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Libia, la verità? Fermare la Cina, inguaiando anche l’Europa
Gheddafi è solo una maschera, il tiranno perfetto contro cui scatenare i media, quindi l’opinione pubblica e infine i Tornado. Berlusconi? Non conta niente, ha subito una guerra che non voleva, come del resto la manovra finanziaria “lacrime e sangue”. E gli alleati europei? Idem: nonostante le apparenze, la battaglia di Tripoli è contro di loro, innanzitutto: concepita per metterli nei guai. E persino «il povero Obama» ha dovuto abbozzare. Perché a decidere di trasformare la Libia in un inferno come l’Iraq è stato il super-potere di Wall Street. Con un obiettivo evidente: fermare l’avanzata della Cina. «Non è nemmeno questione di petrolio», dice Giulietto Chiesa all’“Espresso”: «Tra 5-10 anni non ci sarà più posto per Usa e Cina insieme: o troveranno un accordo, o sarà guerra mondiale».
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Bugie di guerra da Tripoli: non sappiamo quasi niente
Domenico Quirico, il reporter della “Stampa” sequestrato il 24 agosto con tre colleghi e liberato l’indomani da due giovani soldati di Gheddafi, rivela di esser stato accompagnato attraverso «l’enorme area di Tripoli ancora controllata dalle forze del regime». E un combattente gheddafista, che si firma “Libyan Liberal”, racconta su Twitter che il “lavoro” consiste nel difendere la popolazione da omicidi, stupri e saccheggi, mentre dal cielo le bombe della Nato fanno strage. Le immagini della folla esultante sulla Piazza Verde? Forse è solo l’ultima beffa: si ipotizza addirittura un set televisivo negli studi di Al-Jazeera, nel Qatar. «Considero prive di ogni sostanza le notizie ufficiali che arrivano dalla Libia da tre giorni a questa parte», scrive Debora Billi: possibile che la cronaca da Tripoli sia interamente falsa?
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Botte a chi protesta, sempre impuniti i sovrani della crisi
Attenti: stiamo per perdere la nostra democrazia, perché oggi a governare le nostre esistenze non c’è la politica. «Sovrani sono poteri non eletti, come gli speculatori di borsa o le agenzie di rating che storcono le nostre vite e sono i nuovi tribunali delle democrazie». In mano ai cittadini sembra rimanere solo il plebiscito dei tumulti urbani, ma neanche un attimo la politica è sfiorata dal dubbio che i giovani delle sommosse siano figli dei suoi errori, della sua latitanza. Barbara Spinelli non ha dubbi: se Napolitano grida che siamo «immersi in un angoscioso presente», è anche perché la destra ha minimizzato la crisi, ma pure la sinistra – concentrata solo sulla conquista del potere – ha perso di vista l’obiettivo: «Un popolo tenuto nel buio non vede che buio», è stata «spezzata la capacità» di capire perché un paese come l’Italia sia ridotto così male.
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Privatizzare la Libia, ecco il piano Usa affidato a Jibril
A governare la Libia del post-Gheddafi sarà Mahmoud Jibril, il distinto signore nuovamente ricevuto a Parigi da Sarkozy, dopo una tappa in Italia per incontrare Berlusconi. Questo anonimo tecnocrate sessantenne, finora sconosciuto alle cronache, è stato per anni l’uomo-chiave di Washington e Londra all’interno del regime del Colonnello, scrive “PeaceReporter” mentre le forze Nato e i “ribelli” espugnano l’ultimo bunker del “raiss” nella capitale. In qualità di direttore del Nedb, l’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico di Tripoli, Jibril lavorava per facilitare la penetrazione economica e politica angloamericana in Libia promuovendo un radicale processo di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia nazionale.
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Macché debito: usciamo dall’euro e dal dogma tedesco
«Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani». Lo afferma l’economista Alberto Bagnai, secondo il quale l’uscita dalla moneta unica europea è l’unica soluzione per superare la crisi del debito addossata allo Stato, che non può più utilizzare la leva della svalutazione. A guadagnarci è solo Berlino: «La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca: e la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando». Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi, che possono diminuire solo tagliando i salari e spremendo i lavoratori: «Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo, la sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena», dice Bagnai.
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Anziché i piccoli Comuni, chiudete la buvette: costa uguale
«Avevamo chiesto i tagli della politica: i tagli però, non i ragli». Dalla sua rubrica quotidiana su “La Stampa”, il 22 agosto Massimo Gramellini attacca la demenziale cancellazione dei piccoli Comuni, preziosi sportelli a disposizione del territorio, spesso l’ultimo presidio di democrazia partecipativa controllato direttamente dai cittadini-elettori senza l’ingombrante mediazione dei partiti e dei loro onnipresenti carrieristi. «Anziché dimezzare il numero e i benefit dei parlamentari, il governo crede di tenerci buoni segando a casaccio i piccoli Comuni», che per Gramellini rappresentano «il tessuto connettivo di un Paese che è composto di mille villaggi, il suo apparato cellulare, l’unica istituzione in cui l’italiano medio si riconosca».
