirinale, probabilissimo “custode” dello staus quo fondato sul rigore euro-tedesco. Lo sostiene sul “Telegraph” l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, eminente analista politico-finanziario e attento osservatore della crisi italiana, vera propria cartina di tornasole dello stato di coma politico ed economico dell’Unione Europea. Il nuovo ministro dell’ecomomia, Giovanni Tria, «è un sostenitore della reflazione fiscale e dello stampare moneta per salvare gli Stati europei con un alto debito, fatto che lo porterà su una rotta di collisione con le élite politiche di Bruxelles e della Germania», afferma Pritchard. «Dopo settimane di politica che si potrebbe definire di rischio calcolato, il radicale M5S e i nazionalisti della Lega sono riusciti in gran parte a imporre la loro scelta euroscettica all’establishment politico italiano». Il professor Tria? «E’ un critico moderato ma tenace del Fiscal Compact, imposto dall’Eurozona e dall’apparato dell’Emu per accentuare l’austerità e deflazionare il debito». La sue idee in economia «potrebbero rivelarsi altrettanto minacciose, per Berlino e il regime politico dell’euro, di quelle del precedente candidato bloccato dal veto presidenziale, Paolo Savona», anche se Tria «non parla apertamente di “Piano B” per lasciare l’euro né definisce l’Unione Monetaria una “gabbia tedesca”».