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Usa ed Europa già si sfilano dall’incubo del dopo-Gheddafi
Nessun invio di truppe di pace internazionali, mantenimento della sicurezza affidato alle forze “ribelli” e nuova risoluzione dell’Onu (sulla ricostruzione civile) che vedrà gli europei assumersi «le maggiori responsabilità». E’ questa la “road map” per il dopo-Gheddafi in Libia come si delinea dai contatti in corso fra le capitali della Nato e nei briefing del presidente americano Barack Obama in vacanza a Martha’s Vineyard. L’accelerazione dell’offensiva dei ribelli contro Tripoli, scrive Maurizio Molinari su “La Stampa”, ha obbligato Obama a esaminare il nuovo scenario col suo stratega sulla sicurezza, John Brennan: se le preoccupazioni immediate riguardano il rischio di una carneficina a Tripoli, la Casa Bianca si concentra ormai sul “dopo”.
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Strana guerra senza vincitori, unico sconfitto il Colonnello
Se la guerra di Libia come sembra è terminata, sappiamo chi l’ha perduta: il Colonnello, il suo clan familiare, i profittatori del regime, le tribù alleate, gli amici internazionali che hanno scommesso sulla sua vittoria. Non sappiamo invece chi l’ha vinta. I ribelli hanno combattuto coraggiosamente, ma sono una forza raffazzonata composta all’inizio da qualche nucleo islamista, senussiti della Cirenaica, nostalgici del regno di Idris, una pattuglia democratica. Le loro file si sono ingrossate quando l’intervento della Nato è sembrato garantire una vittoria sicura, ma molti notabili rimasti alla finestra per mesi hanno cambiato campo solo nelle ultime settimane: la prova che il risultato era incerto e che, nella migliore delle ipotesi, il Paese sarà ora governato da una coalizione di opportunisti post-gheddafiani, a lungo complici dell’uomo che ha dominato la Libia per 42 anni.
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Annullare il debito e affidare all’Onu il futuro delle risorse
Un’intesa mondiale capace di svalutare il debito, per mettere fine alla Terza Guerra Mondiale, già cominciata: quella finanziaria. Se oggi la politica ha le mani legate dai dominus di Wall Street, interessati solo a moltiplicare i loro colossali profitti anche a costo di inaudite sofferenze sociali, bisogna uscire dal tunnel prima che sia troppo tardi. Come? Restituendo sovranità agli Stati, e quindi ai cittadini, attraverso un’epocale riforma della governace planetaria, affidata alle Nazioni Unite. Anche il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, non ha dubbi: occorre realizzare innanzitutto una riforma radicale del sistema bancario, per rimettere il credito al servizio della cittadinanza e ridurre così il crescente divario tra ricchi e poveri, speculatori e produttori reali.
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Sfrattare Gheddafi? Non ancora: è l’alibi perfetto per il caos
Contrariamente a una «diffusa leggenda», non sono tanto i ribelli che combattono contro l’esercito libico e i suoi riservisti, quanto semmai la Nato. «Lo schema è ormai ben rodato: gli elicotteri Apache investono una località mitragliando tutto ciò che si muove, la popolazione fugge e l’esercito si ritira. I “ribelli” invadono allora la città, alzano la bandiera monarchica davanti alle telecamere della Cnn e poi saccheggiano le case abbandonate. Ma appena la Nato si ritira, l’esercito libico ritorna e i “ribelli” scappano, lasciandosi alle spalle una città devastata». Ogni giorno il Consiglio nazionale di Bengasi afferma di aver preso una città che perde il giorno successivo: Zwaya e Brega, le raffinerie e la stessa Misurata, di cui i “ribelli” non avrebbero tuttora il pieno controllo.
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La Borsa è zona di guerra: gli Stati vacillano, vicini alla resa
Trecento miliardi di capitalizzazione “bruciati” in un solo giorno sulle piazze europee: “La Borsa è zona di guerra”, titola la Cnn il 19 agosto, assistendo al crollo simultaneo dei centri finanziari di tutto il mondo. «Di fatto – scrive Francesco Piccioni sul “Manifesto” – gli Stati sono stati mobilitati per “salvare il sistema finanziario”; per farlo hanno distrutto i propri bilanci, gonfiando oltre misura il debito pubblico mentre tagliavano disperatamente la spesa sociale per “reperire risorse”». Dopo la prima ondata di tagli, il sistema finanziario ha ricominciato il gioco della speculazione, solo che adesso «gli Stati non sono più una risorsa di denaro fresco, ma una parte del problema: per questo le misure avanzate da Merkel e Sarkozy non avrebbero potuto “rassicurare i mercati” neanche se fossero state cento volte più intelligenti».
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Governare senza crescita: l’Europa non ha più soluzioni
Come si governa una società senza più crescita? Una società che verosimilmente non avrà più crescita nel senso e nella misura in cui gli economisti e i politici l’hanno intesa sino a ieri? La classe politica dirigente europea non sembra essere in grado di rispondere a questa domanda cruciale. Non lo è neppure la classe politica tedesca verso la quale in questi giorni si rivolgono tante aspettative. La cancelliera Angela Merkel è oggi il politico più in vista e più citato in Europa e in Occidente. Ma temo che sia sopravvalutata. Innanzitutto ha un ristretto spazio di manovra politica interna, dovendo fare i conti con un elettorato inquieto, ripiegato su se stesso, e con un partito che la guarda con crescente preoccupazione.